E Massimo Pivetti vi spiega perché:
https://www.youtube.com/watch?v=FjFbQ1tX0WA
venerdì 30 settembre 2016
domenica 25 settembre 2016
Pillole di verità dal mainstream
Come abbiamo fatto notare più volte, le analisi che l'area antieuro proponeva anni fa sono ormai diventate mainstream. Un esempio è questo articolo sul Corriere, di Federico Fubini:
http://www.corriere.it/cultura/16_settembre_25/surplus-commerciale-tedesco-ea7b56b6-8286-11e6-8b8a-358967193929.shtml
Il passaggio più interessante è quello in cui Fubini dice che l'euro è una moneta sottovalutata per la Germania e sopravvalutata per Italia e Francia, ma aggiunge che "la soluzione non può essere la rottura dell'euro". E allora quale mai sarà la soluzione? Fubini non lo dice, perché ovviamente non c'è nessun'altra soluzione, almeno nessuna politicamente praticabile nelle condizioni date.
Intanto, in attesa che qualcuno trovi la soluzione alternativa che Fubini non sa indicare, la situazione continua a peggiorare:
http://www.corriere.it/economia/16_settembre_24/crescita-dimezzata-vincoli-ue-337a00b4-8297-11e6-8b8a-358967193929.shtml
http://www.corriere.it/cultura/16_settembre_25/surplus-commerciale-tedesco-ea7b56b6-8286-11e6-8b8a-358967193929.shtml
Il passaggio più interessante è quello in cui Fubini dice che l'euro è una moneta sottovalutata per la Germania e sopravvalutata per Italia e Francia, ma aggiunge che "la soluzione non può essere la rottura dell'euro". E allora quale mai sarà la soluzione? Fubini non lo dice, perché ovviamente non c'è nessun'altra soluzione, almeno nessuna politicamente praticabile nelle condizioni date.
Intanto, in attesa che qualcuno trovi la soluzione alternativa che Fubini non sa indicare, la situazione continua a peggiorare:
http://www.corriere.it/economia/16_settembre_24/crescita-dimezzata-vincoli-ue-337a00b4-8297-11e6-8b8a-358967193929.shtml
giovedì 22 settembre 2016
Sincerità
Alessandra Daniele pubblica le sue "schegge taglienti" sulla rivista online "Carmilla". A volte è geniale, come in questo caso
https://www.carmillaonline. com/2016/09/11/sincerita- italiana/
https://www.carmillaonline.
mercoledì 21 settembre 2016
Bene
Ogni tanto, molto raramente, c'è una buona notizia, e ci sembra giusto segnalarla. Speriamo che non ci siano ripensamenti.
http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/09/21/news/olimpiadi_gia_pronta_la_mozione_della_raggi_per_dire_no_alla_candidatura-148225872/?ref=HREA-1
http://roma.repubblica.it/cronaca/2016/09/21/news/olimpiadi_gia_pronta_la_mozione_della_raggi_per_dire_no_alla_candidatura-148225872/?ref=HREA-1
martedì 20 settembre 2016
Litigi veri o finti?
Una condivisibile analisi di Leonardo Mazzei:
http://sollevazione.blogspot.it/2016/09/il-fumo-e-larrosto-di-bratislava-di.html
http://sollevazione.blogspot.it/2016/09/il-fumo-e-larrosto-di-bratislava-di.html
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lunedì 19 settembre 2016
La rivolta per i compiti a casa (P.Di Remigio)
(Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Paolo Di Remigio sul tema dei compiti a casa, del quale abbiamo parlato qui. M.B.)
Forse
il rifiuto di fare i compiti per le vacanze voleva essere un ultimo
gesto contro l'autorità della scuola1
– in ogni caso è sprofondato nelle sabbie mobili di una
imperturbata tolleranza: la scuola non ha reagito punitivamente;
configurata infatti secondo il modello dell'ospizio, come potrebbe
scomporsi se un suo cliente non segue delle prescrizioni dettate più
dall'abitudine che dalla convinzione? Rifiutarle, anziché essere un
atto di coraggiosa rottura, somiglia piuttosto all'accanimento contro
un corpo senza vita; e solo per questo trova un'eco nella stampa
italiana. Essa infatti sopravvive offrendo ai suoi lettori, anziché
informazioni, soddisfazioni occulte dei loro desideri2
e alimentando il sentimento di sé dell'ignoranza; il dilettantismo,
l'incapacità di argomentare, l'incolta soggettività che si riduce
ad avere se stessa come unico oggetto, possono acquisire nei suoi
articoli un'aria di importanza.
