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domenica 13 settembre 2015

Ugo Bardi sui "limiti dello sviluppo"

Pubblico una recensione ad un libro di Ugo Bardi del 2011, che solo recentemente ho avuto l'occasione di leggere.
(M.B.)


Ugo Bardi. The Limits to Growth Revisited, Springer 2011


Ugo Bardi insegna presso il Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. Gestisce il blog “effetto risorse” e da tempo si occupa dei problemi del “picco del petrolio”. In questo libro ripercorre la storia del famoso testo commissionato dal Club di Roma a un gruppo di studiosi del MIT e uscito nel 1972 con il titolo “The Limits to Growth” (d'ora in poi LTG; in italiano “I Limiti dello Sviluppo”). Bardi ricostruisce il percorso intellettuale che ha portato al libro, ma soprattutto fa la storia dei dibattiti successivi alla sua pubblicazione. Si tratta di una storia piuttosto interessante, che si può sostanzialmente dividere in tre fasi: un grande successo iniziale, seguito da aspre critiche che portarono, a partire più o meno dagli anni 90, all'oscuramento delle tematiche e delle impostazioni teoriche sviluppate nel testo, e infine una ripresa di interesse in tempi recenti.
La rassegna di questi dibattiti, svolta da Bardi in vari capitoli del libro, è assai accurata, ed è finalizzata a far meglio comprendere al lettore, proprio grazie al confronto con i critici di LTG, il senso delle tesi fondamentali del libro. Bardi spazza subito via dal tavolo le critiche basate su fondamentali equivoci. Le più note in questo senso sono quelle che accusano lo studio di grossolani errori di previsione. Bardi risponde facilmente che LTG presentava non “una previsione” ma una serie di “scenari”, cioè differenti insiemi di previsioni dipendenti dalle possibili azioni umane nel futuro.Le cosiddette “previsioni sbagliate” su cui ponevano l'attenzione i critici di LTG erano ottenute semplicemente pescando alcuni dati dentro ad uno di questi scenari, dimenticando che appunto si trattava solo di uno scenario possibile fra i tanti delineati dallo studio stesso. Questa osservazione ci porta ad un altro tipo di discussione critica, più avveduta, che Bardi prende in considerazione. L'obiezione potrebbe infatti essere non più quella dell'erroneità di LTG, ma quella della sua inutilità: se in sostanza non fa previsioni precise, perché offre piuttosto una “batteria” di possibili previsioni, dipendenti dalle azioni umane, a che serve? La risposta di Bardi, che mi sembra condivisibile, è che lo studio non intendeva fornire previsioni numeriche precise sull'evoluzione dell'economia mondiale nei prossimi decenni (compito probabilmente impossibile), ma piuttosto individuare alcune linee di tendenza generali, che potessero indicare alle forze politiche e sociali prospettive abbastanza chiare per indirizzare l'azione politica. Bardi rileva infatti che, anche senza offrire previsioni numericamente precise, i vari “scenari” concordano nel mostrare che un certo tipo qualitativo di evoluzione appare sostanzialmente inevitabile, in mancanza di radicali cambiamenti della nostra organizzazione politica ed economica. In (quasi) tutti gli scenari delineati in LTG appare un crollo della produzione e della popolazione dopo un periodo di crescita simile all'attuale. Il “quasi” indica appunto che tale crollo si può evitare solo in uno scenario che preveda un deciso intervento umano di correzione degli attuali squilibri.
Abbiamo detto che in tempi recenti si è notata una ripresa di interesse nei confronti di LTG, collegata fra l'altro alle successive versioni dello studio (l'ultima è del 2004, ed è apparsa in italiano nel 2006 col titolo “I nuovi limiti dello sviluppo”). Naturalmente, questo non significa che le conclusioni dello studio siano accettate da tutti gli studiosi, o anche solo dalla maggioranza. Il dibattito infatti prosegue. Ma almeno, stando al resoconto di Bardi, sembra che siano superate le incomprensioni che hanno segnato, e un po', diciamo, “rovinato” il dibattito nei decenni precedenti. Secondo la ricostruzione di Bardi, oggi si tende a riconoscere che l'andamento effettivo delle variabili considerate in LTG, nei quattro decenni seguiti alla prima pubblicazione, ha seguito nella sostanza l'andamento previsto in uno degli scenari delineati all'epoca. Quindi l'obiezione sul fatto che le previsioni di LTG fossero “sbagliate” sembra per il momento aver perso efficacia. La discussione si è spostata su altri piani, a mio parere più interessanti. Si tratta dei temi discussi nei capitoli 8 e 9 del libro, dedicati allo stato attuale del dibattiti sull'esaurimento delle risorse minerali e sul ruolo della tecnologia. La tesi più significativa, fra coloro che rifiutano