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sabato 18 aprile 2015

Invito all'esodo/1

In alcuni siti che seguo sono state pubblicate recentemente dure critiche a Diego Fusaro (qui e qui). Mi sembra che il punto critico cruciale dietro a queste discussioni sia quello del superamento dell'opposizione di destra e sinistra. Mi riservo di intervenire su questo in futuro. Per il momento, penso che possa essere interessante offrire ai lettori qualche documento sull'origine di alcune delle tesi attualmente in discussione. Uno dei luoghi intellettuali nei quali si sono elaborate queste tesi, negli anni Novanta, è stata la rivista "Koiné", stampata a Pistoia dalla casa editrice CRT. Attorno ad essa si radunarono persone diverse per età e percorsi culturali pregressi, ma tutte accomunate dal fatto di aver attraversato, in un modo o nell'altro, il marxismo e la sua crisi, e dal fatto di cercare nuovi modi di impostare la critica intellettuale dell'esistente. Fra queste persone, le più note erano senz'altro Massimo Bontempelli, Gianfranco LaGrassa, Costanzo Preve. Assieme alla rivista, la casa editrice CRT pubblicò in quegli anni molti testi, scritti dalle persone appena nominate e da vari altri collaboratori della rivista. L'insieme di questi testi costituisce, credo, un robusto fondamento per le tesi sul superamento di destra e sinistra.
I due articoli che vi propongo, in varie puntate, non sono stati pubblicati su "Koiné", ma su "Diorama letterario", la rivista di Marco Tarchi, e volevano essere una presentazione a interlocutori esterni delle tesi fondamentali che gli autori andavano elaborando. Il primo articolo, "Invito all'esodo", è stato pubblicato nel numero 150, Febbraio-Marzo 2002, di "Diorama Letterario". Gli autori sono Marino Badiale, Massimo Bontempelli, Federico Dinucci.
(M.B.)


I.
1. Distacco critico. Con questo articolo intendiamo presentare ai lettori di “Diorama”  alcune delle idee e degli argomenti che stanno alla base della nuova serie della rivista “Koiné” pubblicata dalla CRT di Pistoia.
Il gruppo di persone che si è riunito per tentare l’impresa di costruire una nuova rivista di analisi culturale, politica e filosofica sapeva di assumersi un compito difficile, tanto grande è il numero di tali riviste e tanto piccolo è lo spazio di attenzione che in genere riescono a conquistare. Ci si  è nondimeno imbarcati in questa avventura per un motivo molto semplice: ci sembrava di avere qualcosa di originale da dire, qualcosa che non riuscivamo a trovare nelle riviste, nei libri o nei giornali che leggevamo, e infine qualcosa che valeva la pena fosse detto.
In estrema sintesi, le nostre posizioni sono quelle di chi ritiene necessario un atteggiamento di critica e di distacco rivolto su due fronti: da una parte contro il capitalismo attuale e le sue ideologie, dall’altra contro quelle posizioni teoriche e pratiche, di destra e di sinistra, che nel  900 hanno tentato la critica e il superamento del capitalismo.  Le persone legate alla nuova serie di “Koiné” provengono, tutte o quasi, da esperienze “di sinistra”, e parlare di “distacco critico dal capitalismo” può forse apparire ovvio e banale. Vogliamo comunque ribadire alcuni punti per noi decisivi, perché sono essi a motivare anche il nostro distacco dalla sinistra.
L’attuale società capitalistica si sta muovendo in direzioni che accentuano ogni giorno di più i caratteri di irrazionalità e insensatezza che essa ha sempre avuto e che apparivano mitigati nella fase del welfare state. Negli ultimi decenni è stato distrutto il compromesso sociale che assicurò, nei trent’anni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, tassi di sviluppo senza precedenti, ma soprattutto una politica di redistribuzione dei redditi che innalzò i livelli di consumo e benessere delle masse e permise lo sviluppo di una vasta rete di sicurezze e garanzie sociali (pensioni, scuola, sanità, tendenziale piena occupazione). Oggi, nel tempo del capitalismo sregolato e “globalizzato”, appare dominante la spinta all’aumento delle disuguaglianze sociali e delle fasce di autentica povertà, alla perdita dei diritti, delle sicurezze, delle garanzie conquistate dai ceti inferiori delle società occidentali. La situazione drammatica in cui vivono milioni di esseri umani nel pianeta e l’incapacità o la non volontà da parte dei paesi industrializzati di sviluppare un’azione effettiva di giustizia rispetto ai tanti problemi del mondo generano tensioni che sempre più spesso sfociano in guerre e violenze, alle quali l’Occidente egemonizzato dagli USA non sa rispondere se non con interventi militari che creano le premesse di nuovi problemi e nuove violenze. Uno svuotamento sostanziale della democrazia, ridotta a competizione di immagine fra candidati indistinguibili, e un sovrano disinteresse verso le conseguenze ecologiche del nostro modello di sviluppo completano il quadro. Si tratta di un quadro tanto negativo da farci temere che, a medio o lungo termine, le contraddizioni del nostro mondo possano esplodere in crisi distruttive.

