venerdì 14 dicembre 2018

Nel cambiamento climatico si salvano solo i capitalisti?

L'articolo di Ermanno Bencivenga "Si salvano solo i capitalisti" pone una domanda inquietante. Lo trovate all'interno di questa rassegna stampa (non so perché, cliccando sul link sembra che non funzioni, ma se invece si copia il link e lo si cerca su google funziona).

http://www.agenziaefficienzaenergetica.it/area-riservata/rassegna-stampa-enea/rassegna-stampa-archivio/Rassegna%20stampa%2009_12_2018.pdf

giovedì 22 novembre 2018

Il marziano

Prodi si stupisce delle disuguaglianze contemporanee. Sono osservazioni che potremmo anche accettare, nonostante la loro ingenuità, se l'autore in questione avesse trascorso gli ultimi trent'anni in una colonia su Marte. Invece Prodi ha passato una parte significativa di questi ultimi trent'anni a capo di governi che hanno attivamente perseguito precisamente quelle politiche economiche (privatizzazioni, liberalizzazioni) che hanno portato ai risultati da lui stigmatizzati. Politiche del tutto simili a quelle dei governi di centrodestra, s'intende. Sono ormai decenni che tutte queste dinamiche sono indagate da una bibliografia sterminata. Si vede che sul pianeta dove vive Prodi certi testi non arrivano.


https://bologna.repubblica.it/cronaca/2018/11/20/news/bologna_prodi_l_operaio_guadagna_200_volte_meno_dei_manager_e_nessuno_si_ribella_-212110791/

venerdì 9 novembre 2018

Sulla distruzione della Grecia

Un paese distrutto, nella sostanziale indifferenza di tutti. E se l'indifferenza dei ceti dominanti è ovvia, più pesante è la totale assenza di una qualsiasi solidarietà da parte dei popoli europei. Non c'è dimostrazione migliore di come non esista un "popolo europeo", e siano quindi del tutto infondate le illusioni di una "Europa diversa".

venerdì 2 novembre 2018

Ascoltare il nemico

Segnalo un articolo davvero interessante pubblicato su "Left". Ovviamente l'autore è in totale opposizione a quanto da sempre sosteniamo in questo blog, ma riesce a esprimere con ammirevole chiarezza quanto sia ingannevole l'illusione, coltivata da tanti, di una "Europa diversa". Dentro l'euro  e l'UE le politiche di tipo keynesiano sono impossibili. Certo, non si può dire proprio tutta la verità, e allora l'autore lascia brillare il miraggio di uno Stato europeo unitario. Ma, a parte le obiezioni che contro una tale entità si potrebbero sviluppare, l'autore stesso sa bene quanto un simile miraggio sia lontano dalla realtà, e si guarda bene dal fornire una minima prospettiva politica concreta.

https://left.it/2018/10/31/le-politiche-di-spesa-in-deficit-non-sono-rivoluzionarie-sono-di-destra/


Aggiornamento 3-11-18: altri interventi di commento all'articolo di "Left" li trovate qui, qui e qui.

mercoledì 31 ottobre 2018

domenica 21 ottobre 2018

Il mondo di ieri e quello di domani

Un lucido intervento di Mimmo Porcaro:

https://www.sinistrainrete.info/politica-italiana/13487-mimmo-porcaro-il-mondo-di-ieri-e-quello-di-domani.html


Ai lettori distratti segnalo uno dei commenti, sul sito di sinistrainrete, all'articolo di Porcaro: Eros Barone, un marxista intelligente e preparato, come si evince da tutti i suoi interventi, scrive
"Come non capire che la libera circolazione dei lavoratori salariati nella UE è per il proletariato un vantaggio oggettivo dal punto di vista dei rapporti delle forze di classe?". L'emigrazione come "vantaggio oggettivo" del proletariato: questo dicono i marxisti intelligenti e preparati. Se il marxismo ha cessato da decenni, nei paesi occidentali, di avere una qualsiasi rilevanza storica, forse un motivo c'è.

domenica 23 settembre 2018

domenica 16 settembre 2018

Affido condiviso


In questi giorni si sono accese vivaci discussioni sulla riforma dell’affido condiviso (“d.d.l. Pillon”). Una analisi approfondita sarebbe molto lunga, perché bisognerebbe esaminare sia gli aspetti relazionali sia quelli economici. Non intendo farlo, per mancanza di tempo e anche perché in rete si trovano ben argomentate molte delle considerazioni che potrei fare io, per esempio nel sito di Davide Stasi o sulla pagina facebook di Mantenimento Diretto. Mi limito qui ad alcune brevi osservazioni che riguardano esclusivamente il lato economico, perché non le ho trovate in altri interventi (non tutte, almeno) e mi pare meritino di essere prese in considerazione.

