Un intervento molto chiaro. Sull'argomento, ricordo gli interventi che avevo segnalato qui.
http://www.aldogiannuli.it/fascismo-antifascismo-una-coppia-concettuale-ancora-attuale/
Visualizzazione post con etichetta fascismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta fascismo. Mostra tutti i post
lunedì 24 giugno 2019
giovedì 16 maggio 2019
Il vuoto e la censura
Le recenti polemiche sul "fascismo" mostrano con evidenza come la sinistra cerchi di mascherare il proprio vuoto di prospettive, di idee, di intelligenza, con una inquietante attitudine censoria. Gli articoli di seguito mi sembra dicano parole chiare ed essenziali.
https://www.corriere.it/opinioni/19_maggio_12/lezioni-storiche-torino-73761d34-74ec-11e9-972d-4cfe7915ecef.shtml
https://paolobecchi.wordpress.com/2019/05/10/caso-altaforte-la-sinistra-si-rassegni-non-ce-reato-di-apologia/#more-9857
https://www.corriere.it/opinioni/19_maggio_12/lezioni-storiche-torino-73761d34-74ec-11e9-972d-4cfe7915ecef.shtml
https://paolobecchi.wordpress.com/2019/05/10/caso-altaforte-la-sinistra-si-rassegni-non-ce-reato-di-apologia/#more-9857
mercoledì 14 giugno 2017
Porcaro su fascismo e alleanze
Ancora un bell'intervento di Mimmo Porcaro
http://www.socialismo2017.it/2017/06/09/discutendo-alleanze-dintorni/
http://www.socialismo2017.it/2017/06/09/discutendo-alleanze-dintorni/
Etichette:
fascismo,
Le Pen,
Mimmo Porcaro,
Salvini,
UE
martedì 31 marzo 2015
Un saggio su fascismo e antifascismo/2
(Seconda e ultima parte del saggio scritto con Massimo Bontempelli. La prima parte è stata pubblicata domenica 29. M.B.)
5. Che fare?
5. Che fare?
Dopo questo esame sulla natura del
fascismo, riprendiamo l’esame della situazione italiana. La domanda
naturale, a seguito delle analisi fin qui svolte, è naturalmente:
che fare? Come opporsi
al pericolo effettivo di dissoluzione
della società italiana? Se tale pericolo fosse quello del fascismo,
la risposta sarebbe chiara e dettata dalla storia: di fronte al
pericolo fascista occorre una
politica di unità antifascista, quel
tipo di politica che ha permesso la lotta del CLN e il trionfo
dell’antifascismo. E’ in sostanza questo il modello che viene
continuamente richiamato da molti
antiberlusconiani. Noi riteniamo che
questo modello sia oggi del tutto inapplicabile. Come l’attuale
capitalismo feudal-criminale, del quale il berlusconismo è
l’espressione più chiara, non è fascismo,
così l’opposizione alle dinamiche
distruttive di tale capitalismo non può definirsi antifascismo. Si
può anzi affermare che nell’attuale fase storica l’antifascismo
(in quanto, beninteso, pratica politica, e non assunto
etico-culturale) non sia più attuale. La tesi sull’esaurimento di
senso politico, nella realtà contemporanea, dell’opposizione
fascismo/antifascismo, si argomenta in maniera molto semplice.
L’antifascismo è definito dall’essere opposizione e contrasto
al fascismo e al nazismo. Ma il fascismo e il nazismo sono stati
sconfitti nella Seconda Guerra Mondiale, e da allora non hanno più
alcuna esistenza storicamente significativa. Non c’è, da più di
sessant’anni, nessun fascismo da contrastare, e l’antifascismo
non ha quindi nessun senso. Le obiezioni a questa tesi possono
assumere forme molto diverse, ma in sostanza si riducono a due: in
primo luogo, si contesta l’assunto che oggi non esista più alcun
fascismo storicamente rilevante. In secondo luogo, si obietta che
difendere l’attualità dell’antifascismo significa in realtà
difendere gli ideali che hanno
ispirato la lotta antifascista e che
sono depositati nella Costituzione Italiana. Per cui chi riconosce il
valore di tali ideali (e fra questi vi sono gli autori di questo
saggio) perciò stesso riconosce l’attualità e il valore
dell’antifascismo. Esaminiamo allora queste due obiezioni.