2. Critica della sinistra. Il mondo del capitalismo contemporaneo è dunque un mondo che deve essere criticato e combattuto. Ma per fare questo occorre abbandonare definitivamente e sottoporre anzi alla critica più radicale quelle grandi unità ideali che chiamiamo marxismo, comunismo, sinistra. Non intendiamo dilungarci molto, in questo articolo, su marxismo e comunismo. Da una parte, si tratta di realtà che non ci sembra abbiano oggi molta rilevanza storica, ridotte a bandiere di piccoli gruppi settari incapaci di azione politica incisiva e spesso anche di analisi filosofica e scientifica significativa. Dall’altra, l’analisi storica e teorica di un secolo e mezzo circa di marxismo e comunismo è davvero troppo impegnativa per essere svolta in un breve articolo, ci limitiamo qui ad alcune affermazioni molto schematiche e dogmatiche, scusandocene e rimandando ad altra occasione un’analisi più approfondita.

Per quanto riguarda il marxismo, ci sembra che sia lo stesso programma originario di Marx ad essere inficiato da decisivi errori filosofici, dall’incapacità di pensare l’essere umano in tutta la ricchezza della sua realtà spirituale. Il marxismo non è quindi la nostra concezione del mondo: è piuttosto un patrimonio di saperi che contiene riferimenti conoscitivi e prospettive sociali ancor oggi valide, che devono però essere fondate su una riflessione filosofica e antropologica nella sostanza estranea al marxismo storicamente dato. Per fare un esempio, è nostra opinione che la comprensione di alcuni meccanismi decisivi del capitalismo contemporaneo non possa prescindere dagli strumenti teorici elaborati da Marx nel “Capitale”, mentre riteniamo del tutto carente la fondazione filosofica (il materialismo storico inteso come concezione generale della realtà) che lo stesso Marx dà alle sue analisi scientifiche. Siamo quindi persone che, abbandonando il marxismo, intendono costruire un nuovo modo di opporsi al capitalismo, e intendono portare in questa costruzione alcuni elementi conoscitivi ancora validi del marxismo storico.
Per quanto riguarda il comunismo, il punto centrale della questione non è tanto quello di una valutazione storica di meriti e demeriti delle società di “socialismo reale”. Conosciamo bene i tanti aspetti negativi, e diciamo pure francamente orribili, di queste società. Sappiamo anche che esse hanno avuto indubbi meriti storici, come quello della lotta, costata prezzi altissimi, al nazifascismo. Ma da questo tipo di dibattito, pure importante, non emerge quanto ci preme sottolineare qui. Si tratta del fatto che il “comunismo storico del 900”, comunque si vogliano giudicare i risultati della sua esistenza, ha fallito senza appello su una questione fondamentale: non è mai riuscito a rappresentare una alternativa reale al capitalismo. La realtà storica del socialismo reale è quella di società che hanno riprodotto in sostanza gli aspetti più deleteri del modo capitalistico di produzione, senza riuscire a produrne anche gli aspetti positivi (il benessere, le libertà individuali). Si tratta di un’esperienza storica che non è in grado di dirci nulla sul modo in cui oggi possiamo tentare di combattere il mondo del capitalismo. O meglio, è in grado di mostrarci esclusivamente il fatto che quella via è una via da non percorrere.
Dopo aver esposto in forma rapida e necessariamente dogmatica le nostre idee di fondo su marxismo e comunismo, cerchiamo adesso di dire qualcosa di più sulla “sinistra”. Ci sembra, per iniziare la discussione, che sia necessario distinguere fra il ceto politico di sinistra e il “popolo di sinistra”. Per quanto riguarda il ceto politico della sinistra governativa, il giudizio non può che essere del tutto negativo. La sinistra ha scelto di essere totalmente interna a quel mondo del capitale che noi vorremmo criticare e superare. Ha scelto di sostenere e rendere effettive tutte le misure richieste dall’attuale fase dello sviluppo capitalistico: distruzione del welfare state, perdita dei diritti dei lavoratori, impresa e profitto come necessità assolute alle quali tutta la società umana (e perfino la natura) devono piegarsi. Il ceto politico di sinistra si pone oggi, in maniera chiara, come il mediatore del consenso popolare alle esigenze del capitale, sostituendosi così, in Italia, alla Democrazia Cristiana, che ha