Mi sembra che nelle discussioni sul d.d.l. Pillon faccia fatica ad emergere una verità molto semplice: nelle odierne condizioni del nostro paese, fra crisi economica e difficoltà a trovare un lavoro decente, il divorzio è roba da ricchi. Eppure è del tutto ovvio capirlo: basta pensare ad una famiglia nella quale entrano, diciamo, 1800 euro al mese, e a cosa significa, a partire da un tale reddito, dover mantenere due abitazioni invece di una. È ovviamente impossibile farlo vivendo una vita decorosa. Se questa verità non è emersa nei decenni seguiti all’approvazione della legge sul divorzio, è per un motivo molto semplice: si è occultata questa impossibilità economica scaricandola per intero sul “soggetto più forte economicamente”, cioè, quasi sempre nella pratica, sul padre. Si è cioè deciso che, nella grande maggioranza dei casi, i figli venivano affidati alla madre (esplicitamente prima della legge del 2006 sull’affido condiviso, col sotterfugio del “genitore collocatario” dopo) e che il padre continuava a provvedere per larga parte del suo reddito al mantenimento di una famiglia dalla quale era escluso. Di questo meccanismo faceva parte il fatto che la casa coniugale rimaneva quasi sempre alla madre e il padre era costretto a pagarsi un affitto. Fatto questo, se ciò che rimaneva del suo reddito era sufficiente per vivere decentemente, bene per lui, se non lo era peggio per lui. Notoriamente, dei padri separati in difficoltà economiche non è mai importato nulla a nessuno.
Questo meccanismo è chiaramente ingiusto, e non perché, ovviamente, le madri separate non siano in difficoltà. Ma perché l’onere di provvedere a questa difficoltà viene caricato interamente sulle spalle dei padri separati, che spesso non sono in grado di reggerlo. L’assegno alle madri separate è in sostanza un pezzo del Welfare State, è una forma di assistenza a persone in difficoltà: ma allora deve essere, come tutto il resto del Welfare, a carico della fiscalità generale. Deve essere lo Stato a provvedere a queste persone in difficoltà, non singoli individui che magari possono trovarsi anch’essi in condizioni difficili.
Il meccanismo attuale, che la riforma vuole cambiare, sarebbe equivalente alla situazione seguente: immaginiamo un paese con disparità sociali (esistono i ricchi e i poveri) nel quale non esiste un sistema di assistenza sanitaria pubblica e gratuita. Ovviamente, in questa situazione i poveri non possono curarsi. Che si fa? Invece di provvedere ad istituire un servizio sanitario pubblico e gratuito, i governanti dividono la popolazione in due (per esempio quelli più alti della media e quelli più bassi) e stabiliscono che i Bassi devono versare una parte del proprio reddito per garantire le cure mediche agli Alti. In questo modo in effetti metà dei poveri (quelli alti) riusciranno a curarsi, mentre ovviamente i Bassi poveri non solo non riusciranno a curarsi ma saranno più poveri di prima, e magari non riusciranno più neppure a mangiare.
Questo sistema folle e ingiusto è quello attualmente in vigore in Italia per quanto riguarda separazioni e divorzi.
Il d.d.l. Pillon è un tentativo di ristabilire equità dove finora aveva regnato l’ingiustizia. Esso deve però essere affiancato da un provvedimento per l’aiuto economico alle madri separate. Lega e M5S hanno in programma il reddito di cittadinanza? Ebbene, comincino intanto con le madri separate.



sabato 15 settembre 2018

La strategia di Salvini e DiMaio

Un'analisi molto interessante, dal sito "Sollevazione". Sono sostanzialmente d'accordo sul fatto che la strategia di Salvini e DiMaio sia davvero quella qui delineata.

http://sollevazione.blogspot.com/2018/09/la-strategia-di-salvini-e-di-maio-di.html

domenica 9 settembre 2018

Lo sviluppo e le ideologie politiche della modernità


(Qualche giorno fa ho tenuto una conferenza su invito dell'Arci di Rovigo, che ringrazio. Il testo seguente è lo schema che mi ero preparato come traccia. Non è un vero e proprio articolo, ma penso possa avere qualche interesse. M.B.)




La nozione di sviluppo e le ideologie politiche della modernità


Premessa: bisognerebbe dare delle definizioni rigorose di parole come sviluppo o crescita. Ma sarebbe pesante farlo all’inizio, quindi eventualmente lo facciamo nel corso del dibattito, se ne emerge la necessità. Per il momento userò la nozione di sviluppo nel senso intuitivo di sviluppo economico (aumento della produzione di beni, oggi identificata con la crescita del PIL) e di sviluppo tecnologico (aumento della potenza di intervento umano sulla natura). 


Due tesi fondamentali: 1) lo sviluppo è alla base di tutte le ideologie politiche della modernità, cioè è alla base di destra e sinistra. 2) La dinamica interno allo sviluppo porta al superamento di destra e sinistra, e questo sia nel caso di una “fine dello sviluppo” (esito possibile ma non certo) sia nel caso di un proseguimento dello sviluppo nella forma attuale.

giovedì 30 agosto 2018

Intermezzo leggero

Non si può sempre parlare di cose serie, ogni tanto bisogna rilassarsi e ciarlare del nulla. Parliamo quindi dell'ultimo intervento di Veltroni. C'è un uomo coraggioso che ha provato a leggerlo e a commentarlo:

http://appelloalpopolo.it/?p=44181


Altri intermezzi su Veltroni li trovate qui e qui.