Al
padre che non ha fatto fare i compiti estivi al figlio perché lo ha
impegnato in tante bellissime attività, si poteva obiettare che lo
svolgimento di quei compiti non precludeva quello delle bellissime
attività, che le lunghe giornate estive offrono tempo per quelli e
per queste, che in generale durante le vacanze non solo ci si diverte
e riposa, ma ci si lava, si pulisce casa, si cucina come quando si
lavora – che insomma il rifiuto è del tutto pretestuoso dal punto
di vista pratico. Dietro l'inconsistenza pratica del rifiuto sarebbe
allora apparsa una sublime quaestio juris, il principio per
cui gli insegnanti devono insegnare ciò che hanno da insegnare nei
limiti del tempo-scuola loro concesso, e non devono esorbitare sui
pomeriggi e sui giorni di vacanze. In questa prospettiva il lavoro
domestico degli alunni appare una corvée imposta dal mancato
lavoro scolastico di insegnanti infingardi – un capitolo nel lungo
romanzo della corruzione e delle inadempienze dei lavoratori
pubblici. È per questo che nel rifiuto dei compiti a casa si avverte
un certo tono da denuncia al tribunale amministrativo o almeno quello
della rivendicazione sindacale. Toni del tutto fuori luogo: quanto
alla rivendicazione sindacale, forse non è superfluo ricordare che
essa è legittima per i produttori di ricchezza, per i lavoratori,
che gli studenti, benché ugualmente lavoratori, non producono
tuttavia ricchezza, che, anzi, la scuola costa alla famiglia e
alla collettività, che dunque ogni consegna scolastica non ha nulla
a che fare con l'estorsione di lavoro non pagato; quanto alla
denuncia del presunto illecito, essa si basa sulla grossolana
ignoranza dei fatti elementari della didattica. Innanzitutto,
la richiesta di limitare il lavoro scolastico a scuola
presuppone la convinzione discutibilissima che questo lavoro non
offra strumenti di applicabilità universale, in grado di
rendere l'individuo adeguato ai problemi di ogni ambito
vitale, che cioè le cose imparate a scuola per principio
servano solo a scuola e a null'altro. Se fosse così, allora sarebbe
meglio abolire del tutto l'obbligo scolastico – certi ambienti
neoliberali non si augurano di meglio. In secondo luogo, il rifiuto
di lavorare a casa implica la convinzione che il lavoro senza la
presenza dell'insegnante possa e debba essere
sostituito dal lavoro con la presenza dell'insegnante. Mentre la
prima convinzione equivale al rozzo pregiudizio dell'inutilità del
pensiero teorico, la seconda convinzione nasce dai profondi equivoci
che dominano la didattica da quando vi è stato importato il modello
anglosassone – quello che in ottemperanza all'anarco-liberalismo fa
dell'alunno un cliente.
Non
è questo il luogo di confutare il rifiuto della teoresi – lo ha
già fatto la storia del mondo. Può essere invece utile ricordare
che dalla frequenza della scuola l'alunno deve trarre competenze
– deve saper parlare, scrivere, capire e risolvere problemi in
generale – e che l'insegnante può dare molto ma, disgraziatamente,
non le competenze, perché queste non possono essere trasmesse
magicamente, ma ognuno se le forma a partire dal proprio lavoro
privato e nella misura estensiva (quanto tempo) e intensiva (con
quanta accuratezza) in cui lo svolge. Compito della scuola è 1.
scegliere, ordinare e illustrare i contenuti scientifici, 2.
prescrivere, correggere e valutare le esercitazioni. Si vede subito
che l'insegnante è protagonista del primo punto, che lo studente lo
è del secondo. Lo svolgimento puntuale del primo, per quanto
stimolante e creativo sia stato, equivale a «scrivere sull'acqua»,
come scrive Hegel nel brano proposto più sotto, se non gli si
accompagna lo svolgimento altrettanto puntuale del secondo, che è
compito individuale, solitario, dell'alunno. L'insegnante non
può imparare al posto dell'alunno, né lo può fare un alunno al
posto dell'altro, come accade di solito nei lavori di gruppo; può
stimolarlo con la sua scienza e creatività, può obbligarlo con la
minaccia delle valutazioni negative – in ogni caso l'alunno diventa
competente con il proprio lavoro, esercitandosi.
