Visualizzazione post con etichetta Rifondazione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Rifondazione. Mostra tutti i post

domenica 1 novembre 2015

Un intervento di Ugo Boghetta

Segnalo un intervento di Ugo Boghetta, membro della Direzione Nazionale del PRC, che dice cose molto sensate. Era quello che speravo anni fa: sentire un politico ragionare in questo modo, dimostrando quindi di aver capito le cose essenziali. Purtroppo temo che questo sia troppo poco e troppo tardi. Troppo poco nel senso che le posizioni di Boghetta, a quel che ne so, sono tuttora minoritarie in Rifondazione. E se la maggioranza di quel partito ancora non vuole capire, dopo i recenti avvenimenti greci, significa che davvero non capirà mai. Troppo tardi perché temo che ormai le tecniche di "shock economy" applicate dai ceti dominanti abbiano largamente raggiunto i loro obiettivi. Resta qualche spazio di resistenza nella battaglia per i referendum, per la quale bisognerà fare il possibile.
(M.B.)


https://www.youtube.com/watch?v=ke9B5XJoinU





martedì 19 maggio 2015

Ancora la nuova sinistra?


Le scelte del PD di Renzi, sempre più sfacciatamente antipopolari e antidemocratiche, fra distruzione dei diritti dei lavoratori e attacchi alla Costituzione, hanno aperto uno spazio politico alla sinistra del PD. È quasi certo che tale spazio verrà presto occupato da una forza politica che, possiamo immaginare, metterà assieme transfughi del PD, piccoli partiti come SEL e Rifondazione (oppure loro componenti), e singole personalità (come Cofferati), oltre, presumibilmente, a vari spezzoni della composita galassia di movimenti e associazioni della sinistra italiana.
Penso sia bene esprimere un giudizio preciso sul significato di una tale operazione. Nella sostanza si tratterebbe dell'ennesima riedizione di ciò che è stata prima Rifondazione e poi SEL. Il punto decisivo è che una tale nuova forza politica non avrebbe nessuna prospettiva strategica al di fuori di una alleanza col PD: che è stata esattamente la situazione di Rifondazione prima e SEL dopo. Ma poiché il PD, oggi come vent'anni fa (comunque si chiamasse allora) non è una forza di “sinistra riformista” (nel senso storico della parola “riformismo”), che si possa cercare di “condizionare”, ma è semplicemente una delle componenti di un ceto dominante che ha come prospettiva strategica la distruzione dei diritti e dei redditi dei ceti subalterni, oltre che della democrazia, ogni prospettiva di alleanza, oltretutto da una posizione minoritaria, non può che significare la resa incondizionata alle linee strategiche dei ceti dominanti. Resa che può essere decorata con bandiere rosse e pugni chiusi oppure con “narrazioni” sui diritti: la sostanza non cambia. E tale sostanza è esclusivamente questa: tutte queste forze di sinistra hanno rappresentato e rappresentano la “copertura a sinistra” del PD, rappresentano cioè un modo per portare al PD voti che potrebbero andare a forze di autentica opposizione, impedendo così la nascita di tali forze. Tutti questi partitini, da Rifondazione in poi, hanno quindi avuto un ruolo essenzialmente negativo, e sono da combattere come avversari da chiunque sia interessato a contrastare gli attuali ceti dominanti.

venerdì 1 maggio 2015

Rumore molesto/1

Ripubblico, in due puntate, un saggio del 2007. Si tratta del mio contributo ad un'opera a più mani, curata da Roberto Massari, "I Forchettoni rossi". Occorre naturalmente situare lo scritto nel contesto dell'epoca, che era quello del secondo governo Prodi, sostenuto in Parlamento da una nutrita rappresentanza di Rifondazione. Il mondo della "sinistra radicale" era attraversato da forti tensioni dovute al sostanziale appoggio che il governo Prodi forniva alle iniziative belliche USA, dalla guerra in Afghanistan all'ampliamento della base di Vicenza. Nelle discussioni su questi temi appariva evidente, a mio parere, il carattere vuoto e retorico di gran parte dei discorsi pronunciati nell'ambito della "sinistra radicale". Cercai in questo saggio di analizzare questo vuoto e questa retorica, perché, al di là delle occasioni contingenti, mi sembravano, e mi sembrano tuttora, uno degli elementi che bloccano la costruzione di un autentico soggetto sociale e politico di resistenza antisistemica.
(M.B.)