La discussione sul fascismo svolta in
precedenza ci permette di capire in che senso affermiamo che oggi non
esiste nessun fascismo storicamente rilevante. Vogliamo dire che non
esiste nessun movimento politico storicamente rilevante che si
proponga un obiettivo di controllo politico totalitario della società
diretto alla mobilitazione e attivizzazione permanente delle masse
con lo scopo di coinvolgere le masse stesse in
una attiva politica di conquiste imperialistiche. Ovviamente, ci sono
oggi fascisti e nazisti, ma si tratta di piccole realtà
insignificanti. Nei casi in cui l’estremismo di destra è stato
coinvolto in progetti eversivi si è sempre trattato di piccole
realtà completamente subalterne a strategie organizzate e portate
avanti da forze di tutt’altra natura. La risposta a questi dati di
fatto, da parte di chi sostiene l’attualità dell’antifascismo,
sta in sostanza in un cambiamento del significato dei termini, per
cui si chiama “fascismo” ogni forza politica e ogni tendenza
culturale che abbia in comune col fascismo propriamente detto alcune
caratteristiche come la violenza, il rifiuto della democrazia e
dell’universalità dei diritti umani, il maschilismo, il sospetto
nei confronti della libertà della cultura e dell’elaborazione
intellettuale. Si tratta di una mossa abituale nella sinistra
italiana, nella quale è sempre stata operante la comoda tendenza a
qualificare come “fascista” chiunque esprimesse punti di vista
diversi da quelli egemoni all’interno della sinistra stessa. Questa
impostazione è chiaramente espressione di un errore logico,
paragonabile a quello contenuto nel seguente pseudo-ragionamento:
“tutti i salmoni sono pesci, quindi tutti i pesci sono salmoni”.
Se è chiaro l’errore contenuto nella frase appena enunciata,
dovrebbe anche essere chiaro come un errore dello stesso tipo sia
contenuto negli pseudo-ragionamenti di chi afferma che, poiché il
fascismo attacca la democrazia, allora chi attacca la democrazia è
fascista (per concludere magari che Berlusconi è fascista), e poiché
il fascismo è violento, allora chi è violento è fascista, e poiché
il fascismo è maschilista, allora chi è
maschilista è fascista. Questo errore
logico porta ad un sostanziale svuotamento della nozione di
“fascismo”, ridotta ad una astrazione priva di determinazioni
storiche.
domenica 29 marzo 2015
Un saggio su fascismo e antifascismo/1
Ripubblico, in due parti, un saggio su "Berlusconi, fascismo, antifascismo", scritto con Massimo Bontempelli fra fine 2010 e inizio 2011. Al di là delle analisi del fenomeno Berlusconi, credo che esso possa oggi risultare interessante sia per l'analisi di alcuni dati di fondo della realtà italiana, sia per una discussione sul tema fascismo/antifascismo, che periodicamente ritorna di attualità. La sezione 3 è dovuta interamente a Massimo.
(M.B.)
1. Introduzione
L’autunno del 2010 verrà ricordato
come l’inizio dell’autunno o del tramonto di Berlusconi. Il
segnale più evidente di questo tramonto è forse l’attacco che i
giornali da lui dipendenti hanno sferrato, all’inizio di ottobre,
contro Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria. Si tratta
evidentemente di una mossa disperata, dovuta all’incapacità da
parte di Berlusconi di gestire i problemi e gli scontri interni ai
ceti dominanti italiani. E’ del tutto ovvio che egli non può
permettersi, senza minare le basi del suo potere, di attaccare i
poteri rappresentati dalla Confindustria, e di portare lo scompiglio
e l’insicurezza fra gli stessi vertici del potere reale nel
nostro paese.
