lunedì 27 aprile 2015

Serena indifferenza



Uno dei problemi del nostro paese, del quale abbiamo più volte parlato, è la chiusura mentale e la staticità culturale delle quali danno prova le forze di opposizione radicale, che chiameremo brevemente “antisistemiche”. Si tratta di un problema serio, perché, nella situazione attuale, sarebbe essenziale la nascita di una forza politica di autentica opposizione, capace di radicarsi nella società e di stimolare un autentico rinnovamento politico, culturale e morale. Purtroppo, la chiusura mentale delle forze antisistemiche rappresenta un ostacolo (uno dei tanti) a questi sviluppi, così necessari.
Le discussioni sull'euro sono un esempio di questi problemi. La grande difficoltà nella quale si sono trovati quelli come noi, che da anni si sforzano di mettere questo tema al centro del dibattito delle forze antisistemiche, ci ha mostrato con chiarezza quanto forti siano i “vincoli interni”, chiamiamoli così, nelle menti di molte delle persone che ruotano attorno a quel mondo. Per fortuna, da qualche tempo le cose sembra stiano migliorando. Il lavoro di tante persone, gruppi, siti, dai più noti come Goofynomics, a “Voci dall'estero”, a “Orizzonte 48”, all'ARS , a “Sollevazione”, per finire, si parva licet, con un piccolo blog come il nostro, ha finito per immettere nel dibattito una serie di idee, concetti, conoscenze che dovrebbero rendere difficile l'adagiarsi su schemi di pensiero e argomentazioni ormai obsolete. È quindi un po' deprimente constatare che, invece, continuano a essere diffuse, negli ambienti antisistemici, argomentazioni che ignorano beatamente tutto quanto si è prodotto, negli anni recenti, su questi temi. Un esempio lampante di una tale serena e autistica indifferenza è questo articolo di A.Negri e R.Sánchez Cedillo. Si tratta di un testo che compendia bene una serie di limiti culturali, tipici del mondo "antisistemico". Mi limito qui a metterne in evidenza alcuni.



1. I problemi economici legati alla crisi sono solo quelli del debito (e si capisce che gli autori intendono “debito pubblico”). Questo è “la prima questione, il primo nodo”. Il fatto che uno dei problemi economici fondamentali dell'eurozona sia quello delle asimmetrie fra i paesi membri, è totalmente ignorato. Ora, si tratta di una questione la cui centralità è ammessa a tutti i livelli. Non si tratta cioè di una tematica ristretta ad alcuni settori “eterodossi”, ma di un tema di cui si discute in tutte le sedi, ufficiali e non. È perfino difficile fare riferimento a qualche testo particolare, tanto questi temi sono diffusi. Solo per citare cose recenti, mi limito a due articoli tradotti nel benemerito sito “Voci dall'estero”, uno di Wolfgang Münchau (che normalmente scrive sul Financial Times, mentre questo articolo è stato pubblicato su Der Spiegel) e uno della giornalista inglese Frances Coppola. Si può inoltre ricordare come il fatto che la crisi non sia una problema di debito pubblico è ormai ammesso ai massimi vertici della BCE: si veda quanto diceva nel maggio 2013 Vitor Constancio, vice presidente BCE, nel brano riportato a pag.55 del libro di Bagnai “L'Italia può farcela”.

Tutto questo dibattito, che coinvolge le istanze più diverse ormai da anni, è semplicemente ignorato da Negri e Sánchez Cedillo. Il loro intervento si pone cioè, da questo punto di vista, su un piano di discussione superato da anni, e appare quindi totalmente inutile, se non appunto, come si diceva, in quanto sintomo dei limiti e delle arretratezze di tutto un settore del mondo antisistemico.