domenica 19 agosto 2018

Sui destini generali

Ho letto in questi giorni un saggio uscito qualche tempo fa, I destini generali, di Guido Mazzoni, (Laterza 2015). Guido Mazzoni è uno scrittore e critico letterario, docente all’Università di Siena. Con questo saggio ci ha dato un testo importante, che cerca di indagare alcuni degli aspetti fondamentali di ciò che è l’essere umano del nostro tempo, sollevando questioni decisive. Il libro sintetizza con grande chiarezza gli aspetti più sorprendenti di quella che potremmo chiamare “umanità postmoderna”: la fine del Super-Io, l’obbligo al godimento, la crisi dei legami (personali e collettivi), la dimensione del tempo ridotta ad un eterno presente privo di passato e di futuro, la rinuncia alle prospettive di grandi mutamenti sociali, la ricerca della soddisfazione personale in una cerchia privata. Di fronte a questa realtà antropologica perdono senso tutte le parole che nel Novecento hanno espresso la lotta e l’aspirazione di grandi masse umane per un mondo diverso, migliore, svincolato dal dominio del profitto. Si tratta di una situazione nella quale non si intravedono spiragli. Mazzoni registra con grande precisione e acume questi mutamenti, e giustamente si sottrae alla domanda sul “che fare?”. Contro questa realtà egli si limita ad esprimere, alla fine del saggio, il suo disagio.
È facile pensare alcune obiezioni al carattere intrascendibile della realtà contemporanea, quale appare nell'analisi di Mazzoni. Si può infatti ritenere che l’attuale società capitalistica globalizzata sia molto meno stabile di quanto appaia. La crisi economica, gli scontri per l’egemonia mondiale fra USA e nuovi pretendenti (Cina in primis), l’incipiente crisi ecologica: sono tutti dati di fatto che sembrano indicare come quella strana “sospensione della storia” che da decenni viviamo nei paesi occidentali rappresenti solo una “bolla” destinata a scoppiare al contatto con la dura realtà. È probabile che, di fronte agli scontri planetari che si stanno preparando, e che non lasceranno indenne ciò che Mazzoni chiama il “western way of life”, torneranno le contrapposizioni ideologiche e le mobilitazioni di massa, anche se, quasi sicuramente, le linee di faglia, i “cleavages”, saranno ben diversi da quelli del secolo scorso. Esempi potrebbero forse essere le attuali contrapposizioni fra élite globaliste e populisti, fra europeisti e anti-europeisti.
Queste osservazioni, che pur ritengo corrette, mi sembra però che non esauriscano lo spessore di problemi che Mazzoni ci indica. Egli infatti dice a chiare lettere quello che, mi pare, la tradizione antisistemica non ha mai avuto il coraggio di dire così apertamente: questo mondo, il mondo di un ceto medio che gode di una relativa autonomia individuale e di buoni livelli di consumo, e che una volta ottenuto tutto questo si disinteressa dei “destini generali”, è esattamente il mondo che la maggior parte delle persone vuole. La tradizione progressista, mi sembra, non ha mai avuto chiaro questo punto, e ha sempre confuso l’uomo comune col militante politico che formava le fila delle forze politiche che si riconoscevano nel progresso, da quelle più moderate a quelle più radicali. È per questo che quella tradizione ha sempre insistito sulla partecipazione, sulla democrazia diretta, sul consigliarismo. I suoi militanti vivevano di riunioni, assemblee, partecipazione politica, erano felici di vivere in quel modo, e pensavano che quella fosse l’aspirazione di tutti gli esseri umani. La storia sembra indicare che non è così, che gli esseri umani in larga maggioranza sono ben contenti di delegare la politica ai militanti e di dedicarsi alla vita privata, purché sia loro assicurato quanto si diceva sopra. Tutto questo non è una novità: lo sapeva bene Platone, che nella Repubblica prevede che solo una minoranza possa dedicarsi alla direzione politica (e non possa quindi possedere ricchezze e neppure avere una famiglia), mentre la maggioranza svolgerà le normali attività produttive e riproduttive, accettando per il resto di farsi dirigere. C’è da chiedersi se, invece di generare malinconia, queste considerazioni non possano portare a una forma di saggezza. Forse fare il proprio dovere sul lavoro, costruire una famiglia, educare dei figli, vivere delle relazioni umane cordiali e rispettose, è ciò che la gran parte degli esseri umani è in grado di fare, ed è ciò che, silenziosamente, tiene in piedi quella struttura sociale che gli arditi militanti possono poi sperare di migliorare. Qualcosa del genere, se lo capisco bene, intendeva F.W.Ritschl, il filologo maestro di Nietzsche, in una lettera al discepolo, citata da autori come Fortini e Mengaldo:
“E così, mi pare, per i più, nella personale convivenza e dedizione,  nell’abnegazione affettuosa, nelle varie e reali forme di profonda umanità, risiede una forza che erompe dal cuore del mondo (…). Questa è la forza dell’immediata azione umana e di questa forza è capace anche il più umile”.
Ma non c’è allora nessuna speranza di un futuro diverso? Come ho detto, sono abbastanza convinto che fra non moltissimo tempo scoppierà la “bolla” che finora ha protetto la gran parte dei popoli occidentali dal duro confronto con la realtà. Non so quale sarà la forma sulla quale si assesteranno le nuove organizzazioni sociali che nasceranno dopo gli eventi tumultuosi che possiamo immaginarci. Sono però convinto che in esse si riprodurranno alcuni dei meccanismi dei quali stiamo parlando: cioè che la maggioranza al loro interno cercherà di costruirsi una vita sensata nella sfera della famiglia e del lavoro, e, una volta assicurato questo, sarà felice di lasciare a piccole minoranze gli onori e gli oneri della direzione politica. Niente di nuovo sotto il sole, dunque? Non proprio, perché l’attuale organizzazione sociale è particolarmente instabile perché è particolarmente distruttiva, sia nei confronti dell’ambiente sia nei confronti delle stesse relazioni umane. Ciò che possiamo sensatamente sperare è che nuove forme di organizzazione sociale, al momento impensabili, riescano ad essere più stabili dell’attuale trovando o ritrovando, da una parte, un rapporto non distruttivo con l’ambiente naturale, dall'altra,  forme di relazioni umane più sensate delle attuali.










martedì 31 luglio 2018

domenica 29 luglio 2018

Una rarità

Un intellettuale di sinistra intellettualmente onesto, di questi tempi, è una rarità. Questo articolo mi pare dimostri che Carlo Galli appartiene a tale categoria.

https://ragionipolitiche.wordpress.com/2018/07/26/la-guerra-delle-parole/

domenica 22 luglio 2018

La legge del più ricco

Douglas Rushkoff è uno studioso di media e tecnologie digitali, autore di vari libri, alcuni dei quali tradotti in italiano. In questo articolo, tradotto da "Voci dall'estero", disegna scenari piuttosto inquietanti

http://vocidallestero.it/2018/07/17/la-legge-del-piu-ricco-come-i-ricchi-pensano-di-abbandonarci-al-nostro-destino/

lunedì 16 luglio 2018

Il punto di non ritorno

Un articolo di Riccardo Achilli sulla fine della sinistra. Pur non condividendo il suo restare ancorato alle categorie di destra e sinistra, mi sembra che l'analisi sia molto convincente

http://sollevazione.blogspot.com/2018/07/il-punto-di-non-ritorno-di-riccardo.html

sabato 23 giugno 2018

Sinistra, certezza, verità (P. Di Remigio)

(Riceviamo da Paolo Di Remigio e volentieri pubblichiamo. M.B.)



