sabato 30 gennaio 2016

Tra il serio ed il faceto

Per il lato serio, segnaliamo questo articolo del solito Leonardo Mazzei:


http://sollevazione.blogspot.it/2016/01/banche-lattacco-tedesco-allitalia-di.html




Invece, per farsi una serena risata, segnalo l'apertura della "scuola di formazione" per i militanti PD. La prima lezione sarà tenuta da Veltroni. Il vuoto che insegna al nulla.


http://www.corriere.it/politica/16_gennaio_30/via-scuola-formazione-pd-professori-si-parte-veltroni-26cea542-c71a-11e5-b16b-305158216b61.shtml

venerdì 22 gennaio 2016

Devono diventare ininfluenti

Sono nella mailing list dell'Associazione Culturale Punto Rosso, un'associazione presente in varie zone d'Italia ma attiva soprattutto a Milano. Fra le tantissime lodevoli iniziative, l'Associazione ha ristampato alcuni libri di G.Lukács ed E.Bloch, esauriti da tempo. Nell'ultima mail ricevuta l'Associazione invita a votare Francesca Balzani alle primarie del centrosinistra per il comune di Milano. La cosa in sé non mi stupisce e non varrebbe la pena di parlarne. Mi hanno però colpito alcuni passaggi della mail:


"Debbono perciò passare in secondo piano e diventare ininfluenti i ragionamenti critici, pur legittimi, sul fatto che venga chiamato primarie lo scontro tra posizioni alternative.
Per quanto ci riguarda, come Associazione Culturale Punto Rosso, ci siamo perciò orientati a esprimere il nostro appoggio alla candidata Francesca Balzani."



I "ragionamenti critici" devono "diventare ininfluenti": è ovvio, stiamo parlando di cose serie (elezioni, assessorati, finanziamenti), mica di filosofia. In poche parole è sintetizzato più di un secolo di rapporti fra movimento operaio organizzato e riflessione culturale e filosofica. Non avrei potuto scrivere niente di più chiaro, e ringrazio l'Associazione Culturale Punto Rosso per questa mirabile sintesi. E non si preoccupino: il pensiero critico in effetti è del tutto ininfluente. Grazie a loro.

giovedì 21 gennaio 2016

Ottima sintesi

Un intervento davvero raccomandabile per lucidità, chiarezza e capacità sintetica:


http://www.asimmetrie.org/opinions/lesercito-europeo-di-riserva/


Un solo commento: mentre prosegue senza sostanziali opposizioni la trasformazione del nostro paese in una semicolonia, i potenti hanno trovato nei dipendenti pubblici i nuovi nemici da mandare ad leones fra gli applausi di plebi gaudenti, assolutamente e felicemente decise a tornare ad essere "un volgo disperso/che nome non ha". Fossimo negli anni Ottanta, ci sarebbe solo da sbuffare. Dopo trent'anni di distruzione di redditi e diritti dei ceti subalterni, dovrebbe essere chiaro anche ad un bonobo mediamente dotato che l'attacco al "pubblico" è solo un passo ulteriore di tale distruzione. Ma le vittime di tutto questo applaudono lo spettacolo. Questo è un paese senza speranza.

venerdì 15 gennaio 2016

La grande estinzione delle speranze (I parte)


(pubblico la prima parte di un testo "a tesi". Prosegue qui. M.B.)





La grande estinzione delle speranze



Secondo alcuni studiosi stiamo vivendo nell'epoca della “Sesta estinzione”, una nuova grande estinzione di massa di specie animali, dopo le grandi estinzioni che hanno segnato la storia della vita sul nostro pianeta. Riprendo l'espressione nel titolo di questo scritto, per indicare una nuova grande estinzione, di carattere non biologico ma antropologico: l'estinzione delle speranze. Lo scritto intende portare argomenti a favore di una ragionevole disperazione verso le prospettive della civiltà umana in questa fase di “tardo capitalismo”. Il testo è organizzato a tesi, quindi in forma assertiva e dogmatica. Argomentare dettagliatamente i vari passaggi avrebbe significato scrivere un libro. Nei miei futuri interventi sul blog cercherò un po' alla volta di portare argomenti a sostegno delle tesi qui presentate.