svolto questo stesso ruolo negli anni del dopoguerra. Con un corollario: poiché l’attuale capitalismo ha l’esigenza di distruggere le conquiste ottenute dai ceti popolari nei decenni precedenti, e poiché questo non si può fare se non riducendo gli spazi di democrazia, il ceto politico di sinistra appare, da molti punti di vista anche se non da tutti, più antipopolare e più antidemocratico di quanto la DC sia mai stata. Queste nostre posizioni non devono naturalmente essere interpretate come una vicinanza alla destra italiana o europea. La destra europea rappresenta un ceto politico di mestieranti di basso profilo, liberista e quindi antisociale, pronto a sollecitare gli interessi bottegai e corporativi dei ceti medi, al di fuori di qualsiasi coerente progetto globale. È persino ridicolo che in Italia sia comparso come rappresentante dei ceti medi e professionali un grande monopolista, dotato di immense ricchezze costruite non certo con una professione, ma di torbida origine, quale Berlusconi. Questa destra, tuttavia, con tutto il suo squallore, non ha tracce di fascismo: chi afferma il contrario, anche riguardo a Fini, o cerca pretesti qualsiasi per colpire un avversario, o, se crede realmente in ciò che afferma, è penosamente privo di ogni cultura storica. La nostra democrazia è già stata svuotata da tempo, e col contributo della sinistra, dei suoi contenuti essenziali. La destra italiana non rappresenta un particolare pericolo se non nel senso di procedere con maggiore speditezza verso un’accentuazione di tendenze poliziesche e illegalmente repressive; si tratta di tendenze non assimilabili, comunque, al fascismo, e in ogni caso inscritte nelle dinamiche profonde del mondo capitalistico attuale e quindi non legate a uno specifico schieramento politico.
Destra e sinistra appaiono, con chiarezza evidente a chi non abbia scelto la cecità, come la mano destra e la mano sinistra del capitale, che continua con una quello che ha iniziato l’altra. Così, se il primo governo Berlusconi non riesce a fare la riforma delle pensioni per le proteste di piazza, ci penseranno a farla i governi appoggiati dalla sinistra, magari a rate e con lo sconto del 5%, per renderla più accettabile. Se la sinistra al governo introduce il lavoro interinale, il lavoro in affitto e attacca in varie forme e modi i diritti che i lavoratori si erano conquistati in decenni di lotte, la destra prosegue l’opera proponendo modifiche all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.  Se la sinistra porta avanti, con le sue riforme, una privatizzazione strisciante della scuola pubblica, la destra non toccherà in nulla, se non su questioni secondarie, l’opera di Luigi Berlinguer, pur tanto criticato dalla destra quando era Ministro della Pubblica Istruzione, Se, con la sinistra al governo, i giovani che protestano contro la globalizzazione vengono caricati dalla polizia e brutalmente picchiati (Napoli marzo 2001), la destra al governo prenderà in mano il testimone con le cariche della polizia durante il G8, i pestaggi nelle caserme, la morte di Carlo Giuliani. Destra e sinistra mostrano poi esplicitamente, in nome dello spirito “bipartisan”, la loro identità di vedute sulla politica estera, dalla guerra alla Jugoslavia al sostegno all’intervento americano in  Afghanistan.
Senza uscire dall’illusione che la destra rappresenti un pericolo speciale per la democrazia, pericolo rispetto al quale l’insieme della sinistra possa, pur con tutti i suoi gravi limiti, fungere da scudo, non si può contribuire ad arrestare la degradazione della nostra civiltà sociale. Pensare che la sinistra governativa mostri “limiti”, “ritardi” o “errori” , dai quali sia possibile correggerla, rappresenta la stessa (sospetta) ingenuità di chi pensava che le evidenti storture e gli autentici crimini dell’URSS e dei paesi di socialismo reale fossero “errori” emendabili grazie a discussioni razionali. Adesso è ormai chiaro a tutti che i pretesi “errori” del socialismo reale erano invece logiche manifestazioni dell’autentica natura sociale di quei regimi. Allo stesso modo gli “errori” e i “limiti” della sinistra governativa non sono accidentali ma manifestano il suo essere intrinsecamente, come d’altronde la destra, uno strumento di svuotamento della democrazia al servizio del totalitarismo neoliberista.