Sinistra, certezza, verità

Paolo Di Remigio


La sinistra attuale è nata dal Sessantotto, quando gli studenti, anziché imparare dai docenti, decisero che la propria ignoranza non era inferiore alla loro scienza. L’ignoranza può sentirsi pari alla scienza solo se vanifica la distinzione tra sé e la scienza e riduce ogni verità alla certezza soggettiva. Se però esistono solo certezze, la verità del docente è nudo potere, a cui è legittimo opporre il nudo potere alternativo, il 'potere studentesco'. A differenza del potere del docente, che appare come potere immediato, il potere studentesco è potere riflesso: si impone per negare la sua negazione e svanisce quando l’ha portata a termine. Sottraendo il piedistallo alla cattedra ed eliminando la cattedra stessa, si finisce così in un’aula in cui ci sono solo banchi; si arriva cioè a un mondo variegato di sole certezze soggettive, il mondo aperto.
Poiché però la certezza è un’ignoranza paga di se stessa (‘sapere di sapere’ come l’ha chiamata Bagnai), che non riconosce nessun oggetto, dunque nessuna ragione oggettiva per vergognarsi di sé e trascendersi, la differenza tra le certezze soggettive può generare contrasto e il variegato mondo aperto può degenerare in una guerra illimitata. La certezza evita il conflitto associando all’ideale dell’apertura l’ideale della tolleranza.
In quanto si sottopone allo stress della tolleranza, la sinistra sente ormai la sua certezza non soltanto pari, ma addirittura superiore alla verità; infatti la verità, poiché non lascia esistere il falso accanto a sé, ne è anzi la dissoluzione, è intollerante. Per la certezza paga di sé, la verità, in quanto si sottrae alla fatica della tolleranza, è soltanto un comodo atteggiamento di chiusura mentale, apparentemente rassicurante, in realtà foriero di conflitto.
Ma la tolleranza non è esente da una sua dialettica. La tolleranza è tollerante con i tolleranti e intollerante con gli intolleranti. Proprio perché si conserva mediante l’intolleranza dell’intolleranza, la tolleranza è anche il contrario di se stessa. Viceversa, la stessa verità non è soltanto il contrario della certezza, come questa crede, ma ne è mediata: la verità non è la certezza ripiegata nel proprio comodo angolo, è invece la certezza che ha provato il potere dei fatti, è il faticoso parto dell’esperienza, ossia la certezza che nasce dall’aver esposto al pericolo la certezza soggettiva. La sua intolleranza non è dunque un difetto soggettivo, ma deriva dall’avere sperimentato l’intolleranza dei fatti e dal farla valere nella sua certezza.
Nel linguaggio attuale della sinistra la differenza tra certezza e verità è espressa come differenza tra ‘mente’ e ‘pancia’: ‘mente’ è la prerogativa della sinistra che sacrificherebbe anche i primogeniti all’apertura e alla tolleranza; ‘pancia’ è invece l’impellenza, il potere intollerante dei fatti. Ma con l’intollerante è doveroso essere intolleranti; i fatti devono dunque essere nascosti e distorti; la scienza deve essere tradita, la verità immolata, chi la esprime deve essere infamato, perché si realizzi finalmente il paradiso delle certezze. La nobile intenzione impedisce alla sinistra di percepire l’abiezione dei mezzi per realizzarla: la sua società aperta si instaura con la penna dei giornalisti prezzolati, con l’occupazione dei mezzi di comunicazione tradizionali, con la manipolazione della scuola, con la censura degli spazi comunicativi non addomesticati. La sinistra è questa contraddizione di un antifascismo fascista; il fascismo che essa sente rinascere dalle viscere della società è soltanto l’intolleranza della sua tolleranza.

sabato 16 giugno 2018

E adesso?

Difficile sottovalutare l'importanza della progressiva riduzione del QE da parte della BCE. In un articolo pubblicato su "Appello al popolo", Lorenzo D'Onofrio tenta di delineare lo scenario che ne risulterà

http://appelloalpopolo.it/?p=43091

giovedì 31 maggio 2018

Com'è umano lei!

Lupo Rattazzi compra pagine di giornali per argomentare che l'uscita dall'euro danneggerebbe i ceti medi medi e bassi. 


http://www.repubblica.it/politica/2018/05/31/news/governo_la_domanda_retorica_di_rattazzi_cari_salvini_e_di_maio_ma_avete_spiegato_l_italexit_ai_vostri_elettori_-197794497/?ref=RHPPTP-BH-I0-C12-P2-S6.3-T1




"Lupo Rattazzi, 65 anni, presidente di Neos, la compagnia aerea del gruppo Alpitour, è il quinto dei sei figli di Susanna Agnelli e Urbano Rattazzi, ed è stato a lungo uno dei protagonisti delle cronache del jet set romano. Ha studiato negli Stati Uniti e ha lavorato in Lehman e in Salomon. È stato a capo di Air Europe, la prima compagnia aerea privata italiana ed è stato membro del Consiglio di amministrazione di Exor, la finanziaria di famiglia che controlla, tra le altre società, Fca, Juventus e Ferrari". Così ci spiega l'articolista. Forse qualcuno, avvezzo a letture desuete, potrebbe vagamente ricordare una lontana frase, scritta in polverosi libri ottocenteschi, sul fatto che la storia umana è storia di lotta di classe, e sviluppare quindi qualche dubbio sull'afflato di Lupo Rattazzi verso la difesa del potere d'acquisto dei salari. La stessa persona potrebbe poi magari ricordare qualche dato sulla diminuzione, ad euro imperante, della quota nazionale dei salari e sull'aumento di quella dei profitti, e provare a chiedersi da quale delle due quote Lupo Rattazzi tragga le sue "quattro paghe per il lesso" di carducciana memoria. Ma sono pensieri cattivi, e l'articolista li spazza via con sicurezza. "Insomma, la sua biografia non lo obbligherebbe a schierarsi a difesa del potere d'acquisto dei salari. Ma, evidentemente, la passione civile sì". Che è un altro modo, meno divertente, di esprimere il celebre fantozziano "com'è umano lei!".

mercoledì 30 maggio 2018

Dicono di noi

(Nei giorni scorsi si è parlato di attacchi all'Italia sulla stampa tedesca. Molto opportunamente Paolo Di Remigio ha tradotto un articolo di Jan Fleischhauer, che pubblichiamo con un breve commento dello stesso Di Remigio. Articolo e commento sono pubblicati anche su "Appello al Popolo". M.B.)





