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giovedì 18 giugno 2015

Una lettera a Renzi


Mi sembra meritevole di diffusione questa lettera aperta di Elena Maria Fabrizio a Matteo Renzi. La lettera è del 14 maggio ma non ha perso di attualità. Elena Maria Fabrizio insegna storia e filosofia nel Liceo Scientifico Fermi-Monticelli di Brindisi. Fa parte della redazione dell'interessante sito dialettica e filosofia.
(M.B.)






Gentile Presidente del Consiglio,

Lei e il Suo governo state portando noi docenti all’esasperazione; dovremmo pretendere un risarcimento per i danni materiali e morali conseguenti lo spreco di energie che abbiamo profuso in questi mesi. Abbiamo inserito le nostre critiche e proposte sulla piattaforma “Buona Scuola”, ci siamo riuniti in assemblee collegiali e sindacali dalle quali sono usciti documenti articolati, puntualmente inviati. Ciascuno di noi ha poi manifestato come poteva dissenso e proposte, della cui consistenza può rendersi conto consultando la sezione scuola della rivista Metro News. In Parlamento attende di essere discussa una legge di iniziativa popolare (Lip) che molti docenti hanno sottoscritto; è stata consegnata al Presidente della Repubblica Mattarella una petizione firmata da circa 80 mila cittadini, con la richiesta che il nodo spinoso del centralismo dirigenziale sia sottoposto al vaglio del dettato costituzionale. Abbiamo scioperato. Come vede c’è stata una pluralità di iniziative chiare, finalizzate a rimuovere o modificare l’assetto complessivo del Ddl.
Ora Lei, dopo l’emendazione del testo nella Commissione Cultura, che nella sostanza non accoglie le nostre richieste, ci chiede nuovamente di essere propositivi, attivandosi in una comunicazione ideologica e viziata dall’idea politica che vorrebbe inoculare nella scuola, tra l’altro perfettamente coerente con la precedente riforma Gelmini. Ogni volta che Lei scrive o comunica, come ha fatto ieri con la lettera e con il video, distorce la verità, quella che è scritta nel Vostro Ddl, ora alla discussione parlamentare.

1) È ideologica la Sua convinzione che la disoccupazione giovanile in Italia dipenda dalla scarsa alternanza scuola-lavoro e quindi dalla scarsa professionalità dei nostri giovani, e non dall’assenza di posti di lavoro. Il Ddl tra l’altro non spiega perché l’alternanza scuola-lavoro debba coinvolgere anche i Licei, cioè indirizzi di studi destinati allo sbocco universitario.

2) Ideologica e direi priva di spessore culturale, è l’idea che la dispersione scolastica possa essere risolta con l’alternanza scuola-lavoro, come a dire che tale angosciante problema possa essere spostato sul reclutamento della forza-lavoro. Si va così intenzionalmente a ignorare la matrice socio-economica di problemi come la scarsa alfabetizzazione e le difficoltà nell’apprendimento, spesso connessi alle diseguaglianze economico-sociali diffuse sul territorio italiano, che al contrario hanno bisogno di un programma di istruzione speciale che parta dalla scuola primaria e di un adeguato sostegno sociale. Perché se non si incide su questo fattore, la percentuale degli alunni con bisogni educativi speciali (Bes) non farà che aumentare.

3) Ideologica è la Sua idea di autonomia che affida ai Dirigenti la possibilità di scegliere i docenti da un Albo territoriale, di provvedere al Piano triennale dell’offerta formativa, di valutare i docenti, insieme a genitori e studenti. È una proposta antidemocratica che non accetteremo mai e di cui non si capiscono “apparentemente” le ragioni. Perché non lasciare questi compiti al Collegio dei docenti?

4) La chiamata diretta dei Dirigenti è inaccettabile perché mina l’autonomia dell’insegnamento. Come è possibile che non comprendiate questa elementare conseguenza? Vuole che le raccontiamo delle pressioni che alcuni Dirigenti, per le più svariate ragioni, esercitano sui docenti nel corso dell’anno scolastico e degli scrutini? Per le richieste spesso irragionevoli dei genitori, per scelte politiche, per dare un’immagine edulcorata della scuola o per la più nobile ragione di non perdere classi, che significherebbe perdere prestigio e anche docenti. Da tutto questo i docenti possono difendersi e resistere solo attraverso il sacrosanto principio dell’autonomia ed è irresponsabile da parte Vostra ignorare il valore altamente civico di questo principio.

5) Ideologica, poi, è l’autonomia della dotazione finanziaria, con la quale decidete che lo Stato possa abdicare alla sua funzione sociale ed economica e affidarsi ai privati per la gestione di un bene che è pubblico e tale deve rimanere, infliggendo così un ulteriore duro colpo al Welfare.