Il
frammento seguente, tratto dal discorso che Hegel in qualità di
rettore tenne il 14 settembre 1810 al Ginnasio di Norimberga,
contribuirà a sollevare il velo che la pigrizia torna eternamente a
stendere sugli elementi di ogni azione didattica.
«Affinché
per gli studenti la lezione impartita a scuola diventi fruttuosa,
affinché per suo tramite facciano effettivi progressi, la loro
diligenza privata è necessaria quanto la stessa lezione …
Nulla è più essenziale che perseguire con ogni severità e
sottomettere a un regolamento inesorabile il vizio della negligenza,
del ritardo o dell'omissione dei lavori, così che la consegna
puntuale del compito diventi qualcosa di immancabile come il sorgere
del sole. Questi lavori sono importanti non solo perché quanto
appreso a scuola si imprima più saldamente con la ripetizione, ma
soprattutto perché la gioventù sia condotta, oltre il nudo
recepire, all'occupazione attiva, al proprio sforzo. Infatti
l'apprendere come nudo recepire e memorizzare è un aspetto molto
incompleto dell'istruzione. Viceversa, la tendenza dei giovani a
ritrarsi nel proprio punto di vista e a disprezzare l'oggetto è
altrettanto unilaterale e va tenuta con cura lontana da essi. Per
tutti i primi quattro anni di apprendimento gli allievi di Pitagora
dovevano tacere, cioè non avere o manifestare proprie idee e
pensieri; infatti il fine principale dell'educazione è che siano
estirpati pareri, pensieri e riflessioni che la gioventù può avere
e fare, e il modo in cui può farseli da sé; come la volontà, anche
il pensiero deve iniziare dall'obbedienza. Se però l'imparare si
limitasse a un nudo recepire, l'effetto non sarebbe molto migliore
dello scrivere frasi sull'acqua; infatti non il riceverla, ma
soltanto l'attività dell'afferrarla e la facoltà di riutilizzarla
fanno di una nozione una nostra proprietà. Se invece la tendenza va
soprattutto all'affermare la propria superiorità sull'oggetto, nel
pensiero non arrivano mai disciplina ed ordine, nella conoscenza non
arrivano nesso e coerenza. È dunque necessario che al ricevere sia
aggiunto il proprio sforzo, non come un creare inventivo, ma come
applicazione dell'appreso, come tentativo di cavarsela per suo
tramite con altri casi singoli, con altro materiale concreto. La
natura di ciò che si insegana negli istituti scolastici, a partire
dalle prime determinazioni grammaticali, non è una serie di fenomeni
sensibili, isolati, ciascuno dei quali valga solo per sé e sia
soltanto oggetto dell'intuire e del rappresentare o della memoria, ma
è in primo luogo una serie di regole, di determinazioni universali,
di pensieri e leggi. In questi la gioventù acquisisce subito
qualcosa che essa può applicare e un materiale a cui può applicarlo
– strumenti e armi per cimentarsi con il singolo, una capacità di
venirne a capo. – La natura del materiale e la modalità di
istruzione, che non è inculcare una collezione di casi singoli, una
folla di parole e locuzioni, ma è un procedere interattivo tra
singolo e universale, conferisce all'apprendere … il carattere
dello studio …»3.