Il ciclo degli ultimi quindici anni
della vita italiana, dominato, sul piano dell’immaginario diffuso,
dalla “discesa in campo” di Berlusconi e dall’antiberlusconismo
delle sinistre, ha segnato lo sprofondare del nostro paese in una
declino sociale, civile e morale che si è tradotto in una ulteriore
perdita di diritti dei lavoratori, in un costante abbassamento del
reddito reale dei ceti medi e bassi, nella disgregazione del tessuto
connettivo del paese, nel diffondersi della corruzione, nel controllo
da parte della criminalità organizzata di vaste zone del territorio
nazionale. Si tratta di fenomeni che stanno ormai mettendo in
pericolo la coesione sociale e l’unità politica del paese.
Chi voglia opporsi a questa decadenza
deve elaborare una interpretazione chiara e convincente di quanto sta
accadendo, e noi intendiamo cominciare. Nel fare questo tenteremo di
rispondere a tre domande. La prima: Berlusconi rappresenta un
effettivo pericolo per la democrazia? E’ possibile cioè che, di
fronte alla prospettiva della propria definitiva sconfitta,
Berlusconi tenti la carta di una eversione della democrazia? La
seconda: se si ammette il pericolo di una “dittatura
berlusconiana”, ha senso allora parlare del berlusconismo come di
una forma di fascismo? E infine ha senso, per combattere un tale
“fascismo berlusconiano”, proporre lo schema dell’unità
antifascista fra tutte le forze che si oppongono a Berlusconi? Si
tratta, come è evidente, di domande alle quali è necessario
rispondere se si vuole elaborare una strategia politica che blocchi
la decadenza del nostro paese e allontani lo spettro della
dissoluzione politica, sociale e morale della nazione italiana. Per
chiarezza, anticipiamo subito le nostre risposte a queste tre
domande. In primo luogo, riteniamo che Berlusconi rappresenti davvero
un pericolo per la democrazia, e che la possibilità di una
“dittatura berlusconiana” non sia esclusa. In secondo luogo,
riteniamo che tale dittatura non avrebbe nulla di “fascista”, e
che non avrebbe quindi senso proporre lo schema dell’unità
antifascista contro di esso.
Nel seguito cercheremo di argomentare
queste tesi.
2. Feudalità criminale.
La realtà sociale e politica
dell’Italia di oggi è espressione di fenomeni generali che fanno
parte della fase attuale del capitalismo, ma possiede anche una sua
specificità, legata sia ad aspetti storici di lunga durata sia alle
dinamiche politiche degli ultimi anni. Volendo descrivere alcune di
queste caratteristiche generali del mondo contemporaneo, abbiamo in
passato usato le espressioni “capitalismo assoluto” o
“totalitarismo capitalistico”[1]. Con esse intendiamo indicare il
fatto che il rapporto sociale capitalistico è divenuto “assoluto”,
cioè non ammette più nessuna (relativa) autonomia di istituzioni
non economiche. Lo Stato diventa un’azienda, gli ospedali e le
scuole diventano aziende, le stesse più intime relazioni umane
devono venir gestite in termini
“aziendali”. Questo totalitarismo
ha come ovvio effetto lo svuotamento di ogni senso della politica. Se
ogni decisione sull’economia è imposta dai mercati e tolta alla
politica, quest’ultima si riduce ad una attività vacua e
autoreferenziale. E questo è esattamente quello che succede: in
tutto il mondo del capitalismo avanzato il ceto politico tende a non
incidere minimamente sulla realtà sociale, che è abbandonata alle
dinamiche dell’economia capitalistica. La politica in sostanza deve
solo garantire la dinamica economica da ogni interferenza contraria,
e raggiunge questo risultato appunto con la propria
autoreferenzialità che la rende impermeabile alle sofferenze e ai
conflitti che la dinamica economica fa sorgere nella società. In
cambio di questa garanzia il ceto politico può
vivere parassitariamente a spese della
ricchezza sociale. Questa configurazione della realtà sociale vale
per tutto il mondo occidentale. Ad essa si aggiungono però, in
Italia, quelle specificità alle quali abbiamo sopra accennato. Per
comprenderle, occorre partire dal fatto che in Italia vi è una
tradizione storica per la quale la politica è una forma abbastanza
diffusa di sbocco occupazionale dei ceti medi. Le origini di questa
particolarità storica andrebbero probabilmente ricercate nel modo
stesso in cui si è sviluppato in Italia il capitalismo industriale,
con un forte intervento statale, ma per non andare così lontano
basterà ricordare come questo aspetto della politica in Italia sia
stato
molto visibile durante il fascismo:
Mussolini riuscì infatti a neutralizzare gli aspetti più eversivi
del movimento fascista, e a fare del Partito fascista una semplice
cassa di risonanza propagandistica della sua gestione per via
burocratica dello Stato, grazie alla trasformazione dei quadri
fascisti in funzionari stipendiati di enti statali o dello stesso
Partito Nazionale Fascista. Se nell’immediato dopoguerra questo
processo conosce una battuta d’arresto, perché il ceto politico
emerso dalla Resistenza esprime una cultura diversa, esso però
riprende rapidamente con la creazione degli apparati dei vari partiti
di massa. L’episodio emblematico di tale processo è lo scontro che
nella DC, poco prima della morta di De Gasperi, vede protagonisti lo
stesso De Gasperi e Fanfani. Quest’ultimo vuole in sostanza che il
partito si crei una base elettorale indipendente dalla Chiesa, e per
questo ha bisogno di un ceto di funzionari stipendiati che viene
creato sfruttando le risorse occupazionali dell’amministrazione
pubblica. Gli altri partiti di massa della Prima Repubblica
imiteranno il modello democristiano. A partire da queste premesse,
attraverso una dinamica storica che sarebbe troppo lungo ricostruire
qui, siamo arrivati alla situazione attuale, nella quale il ceto
politico italiano appare come uno dei più estesi, dei più corrotti
e dei più rapaci dell’intero mondo occidentale. Questo particolare
fenomeno si deve alla sostanziale impunità di cui la corruzione
politica ha potuto godere in Italia, con l’eccezione di pochi casi
isolati e del momento storico di Mani Pulite. Le ragioni di questa
sostanziale impunità stanno probabilmente in aspetti “di lunga
durata” dell’Italia, che da molto tempo sono stati indicati
all’attenzione pubblica (mancanza di senso dello Stato, “familismo
amorale”). Il punto che qui vogliamo sottolineare è che, in
presenza di una occupazione delle strutture pubbliche da parte dei
partiti, la sostanziale impunità della corruzione genera un ceto
politico che si espande sempre di più. Infatti, in mancanza di
repressione dei comportamenti illegali, la forza di cui ciascun
politico dispone nelle lotte per il potere è direttamente
proporzionale alle dimensioni delle propria corte di clienti. Il
progressivo estendersi di queste corti clientelari, dovuto anche al
progressivo venire meno, in larga parte dell’opinione pubblica, di
ogni tipo di resistenza alla corruzione generalizzata, crea alla fine
un problema di risorse. Le stesse risorse statali diventano
insufficienti e il ceto politico, per finanziarsi, si introduce nel
mondo dell’economia, non ovviamente per dirigerla o indirizzarla
(il che sarebbe in contrasto, come dicevamo all’inizio, con la
natura stessa della politica contemporanea), ma per diventare
mediatore d’affari e lucrare guadagni. Questo avviene in tanti modi
diversi, per esempio grazie
al controllo del territorio di cui
dispone il politico e al fatto che è necessaria la sua mediazione
per mettere in opera progetti di costruzioni di un tipo o dell’altro,
oppure grazie alla possibilità per
il politico di far saltare agli
imprenditori “amici” le lungaggini burocratiche effettivamente
presenti in Italia. Il fenomeno Berlusconi si inserisce in questa
dinamica e ne rappresenta la summa perfetta.
Iscriviti a:
Post (Atom)