lunedì 31 luglio 2017

Poesie per Massimo

(Sei anni fa moriva Massimo Bontempelli. Vi propongo alcune poesie scritte in sua memoria, pubblicate nella mia recente raccolta. M.B.)




Per un Maestro (Massimo Bontempelli 1946-2011)



1.
Difficile spiegare chi eri.
Mi prenderebbero per pazzo.
E non sono molto coraggioso,
lo abbiamo sempre saputo.
Ma non ti ho rinnegato, questo certamente no,
anche se il gallo ha cantato molte volte da allora.
Mi chiedo se ti ho meritato.
Penso di no.
Sì, c'è ancora tempo,
non sono finito,
ma non credo di avere le forze
per fare molto più di ciò che ho fatto.
Ho troppi conti da pagare,
troppe email a cui rispondere,
e devo curarmi
una discopatia alle cervicali.
Cerco di salvarmi la vita.
Perché non ritornerai circondato di gloria
alla destra del Padre,
lo sappiamo bene.
E allora questo solo posso dirti.
Perdonami, accoglimi, ascoltami.
Come hai sempre fatto.



2.
Plotino si vergognava di avere un corpo.
Hegel non saprei, ma credo di no.
Il tuo problema non era certo la vergogna,
era il dolore, quel buco nero
che ti ha rubato i giorni della vita,
e alla fine ti ha ucciso.
Ma quando ti lasciava libero
nel tuo corpo non ci stavi male.
Ti godevi le piccole cose:
un buon caffè, una spiaggia tranquilla,
il silenzio, soprattutto.
Ti muovevi con un po' di incertezza.
Era forse l'eccesso di cose
che portavi al futuro.
Cercavi, esitando, con chi dividerle.
Qualcuno l'hai trovato, dopotutto.
Dopotutto, sei stato felice.



3.
Come si può vivere decentemente
in un tempo senza speranza
come il nostro?
Ce lo siamo chiesti a lungo, ricordi?
Dovevamo anche scriverci un libro.
Tu avresti parlato di Proclo e Giamblico.
Il tuo destino ha deciso diversamente.
Hai fatto quello che hai potuto.
Hai protetto i semi
che forse nasceranno.
Hai copiato antichi manoscritti.
Hai detto, a chi la chiedeva,
la parola che aiuta,
e forse salva.
Hai fatto quello che hai potuto.
Come fanno tutti, si potrebbe dire.
Ma davvero non come tutti.



4.
Cos'è che ci salva?
Era questa la domanda
che non ti ho mai fatto,
distratto dalle tante altre cose
di cui volevo parlarti.
Perché alcuni sono sommersi
dalle onde della vita
e sprofondano giù,
nel buio, perduti,
e altri riescono ad afferrare
un senso che riscatta il dolore
e ti salva?
Dove sta l'impercettibile
punto di svolta?
Il crinale fra coraggio e viltà?
Forse non avresti risposto,
scuotendo la testa imbarazzato,
come quando mi vedevi commettere
i miei errori.
In interiore homine habitat veritas.
E Sant'Agostino, lo possiamo dire,
se ne intendeva.
Ma forse so perché non te l'ho mai domandato.
Perché non era quello che volevo chiederti
ma solo
salvami, ti prego”.
E questo davvero
non lo potevi fare.



5.
La storia ha un modo di ridere che è ripugnante
scriveva un poeta che amo.
Parlava della grande Storia dei popoli e delle classi.
Ma anche le piccole storie degli individui
non sono da meno.
Ti è sempre mancato il tempo
per scrivere, per dare al mondo quello
che solo tu potevi,
e quando finalmente il tuo orizzonte si è aperto
la vecchia falce l'ha richiuso,
quasi subito.
Ho fatto i conti,
hai dato esattamente
l'otto virgola tre periodico per cento
di quello che avevi.
Anche così, è stato sufficiente
a cambiarmi la vita.
Ma adesso i demoni meschini
sono lì che mi attendono,
ghignando,
adesso che tu non ci sei.



6.
Gli uomini sono esseri mirabili
scriveva ancora quello stesso poeta
parlando del celebre marxista ungherese.
Chissà cosa intendeva veramente.
Di certo tu non ti saresti mai
espresso così.
Conoscevi troppo bene i nodi
che dentro ognuno di noi
legano il bene al male,
le piccole viltà che ci rendono impossibile
ciò che in verità potremmo.
Mirabile è ciò che nell'uomo
può manifestarsi
se lo sappiamo volere.
Gli uomini sono esseri liberi”
avresti forse detto
e ne pagano il prezzo”



7.
Ti mancava l'ironia,
questa forma civilizzata
dell'odio.
Eri incapace di odiare,
appunto.
Ridevi come ridono i bambini.
Temevo che non sapessi proteggerti.
Avevo paura per te.
Che sciocco.
Alla fine
sei tu che hai vinto.