1
Per i primi gesti cfr. l'interessante
intervista rilasciata da Luigi Bobbio e contenuta al minuto 21:20
del seguente filmato
http://www.raistoria.rai.it/articoli/litalia-della-repubblica-studenti-e-operai-in-lotta/33654/default.aspx
2 «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili». (Romani 8,26)
3
Il testo che abbiamo tradotto è contenuto in Hegel,
Nürnberger und Heidelberger Schriften, Suhrkamp Verlag, Frankfurt
am Main, 1970, pp. 331-333.
domenica 18 settembre 2016
venerdì 16 settembre 2016
Nel paese dei balocchi
Da qualche tempo si discute sul grave problema dei compiti a casa. Molti genitori e qualche insegnante ne teorizzano il rifiuto. L'ultima di queste discussioni, in ordine di tempo, è nata dalla lettera di un padre, pubblicata su facebook, che informava gli insegnanti della propria decisione di non far fare i compiti delle vacanze al figlio:
http://www.huffingtonpost.it/2016/09/13/lettera-di-un-papa-contro-i-compiti-per-le-vacanze_n_11989058.html
Non c'è niente di nuovo, naturalmente, nel rifiuto della fatica e della disciplina che comporta l'acquisizione del sapere. E' ovvio che è più divertente fare le cose divertenti, che è più interessante fare le cose per le quali proviamo un interesse immediato. Di tutto ciò ha parlato uno dei testi fondamentali della cultura occidentale, "Le avventure di Pinocchio", quando Collodi descrive il paese del balocchi. Un posto che ovviamente è molto più divertente e interessante della scuola. Collodi sapeva però la verità che i genitori e gli insegnanti di cui si discorre hanno dimenticato, o non hanno proprio mai saputo: il paese dei balocchi ha uno scopo preciso, quello di trasformare i nostri figli in somari bastonati e sfruttati. Fossi complottista, mi verrebbe da dire che l'attenzione mediatica che si dà a iniziative come quella del padre di cui sopra, è il risultato di un piano per trasformare l'Italia in un paese di somari bastonati e sfruttati. Ma il complottismo è sbagliato, e la verità è più semplice e più triste: siamo già un popolo di somari bastonati e sfruttati. È per questo che sui giornali trovano spazio queste discussioni, ma non c'è un dibattito serio sull'euro. È per questo che ci teniamo l'orribile classe politica di destra e di sinistra. È per questo che il nostro paese cade a pezzi.
http://www.huffingtonpost.it/2016/09/13/lettera-di-un-papa-contro-i-compiti-per-le-vacanze_n_11989058.html
Non c'è niente di nuovo, naturalmente, nel rifiuto della fatica e della disciplina che comporta l'acquisizione del sapere. E' ovvio che è più divertente fare le cose divertenti, che è più interessante fare le cose per le quali proviamo un interesse immediato. Di tutto ciò ha parlato uno dei testi fondamentali della cultura occidentale, "Le avventure di Pinocchio", quando Collodi descrive il paese del balocchi. Un posto che ovviamente è molto più divertente e interessante della scuola. Collodi sapeva però la verità che i genitori e gli insegnanti di cui si discorre hanno dimenticato, o non hanno proprio mai saputo: il paese dei balocchi ha uno scopo preciso, quello di trasformare i nostri figli in somari bastonati e sfruttati. Fossi complottista, mi verrebbe da dire che l'attenzione mediatica che si dà a iniziative come quella del padre di cui sopra, è il risultato di un piano per trasformare l'Italia in un paese di somari bastonati e sfruttati. Ma il complottismo è sbagliato, e la verità è più semplice e più triste: siamo già un popolo di somari bastonati e sfruttati. È per questo che sui giornali trovano spazio queste discussioni, ma non c'è un dibattito serio sull'euro. È per questo che ci teniamo l'orribile classe politica di destra e di sinistra. È per questo che il nostro paese cade a pezzi.
La storia infinita
Le politiche austeritarie riproducono se stesse, all'infinito:
http://www.repubblica.it/economia/2016/09/15/news/crisi_portogallo-147779935/?ref=HRLV-4
http://vocidallestero.it/2016/09/07/zerohedge-un-altro-stallo-greco-leuropa-rifiuta-i-soldi-ad-atene-finche-le-riforme-non-saranno-adottate/
http://www.repubblica.it/economia/2016/09/15/news/crisi_portogallo-147779935/?ref=HRLV-4
http://vocidallestero.it/2016/09/07/zerohedge-un-altro-stallo-greco-leuropa-rifiuta-i-soldi-ad-atene-finche-le-riforme-non-saranno-adottate/
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lunedì 12 settembre 2016
Un'intervista a Bagnai
Segnaliamo una bella intervista a Bagnai
http://www.ilpopulista.it/news/6-Settembre-2016/4665/alberto-bagnai-l-eurozona-sta-andando-a-picco-la-catastrofe-e-l-euro-non-la-brexit.html
http://www.ilpopulista.it/news/6-Settembre-2016/4665/alberto-bagnai-l-eurozona-sta-andando-a-picco-la-catastrofe-e-l-euro-non-la-brexit.html
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sabato 10 settembre 2016
Le assurdità della "deforma" costituzionale
Un video ben fatto, che si limita essenzialmente a leggere il testo di uno degli articoli sui quali si voterà al referendum
https://www.youtube.com/watch? v=9lkIvhy8K-U
https://www.youtube.com/watch?