1. Le parole dei politici non hanno alcun significato razionale, se non quello di rappresentare messaggi in codice interni al ceto politico. I politici o dicono menzogne, o dicono sciocchezze, o si lanciano messaggi tra di loro. Questo fatto deve essere considerato un dato di partenza per ogni discussione sulla politica contemporanea. Esso appare in qualche modo acquisito dal senso comune. Nessuno sembra fare più caso alle promesse dei politici, nessuno pensa che l’impegno formalmente preso da uno di loro abbia qualche valore dopo un anno, un mese, o anche dopo cinque minuti. Per comprendere questi fatti, occorre capire che la nozione di politica ha cambiato completamente significato. Fino a qualche decennio fa la politica era l’attività umana che governava e indirizzava la polis, che lo facesse in senso conservatore o progressista, moderato o radicale, riformista o rivoluzionario. Oggi non è più la politica a governare e indirizzare la polis, ma l’economia, una economia che finalizza l’intera vita sociale al profitto.  Estromessa dall’ambito suo proprio, la politica si riduce a semplice amministrazione delle ricadute sociali dell’economia del profitto. Rinunciando a indirizzare la vita sociale,  la politica si è ridotta a puro scontro di cordate di amministratori, finalizzato unicamente alla crescita di potere (e danaro) della propria cordata.
Questo non significa, si badi bene, che la politica sia autonoma dalla realtà sociale. Al contrario, è proprio nella sua autoreferenzialità che la politica è funzionale alla logica profonda della fase attuale dell’economia capitalistica. Infatti, come abbiamo detto, la fase contemporanea è quella in cui l’economia del profitto si estende a tutti gli ambiti della realtà sociale, piegandoli alla propria logica. La politica autoreferenziale non fa che giocare i propri giochi di potere, usando le carte che questa situazione le fornisce, e abbandonando così l’intera realtà sociale all’invasione devastante della logica del profitto. L’autoreferenzialità della politica è dunque, nella situazione attuale, la migliore garanzia del procedere indisturbato dell’economia capitalistica [1].
I difetti così evidenti dei politici attuali derivano da questa situazione di fondo, e non sono quindi emendabili con un semplice cambiamento delle persone. In particolare, da qui derivano le caratteristiche del linguaggio dei politici.