Tesi 1. La società capitalistica ha esaurito le sue potenzialità di sviluppo di civiltà.

Molti di coloro che, negli ultimi due secoli, hanno riflettuto sui caratteri della modernità capitalistica, e in particolare molti fra i suoi critici, sono rimasti colpiti dal suo carattere contradditorio, dal suo essere contemporaneamente generazione di ricchezza e di povertà, lotta di libertà e creazione di nuove servitù, rispetto dell'umanità in nome dei diritti e violenza disumana in nome del profitto. Su questa dialettica della società capitalistica sono state scritte pagine celebri e sono stati condotti dibattiti fondamentali, dei quali non possiamo dar conto qui. Mi limito, fra le tante possibili, ad una citazione di Horkheimer: “Il passaggio a questo modo di conduzione economica è stato un progresso storico che ha dato avvio a un periodo di produttività e di orrore. La storia di questo periodo contiene non solo il capitolo dell'emancipazione degli ebrei, ma anche quello del Workhouse Test, della repressione della Comune e del terrore dell'amministrazione coloniale”[1], in cui è evidente come l'autore cerchi di rendere le contraddizioni della civiltà capitalistica tramite accostamenti stridenti (un “progresso storico” che dà avvio a “un periodo di orrore”).
La novità storica del nostro tempo mi sembra essere quella della fine di tale dialettica. Il capitalismo ha smesso di essere una realtà in cui convivono contradditoriamente progresso ed orrore, e si è avviato, da qualche decennio, sulla strada di un pericoloso tramonto di civiltà. Questa affermazione non vuole assolutamente significare che sia prossima nel tempo la fine della società capitalistica. Non siamo davvero in grado di dire se il capitalismo sia vicino al famoso “crollo” teorizzato da tanti marxisti, o se abbia ancora un tempo indefinitamente lungo davanti a sé. Quello che si vuol dire è che il capitalismo ha finito di rappresentare una potenzialità contradditoria di progresso. Se la sua storia continuerà, sarà la storia di un progressivo imbarbarimento della società mondiale.





Tesi 2. L'attuale crisi di civiltà deriva dalla presenza simultanea di tre crisi: ecologica, economica, geopolitica.

La nostra organizzazione sociale, che ormai ha unificato, per la prima volta nella storia umana, l'intero pianeta, deve fronteggiare tre gravi crisi, nella sostanza riconosciute come tali, in un modo o nell'altro, un po' da tutti gli osservatori: crisi ecologica, crisi economica, crisi geopolitica. Si tratta in realtà di tre aspetti di una stessa crisi di fondo, che è utile però esaminare separatamente per ragioni di chiarezza espositiva. La comprensione approfondita della realtà contemporanea può venire solo da un esame di tutte e tre le dimensioni della crisi attuale e delle loro interazioni. Dati gli scopi più limitati di questo scritto, non parlerò della crisi geopolitica: si tratta di una dimensione che di per sé non tocca la nostra discussione sull'esaurimento della civiltà capitalistica. Infatti l'aspetto geopolitico della crisi consiste nel ridimensionamento dell'egemonia statunitense e nel possibile passaggio a un mondo multipolare e forse, in prospettiva, ad una nuova egemonia (asiatica?). Si tratta ovviamente di un tema fondamentale per comprendere le dinamiche politiche del mondo contemporaneo, ma esso di per sé non dice nulla sulla maggiore o minore vitalità dell'attuale organizzazione sociale. Il capitalismo ha conosciuto diversi “passaggi di egemonia” di questo tipo, che ne hanno scandito l'evoluzione, senza che questo comportasse un giudizio di “esaurimento di civiltà”[2]. L'attuale tendenza alla rottura dell'egemonia mondiale USA, se continuerà, sarà allora certamente un passaggio politico di vasta portata, che potrebbe però non toccare gli aspetti fondamentali del modo di produzione capitalistico, ma addirittura potrebbe rinnovarne la dinamica.
Il giudizio sul momento attuale come quello di inizio di una crisi di civiltà viene quindi non da una riflessione sulla geopolitica, ma dall'esame degli altri due aspetti della crisi attuale, quello economico e quello ecologico, al quale forse occorre aggiungere una dimensione antropologica, non ancora, mi sembra, diffusamente tematizzata in quanto tale.