giovedì 8 settembre 2016
III Forum No Euro
Segnaliamo l'importante iniziativa
http://sollevazione.blogspot.it/2016/08/eccolo-il-iii-forum-no-euro-programma.html
http://sollevazione.blogspot.it/2016/08/eccolo-il-iii-forum-no-euro-programma.html
domenica 4 settembre 2016
Qualche osservazione sull'intervento di Cesaratto (P.Di Remigio)
(Riceviamo e volentieri pubblichiamo uno scritto di Paolo Di Remigio a proposito dell'intervento di Cesaratto che abbiamo segnalato sul blog. M.B.)
L'intervento
di Cesaratto, «Il proletariato (non) ha nazione …»1,
largamente condivisibile, anzi illuminante in molti punti, nella sua
prima parte non sembra spingere abbastanza in profondità la critica
della sinistra e forse anche questo contribuisce a rendere oggi, come
scrive lo stesso Cesaratto, «maledettamente difficile» la
«prospettiva politica di cambiamento».
Un
primo eccesso di delicatezza appare rispetto alla citazione di
Gallisot: «Proprio perché la classe operaia è priva di proprietà,
non è più lacerata dai limiti dell’interesse privato, diventa per
ciò stesso suscettibile di solidarietà». Questa proposizione
contiene un doppio, grave errore: 1. Sembra credere che la proprietà
privata sia incompatibile con la solidarietà; ma nessun proprietario
privato è soltanto proprietario privato; egli è anche membro
di una famiglia, a cui è legato dalla più forte delle solidarietà,
cioè dall'affetto; inoltre è membro di uno Stato a cui paga (in
qualche misura) le tasse e presta, se necessario, servizio militare,
e queste sono forme concrete della solidarietà con cui è prodotta
la res publica. 2. Sembra credere che l'essere priva di
proprietà renda particolarmente «suscettibile di solidarietà» la
classe operaia; invece è evidente proprio il contrario, che la
necessità di dover fronteggiare da una posizione debole la lotta per
la vita nella società civile può solo facilitare l'assunzione di
stili di vita egoistici. Gli interessi egoistici, infatti, non
terminano con la proprietà privata: l'interesse a trovare un lavoro
decente mette in competizione i proletari in modo più duro che i
borghesi. La proposizione di Gallisot è insomma del tutto
immotivata, un desiderio scambiato per realtà.
Vediamo
ora cosa risponda Cesaratto. Egli ricorda giustamente che le classi
operaie delle diverse nazioni sono in concorrenza a. in quanto
partecipano indirettamente alla concorrenza tra i diversi capitalismi
nazionali; b. in quanto sono esposti alla concorrenza dei lavoratori
immigrati; ma dimentica che il salario, il prezzo della forza lavoro,
si forma sulla base della concorrenza tra i lavoratori. Eppure nella
stessa citazione di Marx riportata qualche riga sotto si trova una
smentita indiretta del mito della solidarietà operaia: « …
per poter combattere … la classe operaia si deve organizzare nel
proprio paese, in casa propria, come classe …». Ossia,
prima la classe operaia è una pluralità di operai in
concorrenza che ha, certo, interessi comuni, ma che tuttavia
non agisce secondo questi interessi comuni, che dunque restano
in sé, potenziali, che possono unirla, ma non
la uniscono ancora; poi questa pluralità in concorrenza
rinuncia alla propria dispersione atomistica, si organizza,
cioè ogni atomo diventa membro di una unità, e questa unità
è la classe come classe, come realtà e non più solo
semplice possibilità. Il superamento della dispersione, l'unità,
non può dunque essere mai concepita come già data in natura:
è sempre una costruzione intelligente e questa costruzione è stata
storicamente il partito. La classe operaia si trova cioè
nella medesima situazione di un popolo, che, certo, ha lingua,
abitudini comuni, ma nel contempo ha interessi differenti che creano
concorrenza, conflitto. Presupporre una solidarietà operaia e
una conflittualità statale, attendersi da quella il
superamento di questa, è uno dei pregiudizi inspiegabili in termini
razionali, che paralizzano tutta l'attuale sinistra e rendono
maledettamente difficili le prospettive politiche di cambiamento.