le conclusioni di LTG, è infatti quella che sostiene il ruolo centrale dello sviluppo tecnologico, e ritiene che il difetto fondamentale di LTG sia appunto quello di non tenerne conto. Secondo i sostenitori di questa tesi, lo sviluppo tecnologico permetterà di sfruttare altre risorse (energetiche, minerarie) quando le attuali saranno esaurite. In questo senso si può sostenere la tesi, che suona certo paradossale alle orecchie di chi si sia formato su testi come LTG, secondo la quale “le risorse naturali sono infinite”. Essa deve appunto essere intesa nel senso che lo sviluppo scientifico e tecnologico metterà a disposizione sempre nuove risorse quando quelle usuali saranno esaurite. Per capirci, il petrolio non era una risorsa energetica nel primo Ottocento: lo è diventato quando è stata sviluppata la tecnologia che permetteva di sfruttarlo. Allo stesso modo, nuove tecnologie permetteranno di far diventare “risorse” aspetti della realtà naturale che attualmente non lo sono.
È ragionevole questa prospettiva? Bardi la discute a partire dal problema delle risorse minerarie non energetiche, come i metalli. Come è noto, essi sono diffusi ovunque, ma solo in pochi luoghi hanno la concentrazione sufficiente per rendere redditizia l'estrazione. Una possibile versione della tesi che stiamo discutendo, quella cioè che “le risorse naturali sono infinite”, potrebbe allora consistere nell'argomentare che l'esaurimento delle miniere redditizie porterà all'aumento del prezzo dei metalli, e questo a sviluppi tecnologici che renderanno redditizia l'estrazione del minerale a concentrazioni minori di quelle attualmente necessarie, cosicché la risorsa in questione tornerà ad essere estratta.
Il problema di questo schema, nota però Bardi, è quello dell'energia necessaria per l'estrazione, al diminuire della concentrazione. Il rapporto fra queste due grandezze è grossomodo quello della proporzionalità inversa: cioè, se il minerale da estrarre presenta una concentrazione dimezzata, occorre il doppio dell'energia, se la concentrazione si riduce ad un terzo occorre il triplo dell'energia, e così via. Se questa relazione si mantiene stabile al variare delle tecnologie, appare chiaro che l'estrazione di minerali da depositi sempre più poveri troverà un limite nella disponibilità dell'energia (e nei suoi costi). Il problema si sposta allora, appunto, alla disponibilità dell'energia. Il punto essenziale sta nel fatto che per l'estrazione di risorse energetiche sembrano valere principi analoghi. Il concetto di EROEI (Energy Return On Energy Invested), detto anche EROI, serve appunto a precisare questo punto. Esso è definito come il rapporto fra l'energia ottenuta in un processo di estrazione (di petrolio, per esempio) e l'energia consumata per l'estrazione. Indica cioè il “guadagno energetico” del processo di estrazione. Ovviamente, l'estrazione ha senso solo quando l'EROEI è maggiore di uno. Non è facile il calcolo preciso dell'EROEI, come nota lo stesso Bardi altrove, ma sembra comunque che la tendenza sia verso una sua lenta diminuzione, almeno per quella che è attualmente la principale fonte energetica, il petrolio (a questo proposito di veda anche il capitolo 6, pagg. 77-85, del libro di di Luca Pardi “Il paese degli elefanti”, edizioni LUCE, in particolare a pag.81). Questa lenta diminuzione pare essere avvenuta nonostante gli indubbi progressi tecnologici nelle tecniche di estrazione del petrolio. Tali sviluppi, cioè, possono sì rendere possibile estrarre petrolio “non convenzionale” come lo shale oil, ma non invertono la tendenza alla diminuzione dell'EROEI. In questo modo sembra che ci stiamo avvicinando, indipendentemente dagli sviluppi tecnologici, al punto in cui per estrarre un barile di petrolio occorrerà consumare un barile di petrolio, e a quel punto ovviamente il petrolio, per quanto abbondante possa ancora essere, cesserà di essere una risorsa energetica.
Se queste tendenze venissero confermate in futuro, sarebbe lecito un certo scetticismo nei confronti della tesi che “le risorse naturali sono infinite”. Verrebbe invece corroborata la tesi generale che la nostra organizzazione sociale sta entrando in una fase di “rendimenti decrescenti”, rendendo quindi necessaria una “grande transizione” ad una diversa organizzazione sociale. Queste tesi sono ormai sostenute da diverse voci: per un inquadramento generale, si veda il libro di Mauro Bonaiuti “La grande transizione”, Bollati Boringhieri 2013. Si tratta di temi rispetto ai quali c'è urgente bisogno di un dibattito razionale serio e approfondito e per chi voglia continuare, anche da posizioni diverse, nella pratica del dibattito razionale, il testo di Bardi è senz'altro di grande aiuto.