Tesi 3. La sovrapposizione di crisi ecologica e crisi economica genera una situazione di “rendimenti decrescenti” e di “stagnazione secolare”.

L'attuale situazione poco dinamica dell'economia mondiale deriva molto probabilmente dal sovrapporsi di un meccanismo “marxiano” e di uno “ecologico”: mi sembra cioè possibile sostenere che siamo in presenza di una crisi analizzabile in termini marxiani come, in ultima analisi, effetto della caduta tendenziale del saggio di profitto, alla quale si sovrappone una crisi di “rendimenti decrescenti” (e costi crescenti) nello sfruttamento delle risorse naturali. Ripetiamo che si tratta di momenti collegati, che indichiamo separatamente solo per chiarezza, e che occorre collegare assieme per una analisi approfondita [3]. Il sovrapporsi di queste due forme di rendimenti decrescenti rende difficile pensare che la società attuale possa superare l'attuale stagnazione. Il capitalismo finora è sempre riuscito, in un modo o nell'altro, a superare creativamente le difficoltà create alla sua autoriproduzione dai meccanismi di crisi studiati da Marx. Ma lo ha fatto anche grazie allo sfruttamento di sempre nuovi tipi di risorse naturali. Se davvero queste possibilità si stanno esaurendo, come sostengono vari studiosi [4] e come sembra indicare, per esempio, l'incombere sempre più ineludibile del cambiamento climatico, la conseguenza potrebbe essere davvero quella “stagnazione secolare” paventata anche da importanti esponenti dell'establishment.





Tesi 4. Il capitalismo è instabile perché non genera una antropologia adeguata a sé.

Sono numerose le elaborazioni teoriche che rilevano il carattere invasivo del rapporto sociale capitalistico, il fatto cioè che esso tende a piegare alla propria logica non solo il mondo della produzione e dello scambio ma la totalità degli ambiti sociali. Ciò che importa adesso mettere in evidenza è che in questo modo il capitalismo erode le stesse proprie basi antropologiche. Infatti è impossibile che la società funzioni davvero sull'unica base della composizione contrattuale dei reciproci interessi, cioè sulla forma civilizzata dell' homo homini lupus. Come rileva correttamente Castoriadis:

Il capitalismo ha potuto funzionare solo perché ha ereditato una serie di tipi antropologici che non ha creato esso stesso e che non avrebbe potuto creare: giudici incorruttibili, funzionati integerrimi e weberiani, educatori che si consacrano alla loro vocazione, operai con un minimo di coscienza professionale, ecc. Questi tipi non nascono e non possono nascere da soli, sono stati creati in periodi storici precedenti, in riferimento a valori allora consacrati e incontestabili: l'onestà, il servizio verso lo Stato, la trasmissione del sapere, il lavoro ben fatto, e così via. Ma noi oggi viviamo in società in cui questi valori sono notoriamente diventati ridicoli, dove conta solamente la quantità di denaro che si riesce a intascare, non importa come, o il numero di volte in cui si appare in televisione”[6].