Un
secondo eccesso di delicatezza nell'intervento di Cesaratto appare
nel riferimento a Gellner. Secondo costui: « … l’emergere delle
entità nazionali (è stato) funzionale allo sviluppo capitalistico».
In effetti, però, il capitalismo non ha creato gli Stati nazionali,
li ha trovati, e solo con estrema lentezza li ha piegati alle
sue esigenze, peraltro non univoche ma contrastanti. Lo Stato
nazionale e lo Stato moderno in generale vengono alla luce nel basso
medioevo, per opera delle monarchie europee, cui la
nobiltà feudale, costrettavi dalle insubordinazioni contadine,
consente di esercitare un potere che prende progressivamente
carattere pubblico. Questa storia autonoma dello Stato
nazionale è trascurata dalla filosofia della storia marxista nella
misura in cui, come vede bene Cesaratto, essa lo concepisce come
falsa coscienza, evidentemente sulla fragile base della presunta
naturalezza della solidarietà operaia. Occorre l'antistatalismo di
von Hayek per riportare qualche marxista a una visione più
equilibrata dello Stato. Anche qui però non si verifica una
discussione sui presupposti. La prospettiva statale è fatta propria,
controvoglia, dal marxista Davidson, in contrasto con la prospettiva
delle entità sovranazionali che von Hayek auspica in odio alle
politiche statali redistributive. Questa riappropriazione trascura
però che le entità sovranazionali non sono nulla di nuovo sotto il
sole, e hanno un nome preciso. Le entità politiche in generale sono
di due specie: gli Stati, in cui virtualmente tutti godono gli
stessi diritti, qualunque ne sia l'estensione; gli imperi, in cui una
etnia gode di più diritti a spese delle altre. La UE non è
un'entità sovranazionale hayekiana, è il nome dell'imperialismo
regionale della Germania, che opera entro l'imperialismo globale
statunitense. Lo svuotamento dei poteri dello Stato all'interno
dell'entità sovranazionale di cui parla Hayek, tale da privare gli
Stati di capacità redistributive, vale dunque non in generale, ma
soltanto per le etnie assoggettate: gli operai tedeschi nella
UE non vivono i drammi della disoccupazione e della povertà propri
degli operai delle «entità» colonizzate – insieme alle merci la
Germania ha esportato anche la disoccupazione. Proprio questo rende
una stupida velleità ogni discorso sulla classe operaia europea,
ogni speranza su una solidarietà cosmopolita o internazionalista tra
colonizzatori e colonizzati. Così la lotta contro l'entità
sovranazionale hayekiana non è che lotta contro l'imperialismo, e
come tutte le lotte anti-imperialiste va condotta in nome dello
Stato-nazione. Senza troppe riserve mentali.
1
Cfr.
http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2016/08/il-proletariato-non-ha-nazione.html#more
venerdì 2 settembre 2016
La Grecia è stata il prologo
Un'intervista di grande interesse all'economista greco Elias Ioakimoglou
http://znetitaly.altervista.org/art/20775
http://znetitaly.altervista.org/art/20775
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giovedì 1 settembre 2016
Qualcosa sta cambiando
(Ho scattato queste foto in corso Armellini a Genova, qualche giorno fa. Gli "ultras Tito 1969" sono un gruppo della tifoseria sampdoriana. Non so che riferimenti politici abbiano, se ne hanno. Fino a non molto tempo fa, la comparsa di scritte simili era abbastanza impensabile, credo. Forse qualcosa sta cambiando. M.B.)
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