Nel dopoguerra i vari partiti politici erano ancora espressione dei diversi gruppi sociali e ne rappresentavano gli interessi. In questa situazione, il linguaggio pubblico dei politici non poteva staccarsi completamente dalla realtà: nel momento in cui c’è un riferimento sociale esterno alla politica, al quale in qualche modo occorre rendere conto del proprio operato, il linguaggio deve conservare un po’ di concretezza. Ma negli ultimi decenni, come s’è detto, la politica perde ogni riferimento a realtà sociali esterne e diventa totalmente autoreferenziale. I politici non esprimono più, se non per finzione retorica, interessi estranei alla propria sfera. D’altra parte, le dinamiche sociali ed economiche che hanno operato nei paesi occidentali negli ultimi decenni, riassunte normalmente sotto il concetto un po’ impreciso di “globalizzazione” [2], comportano una enorme accelerazione dei processi di mutamento dell’economia, e quindi della società. Cambia continuamente, ad un ritmo molto più veloce che in precedenza, l’ambiente nel quale si svolgono le lotte di potere dei politici. Il politico è dunque lanciato in una giungla nella quale succedono continuamente cose nuove: nuovi pericoli e, certo, anche nuove opportunità di potere e di carriera. In questa situazione, occorre essere sempre pronti a schivare i nuovi pericoli e a cogliere le nuove opportunità. Ma per fare questo non si può essere legati dai vincoli di impegni assunti in precedenza. Ora, quando un politico prende la parola in pubblico corre appunto il rischio di impegnarsi in qualcosa: se dice di essere favorevole all’idea x, o sostiene che è bene aiutare il gruppo sociale y, prende degli impegni che può essere gravoso mantenere, se solo un mese, un giorno o cinque minuti dopo scopre che è più conveniente, nelle lotte di potere, sostenere l’idea z o il gruppo sociale w.
L’unico modo per evitare questo grave rischio è allora non dire mai nulla, cioè usare un linguaggio completamente privo di contenuti razionali. Ai politici serve un linguaggio malleabile, manipolabile, piegabile all’esigenza del momento. I politici hanno bisogno di un linguaggio-argilla, che non faccia resistenza. Ora, ciò che fa resistenza alla manipolazione sono i contenuti razionali. Occorre quindi svuotare il linguaggio di ogni contenuto razionale. Come si fa? I contenuti razionali del linguaggio sono veicolati essenzialmente in due modi: dal collegamento delle parole con la realtà, e dalla logica. Rapporto con la realtà e logica danno rigidità agli impegni assunti e impediscono che il linguaggio diventi un’argilla plasmabile a seconda dell’interesse del momento. Se nostro figlio ci chiede di acquistargli un cane da tenere in casa, e noi gli diciamo che si può fare purché egli si assuma la responsabilità di badare all’animale, questo impegno ha un senso rigido perché le parole “cane” e “badare al cane” hanno un legame preciso con la realtà: un cane è un essere ben determinato, che fa una serie di cose (come mangiare e defecare) che implicano una serie di azioni in cui consiste il “badare al cane”. Stesso discorso per la logica: se nostro figlio esce con 20 euro per fare la spesa e torna a casa con uno scontrino di 15 euro e 3 euro di resto, noi gli chiediamo che fine hanno fatto gli altri 2 euro, e vogliamo una risposta precisa. La logica è rigida.
Se questo è chiaro, è anche chiaro cosa occorre fare per ridurre il linguaggio allo stato di argilla manipolabile a piacere: occorre eliminare il contatto del linguaggio con la realtà, e occorre eliminare la logica.
L’eliminazione del contatto con la realtà è legata ad un altro aspetto del linguaggio dei politici (e dei media): il parlare d’altro. Se infatti si deve parlare, e non si può mai parlare della realtà, dei problemi veri,  è chiaro che bisogna parlare dell’irreale e dei problemi falsi: bisogna inventarsi discussioni e problematiche assolutamente slegate dalla realtà, per riempire i propri discorsi. Questa deviazione costante e massiccia permette di definire il complesso del discorso pubblico in cui siamo immersi come una enorme “arma di distrazione di massa”.
Un linguaggio al quale siano sottratti logica e rapporto con la realtà è un linguaggio nel quale non si possono esprimere argomentazioni razionali. Si possono però esprimere opinioni. Se facciamo attenzione al linguaggio pubblico che ci viene proposto da giornali e televisioni (cioè il linguaggio dei politici, ma non solo), vediamo che quasi sempre esso ci propone opinioni, e mai o quasi mai argomentazioni razionali. Purtroppo questa è una caratteristica del linguaggio dei media che sembra penetrata nel senso comune, per cui oggi, anche nei contesti comunicativi non direttamente dipendenti dai media (per esempio in internet), è molto difficile sviluppare discussioni nelle quali si confrontino argomentazioni razionali.
Proseguendo l’analisi, ricordiamo che ai politici interessano unicamente le lotte di potere interne ai gruppi dominanti (politici ed economici). Gli unici contenuti reali che essi intendono esprimere, quando prendono la parola, sono quelli relativi a tali lotte: attacchi ai gruppi di potere avversi, segnali ai propri alleati, richieste di fette maggiori della torta. Sono questi i contenuti reali del loro linguaggio.

Riassumendo, nel linguaggio dei politici ci aspettiamo di trovare mancanza totale di legami con la realtà esterna al loro mondo, spostamenti rispetto ai problemi veri, mancanza di logica, e i riferimenti alle lotte interne ai ceti dominanti come unico contenuto reale.
Un’ultima osservazione: un linguaggio di questo tipo non veicola contenuti razionali, come s’è detto. Si configura piuttosto come un rumore, e anzi come un rumore molesto, perché occupando l’intero spazio della comunicazione pubblica rende difficile o impossibile il dialogo razionale. È faticoso comunicare in un ambiente rumoroso. Il rumore molesto dei politici (e più in generale, l’intero discorso dei media) ha in ultima analisi proprio questa funzione: impedire il dialogo razionale fra le persone [3].

Nel resto di questo saggio mostreremo esempi di questo tipo di linguaggio, traendoli dal settore della cosiddetta “sinistra radicale”, cioè dell’area dell’estrema sinistra che ha scelto l’allenza col centrosinistra e a partire dal 2006 appoggia il governo Prodi. E’ interessante esaminare quest’area, che in questo libro è stata etichettata con l’espressione “forchettoni rossi”, perché la trasformazione dei suoi aderenti da critici radicali del capitalismo e della guerra a zelanti sostenitori di un governo liberista in politica economica e favorevole alle guerre in politica estera è stata rapidissima. Cercherò di mostrare come tale trasformazione sia stata possibile anche grazie ad un linguaggio svuotato di razionalità e di realtà.