3. Contro il capitalismo, fuori da destra e sinistra. Il limite gravissimo di tutte quelle forze minoritarie che in Europa manifestano una opposizione al totalitarismo neoliberista rimanendo nel solco della tradizione della sinistra sta nel non cogliere la pur solare evidenza di questo punto. In Italia, Rifondazione comunista, dopo aver sostenuto per oltre due anni senza alcun costrutto il governo Prodi, è passata bensì meritoriamente all’opposizione, ed ha bensì avuto la dignità costituzionale e morale di combattere intransigentemente la guerra balcanica (per cui non sarebbe né generoso né razionale metterla sullo stesso piano dei comunisti italiani di Cossutta e dei verdi, che rivelarono allora tutta la loro cialtroneria e la perfetta inutilità della loro esistenza), ma non ha mai cessato di cercare convergenze con la sinistra governativa, considerandola a tutti gli effetti, a differenza della destra, politicamente praticabile. Questo limite profondo, questa incapacità di vedere la realtà anche da parte di un partito come Rifondazione, che conserva lucidità su molte questioni, si radica in un modo di essere da ceto politico che tratta il proprio partito, in quanto base identitaria e materiale del proprio ruolo sociale, come un’azienda che deve fatturare voti e accumulare spazi di presenza nell’ambito dei poteri istituzionali. Questo modo di essere porta infatti a temere più di ogni altra cosa l’emarginazione dalle istituzioni e l’isolamento dalle forze che ne controllano l’accesso, e non consente perciò di accettare la verità che tutte indistintamente quelle forze sono politicamente impraticabili da chi voglia difendere un minimo di civiltà sociale.
Il nostro giudizio sul ceto politico della sinistra governativa è dunque del tutto negativo: non si può sperare di ricostruire una iniziativa storica anticapitalistica senza rompere definitivamente con esso. Il ceto politico della sinistra governativa è per noi un nemico al pari di quello della destra. Apprezziamo invece la capacità di un partito come Rifondazione di scegliere il terreno dell’opposizione al capitalismo globalizzato. Di Rifondazione critichiamo l’incapacità di vedere come la conseguenza logica di tale opposizione non possa essere che la rottura intransigente con il ceto politico della sinistra governativa.
Ma se questo è il giudizio da dare sul ceto politico di sinistra, che dire del “popolo di sinistra” ? Il fatto che l’insieme del mondo della sinistra, della “società civile di sinistra”, comprese alcune sue frange apparentemente radicali, finisca poi sempre per appoggiare un ceto politico che è, in modo evidente, espressione degli imperativi del capitale, dovrebbe già inoculare un certo sospetto. La nostra tesi è che la cultura e l’ideologia del “popolo di sinistra” sono oggi fra i principali ostacoli alla ricostruzione di una iniziativa storica anticapitalistica. Per fare solo qualche esempio, l’insistenza, tipica di questa cultura, sulla coppia destra/sinistra impedisce di vedere come destra e sinistra siano oggi solo cordate contrapposte di specialisti della mediazione e del consenso, in lotta per ottenere il ben remunerato privilegio di divenire gli esecutori delle direttive delle oligarchie finanziarie internazionali. L’insistenza sulla coppia fascismo/antifascismo impedisce di vedere come oggi stermini e orrori non siano prodotti di una barbarie fascista che non si scorge all’orizzonte, ma siano effetto del normale e quotidiano funzionamento del capitale. I motivi profondi che rendono il popolo di sinistra così incapace di una analisi spassionata della realtà, così restio a vedere come il ceto politico cui dà il suo voto pratichi una politica distruttiva nei confronti di quelli che furono gli ideali della sinistra, meriterebbero un articolo a sé. Qui vogliamo solo precisare che sarebbe ingeneroso non riconoscere il fatto che in questo “popolo di sinistra”  vi sono comunque persone animate da sincera passione anticapitalistica, persone che sanno cogliere molti degli aspetti aberranti del nostro mondo e sanno anche criticare aspetti particolari del ceto politico di sinistra. A queste persone bisogna però dire, con la massima sincerità, che il loro anticapitalismo resterà minato da contraddizioni insanabili e non potrà diventare un fondamento condiviso finché non romperanno i ponti col mondo della sinistra (con la politica, la cultura e l’ideologia della sinistra) e non affronteranno le fatiche e i rischi di un esodo innanzitutto culturale e morale. L’esodo, il distacco interiore dal mondo dei riferimenti simbolici che l’attuale società offre, compresa l’opposizione ormai illusoria di destra e sinistra, è solo il primo passo da compiere per ricostruire la possibilità di un pensiero autenticamente critico, e in prospettiva di un’azione politica anticapitalistica che dovrà necessariamente raccogliere in una sintesi nuova quanto di umanamente valido e culturalmente vitale è oggi disperso nelle culture di sinistra, di centro e di destra. 