8.
Raccolgo cose disperse che abbiamo scritto,
ne faccio un libro
dalla copertina buia,
come i tempi che ci attendono,
e che tu non vedrai.
Non oso soffermarmi a pensare
allo spreco assurdo
di te
che il nostro tempo ha fatto.
Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti
scrissero i due saggi tedeschi.
Ma quando né la classe dominante
né quella dominata
hanno più nulla
che assomigli a un'idea
che cosa domina il tempo?
La risposta è ovvia,
il nulla produce il nulla,
il vuoto che corrode
tutto ciò che appare solido
e si dissolve nell'aria.
Non era il tempo per te.
In fondo è già molto
se ti hanno lasciato vivere.



9.
Il grande poeta tedesco
esaltava l'umile
che strappa al saggio la saggezza
perché sa volerla.
A te non bisognava strappare nulla,
eri pronto a dare
sapere e sapienza,
ma certo bisognava volerlo
e assumersene
le conseguenze.
Posso dire di averlo fatto?
Nel mio modo imperfetto,
poco utile,
e poco coraggioso,
lottando contro le ansie 
che mi porto dentro,
sì,
l'ho fatto.




In interiore homine habitat veritas”: Sant'Agostino, appunto
un poeta che amo”: Franco Fortini
celebre marxista ungherese”: György Lukács
i due saggi tedeschi”: ovviamente, Marx ed Engels
grande poeta tedesco”: B.Brecht, nella “Leggenda sull'origine del libro Taoteking dettato da Laotse sulla via dell'emigrazione”.





























giovedì 13 luglio 2017

Sulla decadenza della scuola nel neoliberismo (P.Di Remigio)

(Riceviamo da Paolo Di Remigio e volentieri pubblichiamo. M.B.)



Il Fronte Sovranista Italiano e la scuola pubblica italiana

(Paolo Di Remigio)



1. Ciò che resta della scuola pubblica è uno dei risultati del programma di trasformazione sociale perseguito con lungimirante tenacia e studiata lentezza dalle oligarchie liberali anglosassoni: a partire dagli anni '80, esse hanno riavviato la guerra fredda contro l'URSS e in un decennio l'hanno spinta al tracollo; poi hanno imposto in tutto il mondo le liberalizzazioni, cioè l'abolizione delle leggi (lacci e laccioli) che frenavano l'iniziativa economica, e le privatizzazioni, cioè l'acquisizione dei beni pubblici da parte dei monopolisti privati. L'emarginazione dello Stato dall'economia che ha reso onnipotenti le grandi concentrazioni capitalistiche transnazionali è indicata con il nome asettico di globalizzazione. Soppresse le regole con cui gli Stati regolavano il mercato così da attutirne le asimmetrie e le disfunzioni, i capitali si sono precipitati dove il costo del lavoro era più basso; chiuse le aziende in Occidente e riaperte in Oriente, incoraggiata l'immigrazione dei lavoratori dal Meridione, i lavoratori relativamente garantiti in Occidente sono stati esposti alla concorrenza di quelli non garantiti in Oriente; la disoccupazione montante cancellando la loro forza contrattuale li ha condannati alla precarietà e al pauperismo.
In Europa artefici della globalizzazione sono state le burocrazie della UE. Nel documento del Fronte Sovranista Italiano dedicato alla scuola[1]  è riportata una dichiarazione della Commissione Europea secondo cui «la UE si trova di fronte a una svolta formidabile indotta dalla mondializzazione e dalle sfide relative a un'economia fondata sulla conoscenza». Si noti come la globalizzazione appaia qui non come un programma di un soggetto politico, non come storia, ma come una fase storico-filosofica, a cui non resta che adeguarsi. Si noti ancora l'oscurità del carattere della nuova fase: ‘economia fondata sulla conoscenza’. In realtà l'economia è sempre fondata sulla conoscenza: in ogni caso raccogliere, cacciare, produrre consistono nell'applicare tecniche e le tecniche implicano la disponibilità di conoscenze. Il contesto della delocalizzazione produttiva suggerisce il significato nascosto di questa espressione impropria: poiché la tecnica si divide in una fase ideativa e in una applicativa, in un sapere e in un fare, l'espressione rivela l'intenzione di mantenere in Occidente il sapere e di dislocare in Oriente il fare.
La frase successiva, per cui l'Europa deve diventare «l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di una crescita economica duratura», intesa in riferimento esterno al mondo, oltre a denunciare la velleità imperialistica della UE, le attribuisce la volontà di un'asimmetria anziché l'obiettivo dell'equilibrio generale; ma l'asimmetria economica, lungi dal poter consentire la desiderata crescita duratura, induce le amarissime crisi. Intesa in riferimento interno, la frase annuncia la volontà di scatenare una concorrenza tra i lavoratori che producono conoscenza, per abbassare i costi delle loro retribuzioni, così da aumentare i profitti. La scuola deve provvedere al capillare assoggettamento al capitale dei lavoratori della conoscenza, così da perfezionare la proletarizzazione del ceto medio di cui sono parte.
Applicata alla scuola, la retorica dell’economia della conoscenza provoca però una contraddizione non meno grave dell'attendersi la crescita duratura dall'intensificazione della competitività. La scuola funzionale all'economia della conoscenza dovrebbe essere più licealizzata e meno professionalizzante, orientarsi, anziché all'applicazione particolare, alla teoria generale; è il generale infatti, in virtù della sua astrazione dal particolare, ad essere flessibile e applicabile ai più differenti ambiti empirici; dunque più grammatica per facilitare l'apprendimento delle lingue e procurare agilità logica, più matematica per sviluppare le capacità di astrazione e di rigore dimostrativo, più storia per sviluppare il senso della complessità, più filosofia per sviluppare il senso critico.
Nulla di tutto ciò. Ignorando il significato di ciò che dichiara, la Commissione europea pretende che il ruolo della scuola sia quello di «dare la priorità allo sviluppo delle competenze professionali e sociali, per un migliore adattamento dei lavoratori alle evoluzioni del mercato del lavoro (CEE 1997)». Una pretesa contraddittoria: se il mercato del lavoro si evolve, se ogni tecnica particolare diventa subito obsoleta ed è sostituita da un'altra tecnica particolare, è necessario insegnare meno tecniche particolari professionalizzanti condannate all'effimero, e più principi generali che restano stabili nell'evolversi della tecnologia: meno tornio, meno fresa, più matematica, più fisica, meno competenze concrete (professionali e sociali), più competenze universali, valide cioè in ogni situazione.