6 commenti:

  1. In LTG sono presenti scenari con sviluppi tecnologici che rasentano la fantascienza, eppure il collasso economico non viene mai impedito. Ho l'impressione che i critici di LTG non abbiano mai spesso troppo tempo a leggerlo, preferendo basarsi su informazioni di seconda mano. Posso solo augurarmi che il libro venga tradotto in italiano, il fatto che a Bardi vengano preferiti per una pubblicazione da editore nazionale altri 'studiosi'... no comment (contento invece per Pardi e Bonaiuti)

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  2. Penso che Bardi sia un pò ottimista, in verità se cala il contenuto di minerale il consumo di energia aumenta in modo più che proporzionale, non bisogna considerare solo la trasformazione, ma anche i costi di estrazione, di trasporto, lo smaltimento scorie, le impurezze, non solo ma mentre, ad esempio per il minerale di ferro non sarebbe un grosso problema passare dal 65-66% al 60% passare Insomma usare minerali non ottimali significherebbe complicare di molto sia il processo produttivo che l'ambiente.

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  3. Buon giorno, conosco i limiti dello sviluppo alcuni testi di Bardi e il libto di Luca Pardi. Se può interessare la recensione del Pianeta degli elefanti ecco il linkhttp://carlettom.blogspot.it/2014/11/il-paese-degli-elefanti.html?m=1

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  4. A parte i problemi petroliferi vorrei fare il punto sulla situazione economica e i rischi che comporta. L’economia sta dando oggettivamente segni di ripresa come PIL, occupazione, entrate tributarie. Il rischio gigantesco è che si attribuiscono questi successi, peraltro ancora microscopici, al governo Renzi o alle politiche imposte dall’UE cosicché non ci togliamo più di dosso né uno né l’altro perché “comunque hanno ottenuto dei risultati” (incredibilmente la gente guarda sempre il risultato finale non si pone nessun problema sul “come” i risultati si ottengono). Chi fa divulgazione dovrebbe dire a destra e sinistra che la c.d. ripresa è dovuta QUASI ESCLUSIVAMENTE a fattori esterni e cioè:
    - L’immissione di moneta da parte della BCE (che è il contrario delle politiche di austerity) con conseguente abbassamento di tassi e facilità di spesa.
    - Rivalutazione del dollaro con conseguente maggiore facilità di esportazione verso quell’area che è lei che costituisce la reale locomotiva del mondo.
    - Crollo del prezzo del petrolio e più in generale delle materie prime (vedi rame) che giova enormemente ai paesi manifatturieri ed esportatori come l’Italia.
    In presenza di queste condizioni al governo poteva esserci anche un gatto, un minimo di ripresa ci sarebbe stata comunque.
    Ovviamente Renzi attribuisce il merito al job act che è totalmente irrilevante rispetto al peso dei fattori esterni. O meglio se un qualche rilievo ce l’ha è quello di aver ridotto i diritti. Ha tolto il precariato in quanto adesso sono di fatto i precari anche i lavoratori a tempo indeterminati. E questo in effetti facilita le assunzioni. Infatti anche in Pakistan si assume facilmente. Peccato che il tutto avvenga a discapito dei diritti e il problema diventa etico. Vogliamo vivere in una società più ricca dove però il tuo datore di lavoro, se gli gira, legittimamente ti dà una piccola indennità per assumere al tuo posto di 50enne, magari una 25enne neolaureata giovane e carina? Ecco, il problema è tutto qui.

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  5. Io non so se siamo in una fase di "rendimenti decrescenti", non credo ma mi sembra poco rilevante. Io farei un altro discorso. I progressi della scienza e della tecnica sono continui e ci fanno vivere progressivamente meglio. Per quanto attiene l'energia ad esempio ci sono pannelli solari sempre più efficienti e facilmente riciclabili che possono ridurre l'importanza del petrolio. E così in tanti altri settori.
    C'è ricchezza in abbondanza per tutti. Ecco perchè il problema diventa quello di distribuire la ricchezza e gfarntire dirittti. Si deve fare perchè si può senza togliere neppure il superfluo ai più ricchi.
    Una cosa che mi colpisce è vedere in giro prodotti concepiti apposta per rompersi dopo pochi anni. Mi vengono in mente lavatrici e caldaie che hanno una sorta di durata progrmammata molto più breve di quella che potrebbero avere senza costi aggiuntivi significativi. Le aziende lo fanno altrimenti se i prodotti durassero loro non venderebbero più.
    Ma non è più logico un mondo dove si usa il progresso tecnico per costruire lavatrici duratue e ridurre l'orario di lavoro, così uno se va a passeggio in campagna invece che in fabbrica? La politica non riesce a gestire questi processi?

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  6. Eh lo so. Convincere Bardi che la costante solare vale più di 1300 W/m2 è impresa disperata. Ed è inutile ricordargli che il pianeta è sistema (quasi) chiuso ma non isolato. Però Bardi è Bardi....

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