Cosa dicono di noi gli amici tedeschi.
Il signor Fleischhauer unisce una disarmante ignoranza dei concetti economici elementari a un'invidia ingenua per un popolo che egli conosce solo in cartolina. Debito pubblico e debito estero hanno in comune di essere entrambi debito, è ovvio; mentre però il debito pubblico deve essere stabilizzato per mezzo della crescita economica, il debito estero nell'Eurozona deve essere combattuto con l'aumento delle esportazioni e la caduta delle importazioni, dunque con l'impoverimento indotto da soffocamento della crescita economica. All'interno della moneta unica europea, la diminuzione del debito estero comporta quindi l'aumento del debito pubblico – a prescindere dalle virtù e dai vizi nazionali. Nella mente del signor Fleischhauer debito pubblico e debito estero sono però debito e basta, cioè Schuld, colpa. Nulla indigna come la colpa altrui. Nulla distorce la visione sobria come l'indignazione. Così la disoccupazione disperata indotta dalla necessità di svalutare il lavoro in regime di cambio fisso per riequilibrare la bilancia dei pagamenti prende, nella mente del signor Fleischhauer, la forma del 'dolce far niente' dei milionari a Portofino. Così la richiesta di non considerare i titoli di debito pubblico già ripagati dalla BCE con l'emissione di moneta fiat diventa una bancarotta fraudolenta ai danni dei risparmiatori tedeschi. Così nella mente del signor Fleischhauer gli italiani diventano milionari bancarottieri e finiscono con il dare nuovo corpo a un archetipo disperso tra gli incubi della Seele germanica, l'archetipo del popolo parassita che succhia il sangue del popolo laborioso, a cui una ottantina di anni fa hanno dato corpo altri gruppi, prima che il problema che sembravano porre avesse una soluzione definitiva. (Paolo Di Remigio)

L'originale dell'articolo che traduciamo è al seguente indirizzo:

http://www.spiegel.de/politik/ausland/italien-die-schnorrer-von-rom-kolumne-a-1209266.html

Italia paese dei debiti. Gli scrocconi di Roma

Che nome dare a una nazione che prima apre la mano per farsi finanziare da altri la sua bella vita – e poi minaccia i suoi creditori se questi invocano la restituzione dei debiti?
Un editoriale di Jan Fleischhauer
24.05.2018
Editoriale
In un’intervista che il favoloso Sven Michaelsen ha ottenuto di recente da Rem Koolhaas, l’architetto ha parlato dei disastri combinati sulle montagne svizzere. Spuntano ovunque gli chalet dei ricchi designer milanesi. Non si riesce più a vedere qualcosa di originario. Non c’è più neanche puzza di letame perché non ci sono più vacche.
Questa frase mi ha fatto pensare alla ricchezza italiana mentre lunedì veniva presentato a Roma il futuro primo ministro. Il nuovo governo promette agli italiani il paradiso in terra: poche tasse, pensione anticipata e un reddito di base per tutti. Secondo le prime stime le spese per le beneficenze assommerebbero dai 100 ai 125 miliardi di euro l’anno.
Un paese tutt’altro che povero
Poiché non poteva mettersi d’accordo su dove risparmiare, la coalizione ha deciso di passare il conto ai vicini. I partner europei devono annullare 250 miliardi di euro di debiti all’Italia - così è scritto sul testo originale del contratto di coalizione negoziato dai vertici di Lega e Cinque Stelle.
Nel frattempo l’annullamento del debito è migrato nella parte invisibile del contratto. Il presidente della repubblica italiano, che deve ancora benedire il tutto, pare non sia un amico degli accordi a danno di terzi. Ma non per questo, ovviamente, l’idea è fuori discussione. Basta attendere che l’inchiostro sui documenti di nomina sia asciutto e tornerà alla luce.
L’Italia non è un paese povero. Il nord del paese è tra le regioni più ricche del mondo. Uno sguardo alla distribuzione del patrimonio mostra che gli italiani sono decisamente più ricchi perfino dei tedeschi. Secondo la London School of Economics una famiglia media italiana possiede 275.205 euro – che fanno 80.035 euro in più di una famiglia media tedesca. Oggettivamente l’Italia potrebbe ripagare i suoi debiti con le proprie forze, se il governo decidesse di coinvolgere seriamente i cittadini nel risanamento del bilancio statale. Si sarebbe già fatto un grande passo se gli italiani riuscissero a rinunciare al lassismo della loro morale fiscale.
L’accattone dice almeno grazie
Che nome dare all’atteggiamento di una nazione che prima apre la mano per farsi finanziare dagli altri il suo proverbiale dolce far niente – e poi minaccia di bastonare i creditori se questi insistono sulla restituzione del debito? Accattonaggio sarebbe un concetto sbagliato. L’accattone dice almeno grazie se gli si riempie il sacco. Scroccone violento coglie meglio il bersaglio.
Si va di fatto all’estorsione. O date soddisfazione alle nostre esigenze o mandiamo tutto a monte: questa è la minaccia inespressa dietro la decisione di annunciare la fine di tutte le regole sul debito per l’Italia. Rispetto all’Italia la Grecia era una bazzeccola. L’Italia è la terza economia dell’Eurozona, quasi un quarto dell’indebitamento complessivo dei paesi europei è sul conto dell’Italia. Se gli italiani decidono di non rispettare più i loro obblighi di pagamento, l’euro è finito e i tedeschi hanno perso tutto il denaro che hanno impegnato per salvarlo.
L’esperimento di una politica post-nazionale
Si sarebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro, aveva promesso Draghi al culmine dell'euro-crisi: “Whatever it takes”. A Roma si sono ricordati della promessa. Il valore dei titoli di Stato italiani che attraverso le vie intricate del sistema monetario hanno trovato accesso alla cantina della Banca Centrale Europea ammonta a circa 390 miliardi. Ora alla BCE non resta altro che proseguire la sua politica, perché ogni aumento degli interessi spingerebbe lo Stato italiano nell’insolvenza.
Non ho nulla in contrario se la gente vive sopra le sue possibilità. Da parte mia in Italia possono continuare a praticare evasione fiscale come sport nazionale. Trovo però indecente che si carichino i costi delle decisioni politiche sugli stranieri che hanno tutt’altra idea della politica e, dove possono scegliere, votano anche in modo corrispondente. Non riesco ad accordarlo con la mia concezione di democrazia.
Ma forse bisogna intendere l’avventura italiana come un esperimento di politica post-nazionale. Nessuna nazione con un po’ di dignità chiede aiuto alle altre se può fare da sé. Chi vuole passare da scroccone? A quanto pare gli italiani hanno superato questa forma di orgoglio nazionale.