Questa descrizione, che ci sembra sostanzialmente corretta, porta a prevedere che l'estendersi sempre più pervasivo del legame sociale capitalistico porterà in tempi non troppo lontani ad una profonda crisi del legame sociale. Tutto questo è stato detto molto bene in vari testi di Massimo Bontempelli, e conviene quindi lasciargli la parola:

Ogni sistema sociale stabilmente strutturato, per quanto oppressivo, in quanto stabilmente strutturato esprime sul piano empirico qualche sia pur empiricamente deformato significato trascendentale. Il capitalismo è invece l'unico sistema il cui funzionamento è in contraddizione con la natura trascendentale umana. Se è tale, però, come ha fatto a nascere e svilupparsi? È nato perché è stato lo strumento indiretto dell'emersione storica di due significati trascendentali, il valore dell'individualità e quello dell'appartenenza nazionale, di cui sono state levatrici storiche le classi borghesi proprio attraverso la forza tratta dalla nuova economia del plusvalore di cui erano attrici e profittatrici. Si è sviluppato perché ha utilizzato per il suo funzionamento risorse non sue: le risorse politiche e spiritualmente coesive della nazionalità, le risorse psichiche e comportamentalmente disciplinatrici della famiglia e della scuola borghesi, le risorse produttive dell'etica religiosa e corporativa del lavoro, le risorse socialmente regolatrici dei codici d'onore aristocratici. Ma l'utilizzazione di queste risorse presupponeva l'autonomia funzionale delle sfere in cui si formavano, e la parzialità sociale, per quanto determinatrice in ultima istanza degli indirizzi generali, del modo di produzione capitalistico. Una volta però che il modo di produzione capitalistico è diventato totalitario, sottomettendo direttamente alla sua logica di funzionamento tutte le sfere sociali, questa sua potenza storicamente assoluta avvelena le stesse risorse antropologiche di cui avrebbe bisogno. All'altezza del nostro tempo storico si rivela così come la vera contraddizione distruttiva da cui il capitalismo è segnato non sia una di quelle tematizzate dalla tradizione marxista (tra capitale e lavoro, tra borghesia e proletariato, tra forze produttive e rapporti di produzione), ma quella tra esso e la natura umana. La potenza che distruggerà il capitalismo sarà dunque la potenza stessa del capitalismo, dato che in futuro i suoi effetti universalmente destrutturanti non saranno più contenuti da forme organizzative precapitalistiche.”[7].




Tesi 5. Il modello di crisi di civiltà col quale ci dobbiamo confrontare è quello della crisi del mondo antico.

Non è una novità che i sistemi sociali possano crollare e che la storia sia costellata da grandi passaggi che segnano la fine di questa o quella civiltà. All'interno di questa ricca casistica si possono enucleare due modelli: quello della fine dell'Ancien Régime e dell'instaurazione della società capitalistico-borghese, da una parte, e dall'altra quello della fine del mondo antico e dell'instaurazione del feudalesimo. La differenza di fondo fra i due modelli sta in questo: nel primo caso i nuovi rapporti sociali si sviluppano lentamente all'interno della vecchia società, sfruttandone gli spazi, e allo stesso modo si sviluppano i nuovi soggetti sociali (la borghesia) e le nuove forme di cultura. In questo modo la crisi della vecchia organizzazione non ha una esorbitante valenza distruttiva, perché l'indebolimento di tale organizzazione è l'occasione per le nuove strutture di imporsi. Nel secondo caso, al contrario, l'organizzazione sociale del mondo greco-romano percorre fino in fondo la strada della dissoluzione, prima che comincino a spuntare i primi segni della nascita di un nuovo ordine sociale, il feudalesimo. Questo secondo tipo di crisi di civiltà è molto più distruttivo del primo.
È del tutto evidente che i movimenti rivoluzionari di tipo socialista hanno sempre pensato al superamento del capitalismo nei termini del primo modello. Hanno sempre pensato cioè che lo sviluppo stesso del capitalismo producesse sia gli embrioni di nuovi rapporti sociali, sia i soggetti sociali che avrebbero rappresentato la base sociale del superamento. È tempo, mi sembra, di abbandonare queste convinzioni. Il capitalismo è senz'altro un sistema sociale ricco di contraddizioni (come tutti i sistemi sociali), ma questo non significa in nessun modo che esista una dinamica che lo porti a generare al suo interno i rapporti sociali destinati a sostituirlo e i soggetti sociali destinati ad abbatterlo. La classe operaia è una delle tante classi sfruttate succedutesi nella storia, capace certo di lottare per la difesa dei propri interessi, capace di rivolte e ribellioni, ma in nessun modo capace di avviare l'umanità verso  il superamento del capitalismo e l'instaurazione di una nuova organizzazione sociale. Le contraddizioni del capitalismo sfociano tipicamente nelle sue crisi periodiche, che vengono superate nei modi che gli storici studiano. Oggi tali contraddizioni, secondo la nostra ipotesi, ci stanno portando ad una crisi generale di civiltà. Ma non c'è nessun indizio che esse ci indirizzino verso un mondo nuovo. Se è così, è chiaro che il modello che meglio si adatta all'attuale crisi di civiltà è quello della crisi del mondo antico. Possiamo cioè aspettarci che la crisi di civiltà proseguirà a lungo, distruggendo culture e popolazioni, prima che sorgano nuove culture, nuovi soggetti sociali, e i germi di nuove organizzazioni sociali. Alle distruzioni e alle violenze che hanno accompagnato tutti i precedenti esempi di passaggi di questo tipo, si aggiungeranno le distruzioni ecologiche causate dall'uomo che, seppure certo non ignote nella storia umana, toccheranno probabilmente livelli sconosciuti: si pensi solo a cosa significhi il cambiamento climatico ormai in atto.