lunedì 10 luglio 2017

Come si cambia....

Dalla pagina facebook di Paolo Di Remigio riprendo la segnalazione di questi due interventi di Laura Boldrini.





"Come si cambia" è ovviamente il titolo di una bella canzone di Fiorella Mannoia. Ve la riproponiamo, giusto per ricordare come in Italia la musica leggera sia di livello infinitamente più alto della politica.



venerdì 7 luglio 2017

Una prospettiva keynesiana

Un articolo dell'economista tedesco J.Starbatty, tradotto dal sempre benemerito sito "Voci dall'estero". Credo che ai 29 lettori di questo blog non dica nulla di nuovo, ma è una ulteriore interessante testimonianza di come queste analisi siano diffuse. Temo che il vero problema ormai non sia capire la crisi dell'eurozona, ma trovare una risposta alla vecchia domanda di Cernysevskij e Lenin.

http://vocidallestero.it/2017/07/06/ehoc-una-prospettiva-veramente-keynesiana-sulla-crisi-delleurozona/

mercoledì 5 luglio 2017

Un genio del cinema

Una interessante riflessione del collettivo Wu Ming

http://www.wumingfoundation.com/giap/2017/07/potemkin/

La cosa che più mi stupisce è scoprire che, a quanto sembra, nel nostro paese un film come "La corazzata Potemkim" è vittima di un pregiudizio negativo per via della famosa battuta di un film di Fantozzi. La cosa fa riflettere. Un tempo i nomi di riferimento nel dibattito intellettuale erano, che so, Gramsci, Adorno, Althusser. Oggi sono Villaggio, Gaber o Fazio. Mi sembra un'ottima illustrazione di quello che intendo parlando di "declino della civiltà". Per chiudere scherzosamente, mi vien da pensare che, proseguendo di questo passo, fra non molto sarà necessario essere fra amici fidati, e guardarsi attorno con circospezione, prima di poter dire sottovoce che "La corazzata Potemkim" è un capolavoro, Eisenstein è un genio, e i film di Fantozzi sono delle cagate pazzesche.

martedì 4 luglio 2017

Sulla politica sovranista

Nel mondo (piccolo ma vivace) del sovranismo si discute di strategie politiche (alleanze, coordinamenti, partiti et similia). Su questi temi mi pare che Stefano D'Andrea, Presidente del FSI,  dica cose molto sensate, nel seguente intervento

http://appelloalpopolo.it/?p=32477

domenica 2 luglio 2017

Promesse tradite

Ogni tanto mi capita di trovarmi d'accordo con articoli del blog "Militant", e di segnalarli. Questa volta segnalo un loro articolo per un motivo un po' diverso. L'articolo è il seguente

http://www.militant-blog.org/?p=14518#more-14518

E' intelligente e ben scritto, come sempre. Ma stavolta mi sento in netto dissenso, e la chiarezza di questo testo mi aiuta a precisare il mio dissenso: l'autore (uso il singolare per comodità, non so se si tratti di uno o più autori) infatti pensa che il problema della società attuale siano le "promesse tradite" del capitalismo. Pensa cioè che "le dinamiche di globalizzazione e i processi di tecnologizzazione delle competenze" rappresentino qualcosa di positivo che il capitalismo distorce in nome del profitto. Se è corretto quanto ho appena detto, siamo di fronte al limite teorico di fondo di tutta la sinistra storicamente esistita, di cui ho già parlato a lungo in altri luoghi. Per non farla lunga, a "Militant" si può rispondere che nel tempo presente il problema non è più il "tradimento delle speranze"" da parte del capitalismo, sono proprio le speranze che esso suscita che è necessario rifiutare. La proposta della decrescita ha appunto questo senso. Il fatto che persino un blog come "Militant" mostri questa sostanziale sudditanza teorica al pensiero dominante, indica che probabilmente non sorgerà nessuna forza capace di vera opposizione, e la società attuale percorrerà fino in fondo il suo tragitto di dissoluzione.