4 commenti:

  1. Se in un talk show qualsiasi 10 politici si scannano sulla legge elettorale o sulle condanne di berlusconi, a me piacerebbe vedere un politico che, arrivato il suo turno, si mettesse a parlare di euro, nato, austerity, sovranità. Subito si metterebbero 10 contro uno. E lì destra e sinistra si scioglierebbero per coalizzarsi contro quell'uno.
    Ma dato che in tv ciò non è possibile, o è molto raro, allora sarebbe bello che delle menti capaci lo facessero almeno in rete.
    In tv i politici sono pagati per interpretare destra e sinistra.
    Qui gli intellettuali indagano ancora su destra e sinistra, gratuitamente, per passione. Io rispetto la passione, perchè viene dal cuore e al cuor non si comanda. Ed allora se ne siete appagati, continuate ad indagare.
    Però vi ricordo che questo è il momento della ragione, della strategia, della tattica. L'ormai "eterna" questione destra-sinistra è un fosso profondo coperto da un manto di fiori meravigliosi, e chiunque si soffermi a coglierli cadrà giù, nella trappola, nel vicolo cieco! Una trappola ormai notissima, ed è bene almeno per il momento non badare a questa questione!!
    Ora si è italiani, sovranisti, nazionalisti, e basta!
    questa è l'era del PRESENTE, basta con le etichette semplicistiche. Viva le glorie del passato, le conquiste economiche-scientifiche-storiche, viva ciò che rimane nel presente, tutte le eredità positive in qualsiasi campo del sociale, viva le tradizioni, ma per favore BASTA per un momento con questa battaglia sulla questione destra-sinistra, quante forze sprecate, concentratevi sul presente che colga dal passato il BENE e il BELLO, che combatta i mali attuali, uniti, italiani e fratelli.