martedì 29 maggio 2018

giovedì 24 maggio 2018

Una lettera di Paolo Savona

In queste ore si discute della candidatura di Paolo Savona a Ministro dell'Economia. Mi sembra interessante rileggere questa sua lettera aperta, di qualche anno fa, che il sito "Sollevazione" ha opportunamente ripubblicato.

http://sollevazione.blogspot.it/2015/08/non-cediamo-alla-ue-la-nostra-sovranita.html

domenica 13 maggio 2018

Un'inchiesta sulle classi popolari

Un'interessante iniziativa di ricerca sociale:

http://sbilanciamoci.info/lavoro-politica-uninchiesta-sulle-classi-popolari/

Dalla ricerca risulta che i temi che stanno più a cuore alle persone intervistate sono il lavoro, la sanità, la casa, e che "la richiesta è quella di più Stato e più servizi pubblici".

sabato 12 maggio 2018

Consolazioni

Sono convinto che la nostra civiltà sia destinata a sparire, in tempi non lunghissimi. In genere è un pensiero che mi rattrista. Poi mi capita di ascoltare l'intervista che trovate nel link seguente, e allora mi consolo. Se tutto quello che la nostra civiltà riesce a produrre sono tizi come questo "Capo Plaza", forse è davvero il tempo di sparire

http://www.ilsecoloxix.it/p/eventi/2018/05/09/ACEV4jeD-feltrinelli_vogliamo_annoiarci.shtml

martedì 1 maggio 2018

Sul concetto di verità (P.Di Remigio)


(Riceviamo da Paolo Di Remigio, e volentieri pubblichiamo, questo articolo, già apparso in "Appello al popolo". M.B.)




Sul concetto di verità

Paolo Di Remigio

Da almeno due secoli, anziché offrire la forma definitiva della conoscenza, la filosofia rassicura che la verità sia inopportuna, e in parte escogita labirinti di pensiero alternativi al percorso logico, in parte la diffama pretendendo di scorgervi il proposito di un atteggiamento totalitario – da una parte una scuola europea legata a una filosofia della storia sempre più esangue rifiuta la verità come superficiale, dall’altra una filosofia nord-atlantica legata a una concezione sempre più oscurantista della scienza la ritiene incompatibile con la democrazia-liberale, che si attiene alla diversità delle opinioni come dato ultimo legittimo.
La verità è il linguaggio umano che si trova in accordo con la realtà – adaequatio rei et intellectus è la splendida definizione scolastica: non soltanto res ma accordo tra la res e l’intellectus. La sua immagine mitica sono i nomi che Adamo assegna alle creature. Il rifiuto della verità è dunque il rifiuto dell’accordo tra soggetto e oggetto: il soggetto può preferire la sua insufficienza e tenersi estraneo l’oggetto. Il soggetto può scegliere il falso.
L’essere una scelta pone la falsità nella sfera dell’etica; le sue forme possono essere ricavate da questa. Tre sono le forme giuridiche dell’illecito: quella per cui si vuole il diritto in generale, ma ci si attribuisce un diritto particolare altrui, l’inganno con cui si lede la sostanza del diritto altrui rispettandone l’apparenza, il delitto che annulla l’essenza e l’apparenza del diritto. A queste tre forme giuridiche corrispondono solo due forme morali – volere il diritto in generale è infatti l’essenza della morale : l’ipocrisia e la coscienza assoluta che trasforma in legge il suo arbitrio[1]. Poiché la verità non dipende soltanto dall’intenzione del soggetto, la falsità ha di nuovo tre forme: l’errore, se senza intenzione si è fuorviati da un’apparenza; la menzogna, se si svia con intenzione, cioè se ci si riserva una verità e si comunica agli altri un’apparenza; l’idealismo soggettivo, quando si squalifica la realtà necessaria rispetto al possibile. Mentre gli errori non chiedono di meglio che di essere corretti e sono anzi un momento della stessa esposizione della verità, la menzogna è il mezzo usuale della strategia manipolativa; molto del disprezzo attuale che si mostra alla verità, l’abitudine a considerarla impotente, è generato dalla rassegnazione o dalla condiscendenza alla menzogna universale che soffoca la modernità: emancipandosi dalla religione medievale disprezzata come impostura dei preti, l’illuminismo ha creato il giornalismo, ossia la comunicazione come merce, che mente programmaticamente per timore di perdere il committente o il cliente. Il vertice estremo del falso, l’idealismo soggettivo, è la sovranità del soggetto che si tiene alla sua idea per evitare la fatica dell’imparare, che dice di preferire il suo percorso di ricerca alla meta della scoperta, che sostituisce il godimento dell’accordo con l’oggetto con il sentimento di onnipotenza suscitato dal cosciente discordare da sé. Il suo principio è il disprezzo della logica.

lunedì 30 aprile 2018

Conseguenze di Brexit

Qualche osservazione dall'Inghilterra, a proposito di Brexit:

http://vocidallestero.it/2018/04/30/le-sorprendentemente-buone-conseguenze-della-brexit/


Naturalmente è solo un punto di vista. Si potrebbe obiettare che l'uscita non è ancora effettiva, che c'è di mezzo una congiuntura internazionale favorevole, e così via. Sta di fatto che le previsioni del mainstream alla vigilia erano di tutt'altro segno, come riporta l'autore.


venerdì 30 marzo 2018

L’eredità del 10 febbraio 1947 (P. Di Remigio)


(Riceviamo da Paolo Di Remigio, e volentieri pubblichiamo, questo articolo che appare anche su "Appello al popolo").