6) Ideologica è tutta la questione della valutazione dei docenti. L’incompetenza con la quale l’avete affrontata impone che essa venga subito cassata, per essere pensata e meditata con il contributo di esperti e del mondo della scuola. Da dove nasce il bisogno di valutare i docenti?
In questi mesi vi ho sentito esprimere pareri sui docenti inoperosi degni delle comari di Windsor. Invece di affidarvi a uno studio del fenomeno, vi siete limitati al pregiudizio che proviene dal sentito dire. Avete per caso istituito una commissione che abbia analizzato il problema e possa darvi contezza delle percentuali di docenti eventualmente “fannulloni”? Senza considerare che già esistono gli strumenti normativi per intervenire sulle piaghe dell’incompetenza e della pigrizia, che caratterizzano ogni settore della società. In ogni caso la valutazione non può in nessun modo essere associata alla “premialità”, essa ha senso solo se finalizzata al miglioramento della didattica e al perfezionamento del proprio patrimonio culturale, entro tale dimensione essa è incompatibile con il valore denaro.

7) E a questo proposito va detto che la prima cosa da fare è innanzi tutto adeguare i nostri stipendi alla dignità del nostro lavoro e alla sua funzione sociale, sulla base del principio che lo stipendio è il corrispettivo di una professione che si deve presupporre esercitata con dovere, responsabilità e rispetto delle regole. E invece voi trasportate il vostro sospetto che le cose non stiano così, il vostro pregiudizio soggettivo, in una norma che blocca gli scatti e gli adeguamenti stipendiali, per premiare i più bravi, secondo criteri oscuri, indeterminati e facilmente soggetti ad applicazioni arbitrarie.

8) Per inciso Le faccio notare che non esiste alcun nesso scientifico o automatico tra una scuola, come quella che viene rappresentata nel Ddl, ingorgata di attività, di iniziative, di progetti di ogni genere e tipo, e la qualità della formazione culturale sia degli alunni e sia dei docenti. Impegnati come saranno a organizzare di tutto e di più, i docenti non avranno affatto tempo per quell’aggiornamento obbligatorio che vi sta tanto a cuore. Aggiornamento, sia chiaro, che non prevede solo corsi e corsetti calati dall’alto, ma studio continuo, riflessione, adeguamento della didattica alle esigenze degli alunni, tutti ingredienti che richiedono tempo. Una proposta sensata sarebbe quella che a parità di stipendio diversifichi le funzioni, tra chi vuole dedicarsi alla didattica e chi vuole invece impegnarsi nelle altre attività dell'offerta formativa. Una seconda proposta attiene invece alla selezione e formazione in entrata, che richiederebbe una seria permanenza universitaria finalizzata ad apprendere il metodo della ricerca, che poi deve essere gestito in autonomia, attraverso lo studio, il confronto collaborativo, gli strumenti della collegialità, per diventare prassi della professione.

9) E a questo proposito: parlate della qualità della didattica e dell’apprendimento con una arroganza direttamente proporzionale all’astrattezza con la quale affrontate la questione. La condizione minima per favorire la qualità della didattica, e incidere con un certo successo su tutto il gruppo classe, è il numero di studenti per classe che non dovrebbe superare i 20-22 alunni.

10) A parte i piccoli aggiustamenti su musica, arte e sport, dove sta scritto che valorizzate la formazione umanistica? Come è possibile questa valorizzazione senza intervenire drasticamente nelle scellerate norme della Riforma Gelmini che ha depotenziato soprattutto le materie umanistiche? Pensate di poterla risolvere con l’autonomia?

11) L’Albo territoriale precarizza tutti, anche i docenti che sono da anni in ruolo, i quali non sono nella condizione di scegliere (Le ricordo che l’ultimo concorso del 1999 fu regionale), ma sono piuttosto costretti a chiedere un trasferimento per avvicinarsi alle famiglie. Costringe i docenti ad una continua mobilità che ricade sulla qualità della didattica, sugli già esigui stipendi e sulla loro salute psico-fisica.

12) Con le deleghe al Governo in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione Vi assumete dei poteri che sfuggono completamente al controllo del Parlamento.
Ci sarebbero tante altre osservazioni da fare, perché è l’impianto complessivo, proprio quello che avete deciso di non voler modificare, a essere viziato da un’idea politica centralistica, antidemocratica, privatistica, che impone un drastico passo indietro. Tale visione non è estranea alla logica del mercato, che ha già in parte deteriorato la scuola, producendo il genitore/alunno cliente di cui occorre soddisfare tutte le richieste, con grave danno per la formazione. Tale visione è perfettamente coerente con l’accettazione acritica del Sistema di valutazione nazionale fondato sull’Invalsi che risponde ad una logica standardizzata, funzionale, strumentale che non incide in nessun modo sul miglioramento dei livelli di apprendimento, ma anzi li deteriora. Dal momento che per voi l’impianto complessivo è dogmaticamente intoccabile, ne consegue che le aperture Sue e del Ministro siano non vere, e che ancora una volta, con le nostre risposte, noi abbiamo perso il nostro prezioso tempo nel tentativo disperato di riportarvi alla ragione. Alla ragione di una comunicazione trasparente e onesta, che rispetti le regole della logica e del discorso veritativo; alla ragione di un linguaggio rispettoso del nostro ruolo; alla ragione di atteggiamenti educati e non supponenti e pregiudizievoli. E prima di tutto, perché è lì che tutto si fonda e si mantiene, alle ragioni e al rispetto della nostra Costituzione, che ci ha affidato una scuola democratica, egualitaria, pubblica e laica, e di cui il Vostro Ddl non può considerarsi evoluta espressione.

