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martedì 2 giugno 2015

Guerra, ideologia e tecnica




Pubblichiamo l'intervento di Fabio Bentivoglio al convegno "1914-2014: Cento anni di guerre", tenuto a Napoli il 4-12-14, organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dal Rotary Club.
(M.B.)




Guerra, ideologia e tecnica
Fabio Bentivoglio
I cento anni di guerra (1914-2014) oggetto della nostra attenzione sono scanditi dalla Prima e Seconda guerra mondiale (1914-1918 e 1939-1945), dalla guerra fredda (1945-1991) e, in seguito, da un ciclo di guerre indicate in forma generica con varie dizioni: “guerra infinita”, “guerra globale” “guerra al terrorismo”… È mio intento cogliere dal punto di vista storico gli aspetti di continuità e discontinuità del fenomeno “guerra”, riguardo l’origine dei conflitti, l’ideologia e la tecnica.



Origine dei conflitti

Uno dei rari casi in cui nella storia è possibile registrare una costante, confrontando anche epoche molto lontane, è proprio quello sulla natura delle dinamiche che danno origine alle guerre: le guerre sono state e sono espressione di progetti politico-militari riconducibili a dinamiche economiche, di potere, predominio, ricchezza, controllo del territorio e simili. Ovviamente ogni epoca storica si differenzia dalle altre per la configurazione dei rapporti economici e per le forme di potere, ma i moventi che determinano le guerre hanno una matrice comune. Se in età feudale le guerre erano espressione di conflitti tra settori delle aristocrazie che si contendevano le rendite feudali - soprattutto nelle fasi in cui tali rendite declinavano - in età moderna i nuovi orizzonti geografici ed economici generano nuovi conflitti: si pensi alla guerra di successione spagnola (1700-1713), vera e propria prima guerra mondiale della storia moderna, la cui posta in gioco riguarda, attraverso la successione spagnola, il controllo dei traffici delle Americhe e di quelli dell’Africa e dell’Asia collegati con le Americhe. Insomma, mutano i quadri storici e mutano le forme attraverso cui i poteri dominanti esercitano la loro egemonia, ma nella sostanza non mutano le leve che muovono le guerre: sono leve antiche, come antica è l’arte della guerra che si ispira al principio del divide et impera. Ciò vale, come vedremo, anche nel 2014.



Le “cause” della guerra

Corollario del tema della guerra è l’indagine sulle “cause” all’origine dei conflitti. In sede storica “causa” è un termine da usare con attenzione: nell’ambito della scienza fisica e in Natura il termine rimanda alla sfera della necessità (il Sole è causa dell’evaporazione delle acque) mentre nell’ambito delle vicende umane siamo nella sfera della libertà per cui il termine va interpretato nel quadro di scelte frutto della libera volontà degli uomini. Pertanto, le analisi tese alla comprensione di quel fenomeno specificatamente umano che è la guerra, più che alle cause, devono mirare a identificare il contesto, o meglio, il progetto strategico che si prefigge uno Stato o un potere politico-economico dominante, perché è tale progetto che fa sì che un determinato evento o fatto diventi poi “causa” di guerra.

Non c’è alcuna necessità che l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando il 28 giugno 1914, a Sarajevo, diventi la “causa” della Prima guerra mondiale: lo diventa nel momento in cui, conclusa l’eccezionale fase di espansione economica 1896-1905, si restringono i mercati di sbocco generando tensioni tra le maggiori potenze economiche dell’epoca (Germania, Francia, Inghilterra, Russia…) non più risolvibili con mediazioni politiche. Lo stato maggiore tedesco dispone fin dal 1905 di un accurato piano militare (il cosiddetto “piano Schlieffen”) per condurre una guerra di annientamento contro Francia e Russia. È un progetto che mira ad annientare la potenza finanziaria della Francia e a impadronirsi delle risorse minerarie (zinco e piombo) della Polonia russa. La “causa” della guerra, dunque, non è l’attentato a Francesco Ferdinando (vicenda, tra l’altro, tutta interna alle irrisolte tensioni dell’Impero austro-ungarico) ma, in ultima istanza, è il progetto politico, militare ed economico tedesco - non compatibile con analoghi progetti di Francia, Inghilterra e Russia - che ha incorporata la guerra.



È dunque il progetto strategico politico-militare-economico che fa diventare un evento “causa” di guerra e non viceversa! È necessario attenersi a tale criterio metodologico per comprendere anche le guerre contemporanee. Non dimentichiamo in merito la lezione della filosofia: il “comprendere” –insegna Kant- consiste nel “sussumere il particolare nell’universale”. Se ad esempio osserviamo attentamente la tesserina (il particolare) di un mosaico (l’universale) la “comprensione” di quella tesserina passa attraverso la visione generale del mosaico di cui essa è parte. Un’osservazione isolata della tesserina potrà portare a conoscerla nei minimi dettagli e nelle sue più recondite sfumature, ma non certo a comprenderla. Questo tipo di approccio parziale caratterizza la nostra epoca dell’immagine: le guerre sono poste all’attenzione pubblica moltiplicando e replicando immagini sempre più dettagliate, senza però fornire la connessione di tali immagini con il “mosaico” di cui sono parte e che solo potrebbe consentirne la comprensione (a evitare equivoci ricordiamo che, in sede storica, comprendere non è sinonimo di giustificare). Gli episodi di una guerra sono compresi se letti alla luce della totalità storica (l’universale) che li ha prodotti, diversamente osserviamo frammenti sparsi che generano disorientamento, così da creare lo spazio per la diffusione di facili e superficiali schemi di lettura.