[1] Si tratta di una passo dal saggio “La filosofia della concentrazione assoluta”, contenuto nel secondo volume di “Teoria critica”, Einaudi 1974. Il passo citato è a pag.256.
[2] Queste dinamiche sono oggetto di ampi studi, basti qui ricordare la magistrale ricostruzione di G.Arrighi ne “Il lungo XX secolo”.
[3] Per un tentativo in questo senso si veda J.W.Moore, Ecologia-mondo e crisi del capitalismo, Ombre corte 2015.
[4] Un'ottima introduzione a queste problematiche è M.Bonaiuti, La grande transizione, Bollati Boringhieri 2013.
[5] Per un approccio marxista alla tematica della “stagnazione secolare” si veda questo lavoro di V.Giacché: http://www.asimmetrie.org/working-papers/wp-201507-spiegare-la-crisi-stagnazione-secolare-o-caduta-tendenziale-del-saggio-di-profitto/
[6]C.Castoriadis, La montée de l'insignifiance, Seuil 1996, pag.68, (traduzione mia, M.B.)
[7]M.Bontempelli, Un pensiero presente, Indipendenza-Editore Francesco Labonia, 2014, pag.160.







domenica 10 gennaio 2016

Problemi della società multietnica (P.Di Remigio)

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Paolo Di Remigio, che parte dai recenti fatti di Colonia per discutere i problemi legati all'immigrazione e al confronto fra culture diverse. Si tratta di problemi ardui, senza facili soluzioni, che possono essere affrontati solo con lucidità e onestà intellettuale.
(M.B.)



Problemi della società multietnica 

Sieh, ich könnte befehlen, könnte dich zwingen. Aber nein, Konstanze, dir selbst will ich dein Herz zu danken haben.
Mozart, Die Entführung aus dem Serail, Atto primo.