2. Uno dei nodi cruciali di questo articolo è ovviamente il rifiuto della sovranità nazionale. Gli autori ci spiegano che la cessione di sovranità da parte degli Stati europei è un bene, perché “dietro la sovranità nazionale si è sviluppata ogni tragedia della modernità”. Gli autori non perdono molto tempo ad argomentare il rifiuto dello Stato-nazione, probabilmente perché per il loro pubblico di riferimento si tratta di un dato acquisito. Alla loro drastica affermazione si possono però muovere due obiezioni:
in primo luogo, se è vero che la storia degli Stati-nazione si sovrappone in molti sensi a quella della modernità, e quindi si collega alle tante “tragedie della modernità” cui alludono gli autori, è d'altra parte vero che tale storia è direttamente collegata anche alle tante importanti conquiste della modernità, alle quali, credo, nessuno di noi, neppure Negri e Sánchez Cedillo, vorrebbe rinunciare. Abbiamo infatti da una parte i diritti liberali che vengono generalizzati nella stagione del costituzionalismo ottocentesco, indissolubilmente legata all'ascesa degli Stati-nazione. Dall'altra, i diritti sociali della tradizione riformista e socialdemocratica, che iniziano ad essere conquistati fra Ottocento e Novecento e divengono universali nei paesi occidentali dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale: anch'essi strettamente legati alle dinamiche dello Stato-nazione. E non è davvero un caso se il superamento della sovranità nazionale, così caldeggiato da Negri e Sánchez Cedillo, ha finora portato alla distruzione dei diritti sociali e anche ad un certo attacco a quelli della tradizione liberale (con le limitazioni alla libertà di espressione, per esempio).
In secondo luogo, una volta ammesso che la sovranità nazionale ha conosciuto tragedie, ci si può chiedere se altri tipi di sovranità ne siano immuni. Ovviamente la risposta è negativa. E qui si vede con chiarezza il limite degli autori e del mondo intellettuale che ad essi fa riferimento. Infatti essi rifiutano la sovranità nazionale a causa delle violenze storicamente ad essa associate. Ma non ci forniscono nessun motivo per pensare che la nuova sovranità che sorgerebbe al posto degli Stati-nazione europei dovrebbe essere immune da tali violenze. Superiamo gli Stati-nazione perché essi hanno dato origine a guerre e facciamo sorgere un mega-Stato europeo? E come facciamo a sapere che questo mega-Stato non porterà anch'esso a guerre, magari contro la Russia o la Cina?
Forse gli autori sperano in un qualche movimento popolare europeo che condizioni in profondità una eventuale nuova statualità europea. Ma di questo movimento popolare europeo non c'è traccia, e, per motivi che abbiamo spiegato più volte (assenza di un “popolo europeo”) non c'è da aspettarsi che sorga, almeno non in tempi brevi. Del resto, abbiamo segnalato tempo fa come queste richieste di lotte popolari e proletarie unitarie al livello europeo si sentano ripetere da almeno cinquant'anni. Se per cinquant'anni una determinata strategia non porta assolutamente a nulla, forse è il caso di smettere di ripetere gli slogan ad essa connessi, e di fermarsi a riflettere.
Riassumendo, qual è l'errore logico di tutti coloro che, come Negri e Sánchez Cedillo, affermano che è necessario superare la sovranità nazionale perché in suo nome si sono compiute violenze? Si tratta di un doppio errore: da una parte non ci dicono come, nel superamento della sovranità nazionale, si possano salvare le grandi conquiste di civiltà che dobbiamo agli Stati-nazione; dall'altra, non ci spiegano perché mai le nuove sovranità, che sostituirebbero gli Stati-nazione, dovrebbero essere immuni dalle tragedie e dalle violenze che hanno indubbiamente accompagnato la storia degli Stati-nazione. È lecito cioè il sospetto che la direzione del superamento della sovranità nazionale, nella quale ci vogliono portare Negri, Sánchez Cedillo e tanti altri, ci porterà alle stesse tragedie della storia degli Stati-nazione, facendoci però perdere le loro conquiste di civiltà.
3. Un ulteriore argomento degli autori è quello che è necessario uno spazio monetario europeo per resistere alle pressioni della finanza internazionale. È un'altra versione del “bisogna essere grossi”. La risposta, ripetuta tante volte, sta nel fatto che in Europa e nel mondo ci sono tanti Stati di medie dimensioni che riescono a far vivere i loro popoli e a operare le loro scelte politiche interne e internazionali senza bisogno di unioni monetarie o politiche. Ovviamente negare la necessità di unioni monetarie o politiche non significa isolarsi dal mondo, significa che si possono tessere alleanze, fare trattati e costruire mille altri legami, senza dover questo dovere cedere le leve di comando (economiche e politiche) del proprio paese ad altri.

