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giovedì 12 dicembre 2019

Sulle élite contemporanee (M.Badiale)



I. La revoca del mandato celeste
Nelle analisi della situazione sociale e politica attuale nei paesi avanzati, è ormai un dato acquisito l’esistenza di una particolare frattura sociale e culturale. Abbiamo da una parte un ceto, relativamente ristretto, di persone adattate alla nuova natura transnazionale del capitalismo contemporaneo: persone dotate di conoscenze e capacità (in primo luogo la conoscenza della lingua inglese, ma ovviamente non solo questo) che le rendono in grado di approfittare di occasioni di lavoro sparse in tutto il globo, prive di remore a spostarsi per approfittarne, impiegate in lavori a forte componente intellettuale e specialistica, capaci di tessere relazioni proficue con le persone più diverse, ma in sostanza appartenenti allo stesso milieu. Si tratta del ristretto ceto di coloro che si sono pienamente inseriti nei meccanismi del capitalismo globalizzato e sono in grado di approfittare delle possibilità che la sua dinamica crea. All’interno di questo ceto spiccano ovviamente i detentori del potere, quelli che si ritrovano a Davos e in simili occasioni; ma il ceto di cui stiamo parlando, pur ristretto, non è composto esclusivamente da uomini e donne di potere, ma da persone che condividono lo stile di vita e la visione del mondo degli attuali ceti dominanti. Per chiarezza terminologica, parleremo di “élite dominanti” intendendo la ristretta cerchia di chi detiene un potere effettivo (per ripeterci: quelli che si incontrano a Davos), mentre useremo l’espressione “ceti medi elitari” o “ceti medi globalizzati” intendendo quella strato sociale che abbiamo descritto nelle prime righe, minoritario ma più ampio rispetto ai “signori di Davos”. Parleremo infine di “élite contemporanee” intendendo l’insieme di questi due gruppi.
Alle élite contemporanee si contrappone la parte largamente maggioritaria della popolazione, che ha visto in questi decenni il peggioramento delle proprie condizioni di lavoro e di vita e la perdita dei diritti conquistati nella fase “keynesiano-socialdemocratica” del capitalismo del secondo dopoguerra. Si tratta di ceti legati ad una dimensione di vita locale o al più nazionale, impegnati in lavori di scarsa qualificazione, non molto dotati delle competenze (linguistiche e culturali in generale) per muoversi nella “società globale”.

martedì 3 settembre 2019

Siamo vicini al collasso?

Siamo vicini al collasso?
Marino Badiale


Sono ormai in molti a sostenere che l’attuale organizzazione economica e sociale è destinata a finire, in maniera più o meno traumatica, nell’arco di qualche decennio. In Francia si parla, forse con un po’ di ironia, di “collapsologie” come di una nuova disciplina scientifica che studia appunto il collasso prossimo dell’attuale organizzazione sociale [1,2,3]. Intendo qui provare a riassumere i termini fondamentali della questione. Cercherò di sostenere che in effetti vi sono argomenti ragionevoli a favore della tesi del collasso prossimo. Questo ovviamente non implica che si possano fissare dei limiti temporali precisi, né che si possano fare ipotesi ragionevoli su quale potrà essere la nuova forma di organizzazione sociale che sostituirà l’attuale.
La tesi fondamentale che intendo esporre è che il collasso prossimo venturo deriverà dal concorrere di cause diverse, sarà cioè il risultato del confluire di diversi processi di crisi. Stiamo cioè entrando in una fase storica nella quale meccanismi di diverso tipo porteranno a problemi sempre maggiori nella riproduzione dell’attuale ordinamento sociale. Nessuno di tali problemi probabilmente sarebbe in sé tale da causare una crisi irreversibile, ma mi sembra ragionevole pensare che sarà proprio la loro contemporaneità a innescare il collasso.
Le crisi fondamentali che stanno confluendo assieme possono essere schematizzate sotto tre grandi etichette: crisi economica, crisi egemonica, crisi ecologica.
Esaminiamole in quest’ordine.