È illusorio pensare che si possano allargare le libertà senza restrizioni, e senza un'educazione che, abituando alle restrizioni, le faccia diventare una consuetudine: ogni libertà implica restrizione dell’arbitrio, perché ogni diritto è anche un dovere. Che le donne abbiano la libertà fondamentale di essere persone significa che hanno la proprietà del loro corpo: non lo si può toccare senza che esse lo vogliano; ma questo diritto delle donne alla proprietà del loro corpo è nel contempo il dovere degli uomini di rispettarla e non è possibile mettere insieme la personalità della donna e il desiderio dell'uomo di avere piacere dal corpo di lei anche senza il suo consenso.
Poiché in generale la natura non garantisce diritti, essere persona non è un diritto naturale della donna, anzi è uno degli ultimi frutti della nostra educazione, per questo ancora fragile: un risultato della monogamia che la chiesa cristiana ha imposto ai fedeli come unica forma legittima di sessualità da più di un millennio e mezzo. Nella monogamia un uomo e una donna si affidano l'uno all'altro senza riserve; questo stabilisce tra loro un'uguaglianza sentimentale, un'unanimità sostanziale che tende a vanificare la discriminazione sul piano giuridico. Con l'introduzione delle macchine che rende irrilevante la superiorità della forza fisica maschile, l'uguaglianza soltanto potenziale nella monogamia diventa attuale, giuridicamente fissata, una libertà. Ora il progetto della società multietnica, portato avanti con pervicacia dai poteri che manovrano le istituzioni europee, lasciando aperte le porte a una immigrazione massiccia dal mondo arabo, come se fosse una soluzione, anzi l’unica soluzione del caos indottovi, tra le altre minacce ne fa pesare una anche sul diritto di personalità della donna. Non è questione di razzismo, come subito pensano gli sciocchi, è questione di educazione, di cultura. Nella cultura islamica non solo non c'è uguaglianza giuridica tra uomo e donna; la sua base, il Corano, oltre a consigliare mezzi come le battiture per "disciplinare" le mogli, consente la poligamia, quindi la situazione di radicale asimmetria tra i coniugi. Ora, a noi, in genere, questa negazione radicale della personalità della donna ripugna. Non è una ripugnanza naturale, come non è naturale per un uomo in generale astenersi dal molestare una donna: è il risultato di una lunga educazione; e forse a chi è stato educato all'intima convinzione della non personalità della donna ripugna l'affermazione della sua personalità. Noi che abbiamo sempre visto i visi delle donne e intravisto i loro corpi siamo imbarazzati dal velo, il burqa ci fa orrore; a chi è cresciuto nella cultura islamica, a chi ha visto sempre donne velate o nascoste nelle loro vesti fanno forse orrore i capelli sciolti, i vestiti attillati e le minigonne. L'educazione spiritualizza il richiamo della giovinezza e della bellezza e lo risolve nello scambio tra il piacere di ammirare e il piacere di essere ammirate; dove ci sia stata diversa educazione il non celare la giovinezza e la bellezza può essere sentito come una provocazione intollerabile, un disordine che autorizza l'aggressione, quindi lo svuotamento del diritto della persona. Il sindaco di Colonia, che ora raccomanda alle donne di islamizzarsi per evitare le molestie, pare sia stata un'eroina della società multietnica. Ci si domanda dove trovi il coraggio di raccomandare se le manca quello di dimettersi.

sabato 9 gennaio 2016

Paolo Becchi esce dal M5S

Segnalo la seguente intervista a Paolo Becchi:


http://formiche.net/2016/01/05/grillo-casaleggio-5-stelle-paolo-beccjhi/


Mi sembra un intervento importante per capire le dinamiche interne al M5S, che al momento è l'unica opposizione realmente esistente. Quanto dice Becchi è in piuttosto preoccupante. Ritengo che l'ora della verità sarà rappresentata dai referendum costituzionali. Il dovere (e pure l'interesse, se ben inteso) del M5S è quello di condurre una lotta durissima e intransigente per non far passare le "riforme" costituzionali. Se il M5S non farà questo, sarà un colpo gravissimo per la democrazia di questo paese, del quale Grillo e Casaleggio porteranno la piena responsabilità.
Un'ultima osservazione sulle parole finali di Becchi, che lamenta l'istituzionalizzazione, forse inevitabile, del Movimento. "Istituzionalizzarsi" è il destino di ogni movimento, come il destino di ogni innamoramento è sfociare nell'amore adulto di coppia, o svanire. Il punto è come ci si istituzionalizza, e cosa si costruisce in questo processo: si è dato un contributo positivo alla civiltà oppure no? Istituzionalizzarsi diventando una stampella del PD è ovviamente diverso dal farlo mantenendo la propria indisponibilità a compromessi di basso livello. Insomma, se istituzionalizzarsi è inevitabile, non lo è il modo concreto in cui lo si fa: e questo dipende dalle concrete scelte politiche di un gruppo dirigente.
(M.B.)