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  2. Su Fusaro non mi esprimo. L'ho già fatto sul blog di Claudio Martini e confermo la mia opinione: ciarpame ideologico.
    Strano che voi vi accostiate a Fusaro. Perché in quello che si scrive in questo blog c'è invece tanto materiale su cui riflettere.
    Da quello che scrivete, dovrei avere una crisi di identità. Perché condivido integralmente la critica alle politiche della cosiddetta sinistra. Oggi si può dire "cosiddetta" senza tema di smentita. Non sono le etichette che contano ma i comportamenti reali e l'azione di governo. Puoi dire anche di ispirarti a Che Guevara, ma se obbedisci l'ordine Nato di bombardare la Serbia, di inviare truppe in Afganistan, se regali tutte le aziende pubbliche e trucchi i conti per entrare nell'euro, sono i fatti che parlano.
    Sarei così in crisi d'identità perché la mia critica arriva a mettere in discussione persino il grande PCI e le sue idee fondative. Persino Gramsci, pensate un po'.
    Condivido le critiche, seppur sintetiche, al modello sovietico e anche agli orrori che ha prodotto.
    Eppure rivendico il mio essere di sinistra. Per me, la sinistra o è di classe o non è sinistra. Governare in nome di tutti è un imbroglio ideologico che ci ha proposto il PCI, dopo la morte di Berlinguer, proponendo il tema della governabilità.
    Ma allora, che cos'è che non va nel vostro discorso? Quando parlate di capitale, e quindi di anticapitalismo, non capisco che cosa è per voi "capitale". Quando parlate di una sinistra che avrebbe dato il contributo fondamentale per il superamento dello stato sociale e dei diritti mi viene il dubbio che abbiamo idee divergenti sul modo con il quale avvengono realmente le trasformazioni. Credo cioè che si confondano il piano reale con quello della sua giustificazione ideologica. Non credo proprio che la globalizzazione sia avvenuta a causa di elaborazioni teoriche di Occhetto, D'Alema e Veltroni. Così come quelle di Delors (tanto per salire di livello). Credo che sia avvenuta perché il capitale è una macchina che ha sue esigenze. Credo che questa macchina sia in grado di adattare le sue esigenze alle condizioni storiche e culturali del tempo e delle regioni del mondo e che il neo-liberismo sia nato da queste esigenze.
    Parafrasando Matrix, se non si viene in possesso del codice che governa la macchina, sarà lei a governarci e non noi a governare lei.

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    1. Le necessità sistemiche del capitale sono concretamente poste in essere da specifici ceti dirigenti. Nell'Europa di questi decenni si sono alternati in quest'opera i ceti dirigenti dei partiti di sinistra e di destra, senza grosse differenze rispetto agli aspetti fondamentali delle scelte economiche e sociali.

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    2. Io su questo sono d'accordo.
      Siamo di pronte ad una sorta di nemesi che ci sta facendo pagare a carissimo prezzo la sfida contro la "divinità" costituita dalla rivoluzione russa. Un fallimento che ci è costato quarant'anni di politiche neo-liberiste.
      Il ceto politico di sinistra si è semplicemente riciclato e adeguato al nuovo corso.
      Quello che cerco di dire è che impostare una strategia anticapitalistica impone la conoscenza della "macchina" e l'individuazione del soggetto sociale che può smontarla.

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