L’eredità del 10 febbraio 1947

Paolo Di Remigio


Non sappiamo se il nuovo Parlamento sarà in grado di esprimere e sostenere un governo. Non sappiamo neanche se l’eventuale governo sarà in grado di incontrare l’aspettativa generale di uscire dal degrado economico e culturale a cui vent’anni di dittatura mondialista ci hanno condannato. In ogni caso le ultime elezioni hanno avuto un risultato esplicito: il ceto politico che ha rovinato l’Italia per conto del potere mondialista ha perso per sempre la fiducia degli italiani.
Di cosa abbia bisogno l’Italia non è affatto chiaro, perché spesso manca la consapevolezza della posizione dell’Italia nel mondo. Si tratta di un fatto troppo banale per essere percepito e diventare presupposto di ogni considerazione politica: l’Italia in cui siamo nati e vissuti è basata sì sulla Costituzione del 1948, ma anche sul Trattato di pace del 10 febbraio 1947; e tra i due documenti è aperto il più amaro contrasto. Per la Costituzione del ‘48 siamo infatti un popolo sovrano, per il Trattato di pace del ‘47 siamo una nazione sconfitta, colpevole, senza forze armate, senza politica estera, senza controllo del territorio, senza magistratura indipendente. Una nazione indotta a dividersi in partiti inesorabilmente ostili, che si appoggiano a potenze straniere e si nutrono di esterofilia.
Evitata la ruralizzazione dell’Italia nei disegni della Gran Bretagna, i nostri padri hanno con tenacia riconquistato l’emancipazione economica, ma non quella quella politica e culturale. È stato dunque fatale che alla prima svolta storica finissimo nelle mani di un ceto politico e culturale così supino agli interessi stranieri da lasciar distruggere la stessa emancipazione economica.
Negli anni ‘80 l’agonia dell’URSS, anziché condurre a un ripensamento dell’essenza della guerra fredda, a un riesame dell’ossessione anticomunista – come le recenti vicende internazionali dimostrano: non un confronto del bene con il male, ma una strategia per vincolare i vassalli al carro anglosassone –, esasperò questa ossessione in un delirio. Ci fu allora chi squalificò la Resistenza come un fenomeno marginale e inopportuno, chi sostenne l’equivalenza tra repubblichini e partigiani; si dimenticò che la giustificazione più nobile che i “ragazzi di Salò” avevano saputo dare alla loro scelta consisteva nel desiderio di non tradire l’alleanza con i tedeschi, dunque in un’adesione alla “Neue Ordnung” per cui l’Italia sarebbe stata schiacciata nei ranghi inferiori del Reich millenario germanico; si sorvolò sul fatto che con la Resistenza partigiana l’Italia acquisì almeno l’esigenza di sovranità rispetto alle potenze occupanti. Enrico Mattei, partigiano ed eroe dell’emancipazione economica dell’Italia, è il simbolo di questa esigenza. Negli anni ‘80 un ceto politico e intellettuale che ossessionato dall’anticomunismo si era lasciato irregimentare nell’esercito combattente per il ‘Manifest destiny” non poté trattenersi dall’insultare chi aveva preferito reagire all’invasione. Il disprezzo della Resistenza si estese alla Costituzione elaborata dai partiti del CLN e alla sovranità che essa comportava. Non fu un nuovo inizio; la seconda Repubblica che disprezzò il documento del 1 gennaio 1948, si illuse di essersi inserita nel nuovo ordine mondiale in una posizione di forza, quella di membro della UE, ma in effetti era regredita al Trattato del 10 febbraio 1947. A proposito del quale Benedetto Croce, nel suo discorso alla Costituente, paventò: “E non vi dirò che … le generazioni future dell’Italia … ci terranno responsabili ... di aver lasciato vituperare e avvilire e inginocchiare la nostra comune Madre a ricevere rimessamente un iniquo castigo; non vi dirò questo, perché so che la rinunzia alla propria fama è in certi casi estremi richiesta all’uomo che vuole il bene o vuole evitare il peggio; ma vi dirò quel che è più grave, che le future generazioni potranno sentire in se stesse la durevole diminuzione che l’avvilimento, da noi consentito, ha prodotto nella tempra italiana, fiaccandola. Questo pensiero mi atterrisce, e non debbo tacervelo nel chiudere il mio discorso angoscioso”[1].


[1]          Intervento all’Assemblea Costituente durante la discussione sulla ratifica del trattato di pace. Consultabile al seguente indirizzo: http://www.camera.it/_dati/Costituente/Lavori/Assemblea/sed200/sed200.pdf

sabato 10 marzo 2018

La guerra di Corea (P.Di Remigio)


(Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa riflessione di Paolo DI Remigio sulle radici storiche dell'attuale situazione coreana M.B.) 