venerdì 8 gennaio 2016

Proprio una bella idea

http://www.corriere.it/salute/16_gennaio_07/se-visita-medico-famiglia-fosse-pagamento-pro-contro-347e9adc-b53e-11e5-8efc-b58ffc8363b9.shtml


Ormai non si sa più cosa dire, di fronte al continuo attacco alle conquiste di civiltà del Novecento. Ogni volta che sento parlare di innovare e modernizzare, mi chiedo di quanto taglieranno pensioni, sanità e istruzione.
E' impressionante come si stia trionfalmente tornando ad un feroce capitalismo di tipo ottocentesco, senza nemmeno il barlume di una risposta politica da parte delle vittime di questa deriva.

martedì 5 gennaio 2016

Quale cultura nella decadenza



(Questo intervento è il mio contributo ad una pubblicazione curata dall'ARS. M.B.)



Questo articolo parte dalla convinzione che la nostra organizzazione economica e sociale, ormai estesa all'intero pianeta, sia entrata in una fase di decadenza di civiltà, analoga a quella del tardo impero romano. Un indizio di questo declino è rappresentato dal convergere e dall'intrecciarsi di tre tipologie di crisi: la crisi economica dalla quale non sembra che si riesca ad uscire (tanto che alcuni autori mainstream parlano apertamente di “stagnazione secolare”), la crisi geopolitica dovuta al lento declino USA, la crisi ecologica della quale il cambiamento climatico è per il momento l'evidenza più forte. Non sono ovviamente in grado di fare previsioni sulla durata di questa fase di declino, né sulle forme culturali, sociali ed economiche che l'umanità si darà per superarla. È però facile pronosticare che essa comporterà sofferenze per grandi masse umane, e la perdita di valori civili e contenuti culturali. Temo che non sia possibile invertire questi sviluppi tendenziali. È però possibile un'azione politica e culturale che abbrevi il decorso della transizione e ne riduca le sofferenze e i danni. Una tale azione sarà opera di forze politiche e sociali che riescano, fra le altre cose, ad elaborare un discorso culturale che colga gli aspetti fondamentali dell'attuale situazione storica. In Italia un tale programma di “difesa civile” dovrà avere al proprio centro la Costituzione del 1948, quintessenza di quanto di meglio la storia recente del nostro paese abbia prodotto.
Occorre però aver chiaro un punto: produrre un discorso culturale adeguato a questi problemi sarà un compito difficilissimo, perché si tratterà di andare del tutto controcorrente. Si tratterà cioè non solo di distaccarsi criticamente dalle forme più evidenti di negazione della cultura e del pensiero, ma di criticare l'intera organizzazione della produzione culturale contemporanea, anche nei suoi aspetti “alti”: si tratta cioè di capire che buona parte degli attuali ceti intellettuali, e degli strati popolari “semi-colti” che ad essi fanno riferimento, non sono alleati in questa lotta, ma piuttosto avversari.

venerdì 1 gennaio 2016

Un'intervista a Michéa

Segnalo con piacere questa intervista di Michéa su Repubblica:


http://www.repubblica.it/cultura/2015/12/19/news/jean-claude_miche_a_la_sinistra_deve_rifondare_l_alleanza_illuminista_-129800190/?ref=fb




C'è una profonda sintonia fra quanto dice Michéa e quanto per anni siamo andati dicendo Massimo Bontempelli ed io a proposito dell'esaurimento storico dell'opposizione destra/sinistra. Naturalmente "Repubblica" non si smentisce mai: il titolo dell'intervista mette fra virgolette una frase che Michéa non pronuncia, e che anzi sembra a me abbastanza incompatibile con le sue analisi.
(M.B.)