mercoledì 26 giugno 2019

Ovviamente

Saranno i poveri a pagare il prezzo più alto per gli sconvolgimenti climatici

https://www.huffingtonpost.it/entry/il-mondo-rischia-un-apartheid-climatico_it_5d1223d3e4b0aa375f539667


PS Ovviamente, le Olimpiadi sono un disastro e un disgustoso spreco di denaro. Lo scrivo giusto perché i nostri 23 lettori non abbiano dubbi su quello che pensiamo (MB)

giovedì 6 giugno 2019

Lottare contro il cambiamento climatico e contro le disuguaglianze

Una bella intervista a Naomi Klein, che mi sembra imposti correttamente il nesso fra lotta per l'eguaglianza e lotta per la difesa dell'ambiente. Si tratta in ogni caso di lottare contro il carattere compiutamente distruttivo del capitalismo contemporaneo. Mi ha sorpreso vedere come, nel piccolo ambiente "antisistemico", non tutti colgano questo nesso, e sfruttino i dubbi che lecitamente si possono avere sulla figura mediatica di Greta per sottovalutare i problemi che essa indica (MB)

venerdì 17 maggio 2019

Il capitalismo contro la civiltà e la vita

Lo stadio necrotico del capitalismo contemporaneo impone il suo superamento. Lo stravolgimento della dinamiche dei sistemi biologici ed ecologici, di cui il cambiamento climatico è solo uno degli aspetti, è un fondamentale argomento a favore del superamento dell'attuale organizzazione economica e sociale.

http://contropiano.org/news/ambiente-news/2019/05/07/osare-dichiarare-la-morte-del-capitalismo-prima-che-ci-trascini-tutti-con-se-0115194

sabato 16 marzo 2019

Sull'orlo del precipizio


Sul numero di Marzo 2019 del mensile "L'altrapagina" appare una intervista agli autori di questo blog. L'abbiamo rielaborata per farne un articolo per il blog. Qui trovate il sito della rivista (dove mi sembra non appaiano i numeri recenti). Ringrazio l'amico Maurizio Fratta per averci dato questa opportunità M.B.



La maggiore urgenza del mondo contemporaneo è probabilmente quella della “conversione ecologica”, per usare il titolo di un bel libro di Guido Viale. È cioè necessario, per preservare un livello decente di condizioni di vita, ed anche di civiltà, una profonda ristrutturazione della nostra organizzazione economica e sociale, che renda il nostro modo di vivere, produrre e consumare compatibile con la preservazione degli equilibri ecologici del pianeta.
Ma questo fondamentale passaggio di civiltà è impossibile all’interno del mondo capitalista.
Il modo di produzione capitalistico, infatti, è essenzialmente un processo di accumulazione senza fine, che per potersi perpetuare, è inevitabilmente spinto a oltrepassare ogni limite, sia esso di tipo sociale o ambientale.
Ma accettare il fatto che l’attività umana debba essere compatibile con i ritmi biologici ed ecologici del pianeta significa appunto prendere atto che vi sono dei limiti che non devono essere superati. Modo di produzione capitalistico ed ecologia sono quindi essenzialmente in contraddizione fra
loro, e le conseguenze del superamento dei limiti ecologici cominciano ad apparire evidenti nella stessa vita quotidiana. Il mutamento climatico è ormai una realtà con la quale fare i conti, ma si tratta solo della più evidente fra le tante minacce che l’attuale organizzazione economica e sociale sta portando alla vita e alla civiltà degli esseri umani.

venerdì 14 dicembre 2018

Nel cambiamento climatico si salvano solo i capitalisti?

L'articolo di Ermanno Bencivenga "Si salvano solo i capitalisti" pone una domanda inquietante. Lo trovate all'interno di questa rassegna stampa (non so perché, cliccando sul link sembra che non funzioni, ma se invece si copia il link e lo si cerca su google funziona).

http://www.agenziaefficienzaenergetica.it/area-riservata/rassegna-stampa-enea/rassegna-stampa-archivio/Rassegna%20stampa%2009_12_2018.pdf