LA GUERRA DI COREA
Paolo Di Remigio

I contorni che la stampa delinea della Corea del Nord compongono un’immagine univoca: uno ‘Stato canaglia’, cioè uno Stato di troppo, con una popolazione affamata e disumanizzata da un regime terroristico, che riconosce come guida suprema la versione orientale dello stereotipo hollywoodiano dell’imperatore Nerone. Che sia vero, esagerato o falso, questo quadro non dispensa dalla spiegazione storica; tanto più che i recenti avvenimenti testimoniano con chiarezza una sorprendente volontà di pacificazione tra le due Coree e atteggiamenti di inesorabile intransigenza negli esponenti dell’amministrazione statunitense. La spiegazione di questi fenomeni è ciò che i libri di storia, con un termine che in realtà ne pregiudica la comprensione, chiamano ‘guerra di Corea’.
La democratizzazione verificatasi dagli anni ‘90 in Corea del Sud, tra gli altri risultati, ha consentito di istituire una Commissione coreana per la verità e per la riconciliazione[1], i cui lavori, insieme a quelli di una nuova leva di storici sudcoreani, hanno ricostruito un’immagine della guerra di Corea del tutto differente rispetto al racconto e alle spiegazioni che gli americani avevano finora proposto. Nel 1950 questi avevano parlato di un’azione di polizia internazionale; poi, negli anni ‘60, di guerra limitata; negli anni ‘70-80, di guerra sconosciuta o dimenticata; negli anni ‘90, con l’accesso ai documenti dell’ex Unione Sovietica, hanno riproposto la versione dell’espansionismo del comunismo internazionale. Secondo la ricostruzione storica recente, la guerra di Corea nasce invece nel contesto dell’imperialismo giapponese in Estremo Oriente.
Nel 1910 i giapponesi trasformano in colonialismo il loro protettorato sulla Corea acquisito nel 1905 e con il motto Nae-son-il-chae (letteralmente: Giappone Corea un corpo) impongono il genocidio culturale dei coreani. Non tarda a manifestarsi una resistenza coreana al colonialismo giapponese; duramente repressa dai giapponesi, è costretta a sconfinare in Manciuria; così, quando nel 1931 i giapponesi la strappano alla Cina creandovi lo Stato fantoccio del Manciukuò, dell’estesa guerriglia contro l’occupazione giapponese sono protagonisti non soltanto i cinesi ma anche i coreani guidati da Kim Il-sung.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale i giapponesi esasperano il genocidio culturale e inaugurano uno schiavismo senza ipocrisie: più di due milioni di coreani sono deportati in Giappone per essere sostituiti ai lavoratori giapponesi arruolati (è tale la presenza coatta coreana in Giappone che 40.000 delle 140.000 vittime di Hiroshima e Nagasaki sono coreane), da 50000 a 300000 ragazze (l’imprecisione del numero è una responsabilità dei governi giapponesi che rifiutano di aprire gli archivi), per lo più coreane, sono reclutate come ‘donne di conforto’ da stuprare nei bordelli militari al fronte.

martedì 6 marzo 2018

lunedì 5 marzo 2018

Un filo di razionalità

Non c'era molto da aspettarsi da queste elezioni, però quel poco che si poteva sperare in effetti è accaduto davvero: il PD ha ricevuto una sonora batosta, la sinistra in generale è ridotta a poca cosa. Questo è un dato positivo, forse l'unico di queste elezioni. Non tanto per quello che adesso potrà succedere (su questo non mi azzardo a fare previsioni) quanto perché la disintegrazione della sinistra sembra indicare che sta emergendo negli elettori un filo di razionalità. Ovvero, se per decenni continui a massacrare la tua base sociale, non puoi sperare che continuino in eterno a votarti. C'è voluto un sacco di tempo, la base sociale popolare della sinistra ha dimostrato davvero una pazienza infinita, ma adesso finalmente i ceti politici della sinistra stanno ricevendo il giusto compenso per le politiche antipopolari da essi perseguite per decenni.
Un discorso diverso va fatto, ovviamente, per "Potere al popolo", che rappresenta piuttosto l'ennesima dimostrazione dell'assoluta incapacità della sinistra radicale di uscire dal proprio ghetto. Si tratta di realtà (partitini, centri sociali e cose simili) che hanno fatto della marginalità e dell'irrilevanza una scelta di vita, e meritatamente ottengono ciò a cui aspirano.
Alla fine ognuna delle varie anime della sinistra riceve ciò che merita. Requiescant.

martedì 27 febbraio 2018

Sul voto

Un esame delle diverse opzioni per chi non si riconosce in nessuna delle liste presenti alle elezioni di domenica prossima

http://sollevazione.blogspot.it/2018/02/astensione-scheda-nulla-scheda-bianca-o.html


Per quanto mi riguarda penso che sceglierò l'opzione 5.

domenica 18 febbraio 2018

Dichiarazione di voto

(Riprendo dal profilo facebook di Fabrizio. M.B.)

Vorrei davvero poter votare un partito che proponesse un programma di attuazione della Costituzione, simile al seguente:
- Sovranità, unità e solidarietà nazionali, disintegrazione della UE.
- Tutela del lavoro subordinato ed autonomo, in ogni sua forma e perseguimento della piena occupazione per una effettiva giustizia sociale.
- Repressione delle rendite, finanziaria e urbana.
- Ripristino di un sistema finanziario nazionale e controllo della circolazione dei capitali.
- Sottoposizione della Banca Centrale al potere esecutivo.
- Programmazione e controllo statale dell'economia, nel rispetto dell'iniziativa privata, che lo Stato deve indirizzare all'utilità sociale.
- Nazionalizzazione delle imprese riferite a servizi essenziali o a carattere strategico e tutela della produzione nazionale.
- Ricorso ad un moderato protezionismo in settori dove lo richieda l’interesse nazionale, per promuovere la domanda interna e i redditi da lavoro, autonomo e subordinato.
- Rifiuto della scuola azienda, valorizzazione degli insegnanti e massicci investimenti nell'istruzione pubblica e nella ricerca.
- Salvaguardia incondizionata del territorio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione.
- Progressività nell'imposizione fiscale per un sistema tributario equo, moderno e giusto, che elimini col tempo le imposte indirette, per natura non progressive.
- Centralizzazione della funzione legislativa e nuovo “localismo” per gli enti territoriali.
- Ripudio della guerra, non ingerenza negli affari interni degli altri paesi, rifiuto dei vincoli di sudditanza politica nella stipula degli accordi internazionali.
- Controllo delle frontiere, regolamentazione dei flussi migratori, rigoroso adempimento degli obblighi di protezione sanciti dalla Costituzione e dal diritto internazionale.
Se fossi residente nel Lazio voterei Stefano Rosati alle elezioni regionali.
Per quanto riguarda le elezioni politiche, spero che nella tornata successiva alla prossima, sulla scheda vi sia il simbolo del partito che questo programma lo ha davvero: