giovedì 8 ottobre 2020

Dissesto

Ancora una volta, una pioggia autunnale un po’ intensa si traduce in un serie di disastri (e morti), questa volta nell’Italia nordoccidentale. Ne abbiamo parlato tante volte, persone più esperte di noi ribadiscono da decenni l’analisi del dissesto idrogeologico di questo paese, la necessità di manutenzione del territorio, le responsabilità degli amministratori nell’uso sconsiderato del territorio stesso. Ripetere queste ovvietà appare ormai del tutto inutile, e anzi fastidioso, per chi parla e per chi ascolta.

Proviamo a partire allora dalla constatazione di questo fatto: il dissesto idrogeologico di questo paese provoca continuamente danni gravi e vittime, e la cosa sembra non importare a nessuno. A nessuno nel mondo della politica ma, si badi bene, a nessuno neppure fra quella “gente” che poi paga il prezzo dei disastri. E ovviamente la politica si disinteressa del problema proprio perché è la massa della popolazione a farlo. Se esistesse un vivo allarme sociale su questi temi, se essi spostassero voti, probabilmente la politica farebbe almeno finta di considerarli rilevanti. Ceti dominanti e ceti subalterni sembrano uniti in questo sostanziale disinteresse.

Perché tutto questo? Mi sembra che nella coscienza diffusa agiscano due elementi: da una parte l’accettazione dei disastri come eventi fatali, inevitabili, contro i quali non ha senso cercare rimedi; dall’altra la speranza di non essere coinvolti, il tipico “io speriamo che me la cavo”. Non so se questi dati psicologici e sociali siano caratteristici del nostro paese o siano invece diffusi nei paesi avanzati (propendo per la seconda ipotesi). In ogni caso, la riflessione inevitabile mi sembra la seguente: se questa è la situazione, come possiamo sperare che gli attuali ceti dirigenti possano fare seriamente qualcosa per difendere il paese e i cittadini dai problemi sempre più gravi che saranno la conseguenza della crisi ecologica e ambientale, ormai avviata? Mi sembra evidente che, di fronte ai disastri futuri, ceti dirigenti come quelli attuali non faranno altro che cercare di salvare se stessi, mentre i ceti subalterni saranno in sostanza abbandonati in balia dei disastri. Il fatto che, di fronte a queste prospettive, nessuno sembri preoccuparsi di nulla, mi sembra una ulteriore manifestazione del fatto che le dinamiche sociali contemporanee sono riuscite a distruggere nella corpo della società non solo ogni traccia di pensiero critico, ma anche ogni sensato istinto di autoprotezione. Nella mancanza totale di forze che si oppongano in maniera razionale e concreta a queste tendenze autodistruttive, la prognosi non può che essere quella di un crollo di civiltà.

(Marino Badiale)


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