Credo che questo esame mostri con chiarezza la fragilità delle basi argomentative di articoli come questo. Siamo di fronte a testi il cui interesse non sta nel valore argomentativo, ma piuttosto nel fatto che rappresentano una testimonianza della temperie culturale del nostro tempo. Si tratta cioè, a mio avviso, della manifestazione ideologica di strati intellettuali che sono completamente interni al sistema del dominio capitalistico ma che devono, al suo interno, conquistarsi spazio, visibilità e rendite agitando slogan in qualche modo “radicali”.
Questi gruppi intellettuali esprimono quindi un'ideologia che è complementare all'approfondimento del dominio del capitale internazionale sui popoli europei, ma che si esprime con un linguaggio di “sinistra radicale”. In questo modo essi possono sperare di conquistarsi un posto nel mercato culturale del tardo capitalismo, mentre il sistema grazie ad essi “si copre il fianco sinistro”. La costruzione di una forza politica di resistenza passa anche attraverso la critica a queste ideologie.
(M.B.)








8 commenti:

  1. Certo che mettere Claudio Martini a gestire il blog non ha diffuso tutta questa consapevolezza...

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    1. Non capisco il commento. Questo blog "Badiale&Tringali" è gestito, com'è intuitivo, da Badiale e Tringali. Il blog "mainstream" è stato creato da tre persone (Badiale, Martini e Tringali) che condividevano alcuni assunti di fondo e ha cessato di esistere quando questa condivisione è venuta meno.

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  2. Brancaccio che fine a fatto? Non si occupa più di economia?
    (ARS?)

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    1. Non mi è chiaro il senso di questo commento. Sembrerebbe anzi fuori tema, nel dubbio l'ho pubblicato.

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    2. Nell'elenco "di tante persone, gruppi, siti, dai più noti... " non ho trovato Emiliano Brancaccio ("noto" personaggio) e mi sono domandato il perché. Tutto qui.

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    3. L'elenco non aveva ovviamente nessuna pretesa di completezza.

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    4. Mmmm....Brancaccio nell'elenco dei "NO €". Dice che l'entrata nell'€ è stato un errore, ma sostiene che uscendo dall'€ diventeremmo il grande dicount del capitalismo finanziazio del nord-europa. Inoltre, quando gli si chiede se è per l'uscita, risponde che se proprio capiterà di uscire (non per scelta, ma perché il sistema collasserà da solo, ciò potrà avere effetti meno dannosi se si uscirà "da sinistra" (nazionalizzazione delle banche, totale controllo governativo della banca centrale, repressione finanziaria e divieto di esportazione dei capitali).

      Non mi pare che abbia grandi titoli per stare nell'elenco.

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  3. Diciamo che questi intellettuali sono i nuovi Bertinotti, i Cremaschi, i Ferrero - Landini lo salvo soltanto perchè viene dal basso , dalla catena di montaggio-,i quali sono sempre stati dalla parte dei lavoratori ma nel lindo e ordinato salotto di Bruno Vespa; comunque non vinceremo mai, sono troppo forti, Loro, le Elites, e dispongono di enormi strumenti di condizionamento e di formazione dell'opinione pubblica, pensi che un conoscente mi ha riferito di conoscere per lavoro il marito della Serracchiani e di essere convinto che entrambi sono brave persone senza mai interrogarsi sullo spessore culturale di questi personaggi o sul loro appoggio ferreo alla politica di Renzi; insomma mancano gli anticorpi per resistere alla propaganda, ormai si esprimono giudizi in base a sensazioni o a deduzioni campate sul nulla ed a meno che non ci sia un crollo sociale, una carestia, uno shock che spalanchi gli occhi alle persone , perderemo.

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