martedì 24 marzo 2020

Una nota ministeriale (P. Di Remigio, F. Di Biase)


Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento degli amici Paolo Di Remigio e Fausto Di Biase (M.B.)


In Italia, negli ultimi vent’anni, mentre la sanità pubblica subiva gli artigli del liberalismo, l’istruzione pubblica è stata sommersa da una marea di provvedimenti della medesima origine, dalle conseguenze non letali certo, ma tali da depauperare in profondità la vita spirituale. E come è ancora vivo il ricordo degli ossessivi articoli sulla malasanità che con la loro risonanza coprivano i tagli spietati al numero dei posti-letto e del personale, così sembra ancora di udire l’accusa che giornalisti ed esperti lanciavano dal pulpito di una pedagogia fantasticante contro l’intera categoria degli insegnanti: di essere colpevole di inettitudine didattica, di limitarsi a verbose lezioni frontali senza preoccuparsi delle competenze. L’accusa, pur infondata, ha travolto gli accusati, perché si nutriva del desiderio profondo di sognare anziché pensare, assistere a spettacoli anziché studiare libri, giocare anziché imparare – e da cui trae alimento l’illusione comune che ci si possa istruire sognando, assistendo a spettacoli e giocando. Così da un ventennio, mentre l’apparato industriale veniva smantellato, le infrastrutture si sbriciolavano, gli ospedali chiudevano, la scuola, quasi tutta all’inseguimento del miraggio della didattica fantasticante, divertiva e dispensava da ogni impegno personale. Costringendo la didattica vera a contentarsi delle briciole di tempo e di energia, la scuola matura ormai solo i frutti disgustosi dell’ignoranza; ma l’accusa non si placa, finché pezzo dopo pezzo l’istituzione non sia smantellata; per questo giornalisti disinformati e pedagogisti prezzolati continuano a spacciare il disastro del nuovo per ostinazione del vecchio, il risultato delle riforme per l’effetto dell’insufficienza della loro applicazione.


Il destino, ridestato dall’imprevidenza, trascina chi non si fa guidare dalla razionalità. Con l’epidemia vacilla non solo il dogma del denaro come bene scarso che lo Stato deve mendicare ai mercati, ma anche la didattica fantasticante. Come effetto di questo vacillare si possono interpretare le oscillazioni contenute nella nota diffusa dal MIUR[1], a firma di Marco Bruschi, preoccupata di «ritornare… alle coordinate essenziali dell’azione del sistema scolastico». Vi si legge: «Il solo invio di materiali o la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento.» Si può osservare che il semplice invio di materiali e la mera assegnazione di compiti non preceduti da spiegazione è il nucleo della flipped classroom reclamizzata fino a poco fa come ultima frontiera dell’innovazione e che, viceversa, la spiegazione precedente i compiti, imposta dalla nota (senza troppi complimenti per il feticcio dell’autonomia scolastica), è la lezione frontale, su cui si è gettato per decenni fango pedagogico senza che il MIUR movesse ciglio. Vedremo se queste affermazioni abbiano valore soltanto emergenziale oppure se daranno inizio al ritorno all’essenziale di cui la nota parla.
«La didattica a distanza prevede infatti uno o più momenti di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia, utile anche per accertare, in un processo di costante verifica e miglioramento, l’efficacia degli strumento adottati…». Risulta cioè che nella didattica a distanza l’apprendimento non si produce per la magia dei metodi innovativi, come si fantasticava nell’ultima legge di riforma della scuola, ma dall’operare in autonomia degli alunni su cui l’insegnante ritorna, quindi da ciò che nella scuola non ancora innovata e innovativa era attuato dall’assegnazione dei compiti, dalla loro correzione e valutazione. Il futuro ci dirà se tutto ciò vale solo per la didattica a distanza, se ritornati a scuola l’esecuzione dei compiti da parte degli alunni e la loro correzione e valutazione da parte degli insegnanti torneranno ad essere prassi corrente come nella vecchia scuola e non solo attività clandestina come accade nella nuova.
«Affinché le attività… non diventino… esperienze scollegate le une dalle altre, appare opportuno suggerire di riesaminare le progettazioni definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di inizio anno…». Qui è presente un’interessante contraddizione: da una parte ci si riferisce all’organizzazione didattica come a una progettazione, cioè a un insegnamento non scandito secondo un programma qualificato di contenuti culturali e scientifici, ma ridotto a iniziative rapsodiche e dilettantesche[2], dall’altra si vuole scongiurare che le attività diventino esperienze scollegate le une dalle altre. Il tempo si incaricherà di mostrare se la scuola dovrà continuare ad essere una fungaia di progetti innovativi o un’esperienza organizzata sulla base della cultura e della scienza.
È necessario, si legge infine sulla nota, «che si proceda ad attività di valutazione costanti, secondo principi di tempestività e trasparenza… Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica… Ma la valutazione ha sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in una ottica di personalizzazione che responsabilizza gli allievi…». «Si tratta di affermare il dovere alla (sic) valutazione da parte del docente… e il diritto alla valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione di eventuali lacune…». Queste affermazioni contengono curiose ambiguità: il dottor Bruschi sembra ignorare che nella prassi dei consigli di classe la valutazione, ben lungi dall’essere sanzionatoria, ha fatto proprio a tal punto il principio della «valorizzazione» che ogni voto inferiore a 6 salta oltre la soglia e tutti gli altri lievitano proporzionalmente. Solo il tempo potrà decidere se si ritornerà alla valutazione come atto finale di una correzione accurata capace di indicare ai discenti come recuperare, consolidare e approfondire gli argomenti proposti in verifiche frequenti e sistematiche, oppure se, come oggi, essa e ciò che essa sottende saranno scoraggiati anche sotto il profilo economico e si continuerà a valorizzare il nulla come è prassi consolidata nella nuova scuola.
La nota ha comunque il merito di aver generato un’attesa.


[1] https://www.miur.gov.it/web/guest/ricerca-tag/-/asset_publisher/oHKi7zkjcLkW/document/id/2598016?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_redirect=https%3A%2F%2Fwww.miur.gov.it%2Fweb%2Fguest%2Fricerca-tag%3Fp_p_id%3Dcom_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW%26p_p_lifecycle%3D0%26p_p_state%3Dnormal%26p_p_mode%3Dview%26_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_cur%3D0%26p_r_p_resetCur%3Dfalse%26_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_assetEntryId%3D2598016
[2] Cfr. l’elenco necessariamente incompleto delle invenzioni progettuali compilato da G. Monello, La fuffoscuola, Scepsi & Mattana Editori, Cagliari 2019, pp. 90 sgg.

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