Cordiali saluti,

Elena Maria Fabrizio

Docente di Filosofia e Storia



14 commenti:

  1. Qualche dubbio solo su questo punto: "Una proposta sensata sarebbe quella che a parità di stipendio diversifichi le funzioni, tra chi vuole dedicarsi alla didattica e chi vuole invece impegnarsi nelle altre attività dell'offerta formativa". Innanzitutto terminologico: a mio avviso sarebbe il caso di rifiutare come una blasfemia il termine "offerta formativa", perché è connesso, come l'eccellente autrice scrive più sotto, con la figura del "genitore/alunno cliente di cui occorre soddisfare tutte le richieste, con grave danno per la formazione". Inoltre, la frase sembra non voler restituire centralità alla didattica rispetto alle altre attività formative: in una scuola decente queste attività formative non dovrebbero essere "altre", come finora è stato (e si è visto veramente di tutto: cinema, scacchi, giornalino, fotografia, balletto, radio-web ...), ma strumentali al successo didattico: recupero dei prerequisiti, sostegno in itinere, approfondimento.

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  2. Un giudizio da non addetto ai lavori: gran parte delle critiche mosse dalla Fabrizio alla controriforma Renzi sono condivisibili, ma l'articolo rimane pesantemente sbilanciato. Il mondo della scuola e il corpo insegnante sono pieni di difetti. Le soluzioni di Renzi sono sbagliate perché - come han fatto tutti i governi da 20 anni a questa parte - sono solo un paravento per privatizzare (leggi mandare in malore) la scuola pubblica con l'intento di spenderci meno e aprire le porte alla speculazione.

    Ma i problemi sono reali. E' vero che gli insegnanti sono una categoria letargica, fortemente resistente al cambiamento. E' vero che ci sono tanti insegnanti che non fanno niente e sono pagati quanti gli altri (aspetta aspetta di trovare una soluzione "legata al pefezionamento del patrimonio culturale e slegata dalla premialità": pura fantascienza). E' vero che bisognerebbe svecchiare l'insegnamento e mettere la scuola a contatto col mondo del lavoro: il latino obbligatorio al liceo scientifico è una bestialità. E' vero che non si dà autonomia scolastica senza la possibilità di scegliere almeno una parte del corpo insegnante.

    Il fatto è che per fare riforme serie, oltre a smantellare il regime neoliberista, ci vorrebbero una visione strategica, i soldi per finanziarle e la determinazione a sacrificare interessi consolidati senza ritorni finanziari o elettorali immediati. E siamo nel mondo dei sogni. Prendiamo la valutazione del merito. Bisognerebbe anzitutto decidere se si vogliono insegnanti assistenti e animatori sociali, come li voleva Berlinguer, o se si vuole una scuola che insegni, dunque selettiva. Quale politico è disposto a tranciare una scelta del genere? Bisognerebbe poi trovare metodi per valutare oggettivamente il 'merito', ad es. istituendo commissioni nazionali di valutazione del livello di preparazione dei ragazzi: soluzioni costose. Si tratterebbe poi di penalizzare gli incapaci/pelandroni e magari licenziarne una parte: pensate che sindacati e mondo insegnante sarebbero d'accordo? E i genitori che si ritrovassero i figli bocciati in massa?

    Criticare Renzi è sacrosanto, ma senza cadere in un'ipocrisia opposta e speculare alla sua.

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  3. Quante accuse senza fondamento! Da quasi due decenni ogni nuovo ministro della pubblica istruzione ha imposto una sua riforma a cui gli insegnanti si sono prontamente adeguati: magari fossero stati letargici! magari avessero resistito al cambiamento! "Cambiamento" significa infatti precarizzazione del lavoro, crollo dei salari e delle pensioni, deindustrializzazione, assalto al territorio, privatizzazione del welfare state. - Che ci siano tanti insegnanti che non fanno niente è assurdo: l'insegnante non è chiuso da solo in un ufficio, sta davanti a classi sempre più numerose, sempre meno scolarizzate; come potrebbe mantenervi l'ordine senza fare nulla? Il problema è, invece, che tanti insegnanti non fanno nulla di utile; questo è però un effetto del "cambiamento", che nella scuola consiste nell'abolire la scienza e il lavoro necessario per acquisirla e nel sostituirla con l'attività ludica.

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  4. La letargia si dimostra proprio nella non resistenza a scelte rovinose fintantoché non ti toccano nel particulare. Gli insegnanti di ruolo sono stati solo sfiorati nel portafoglio e nei diritti dalle varie controriforme. Sono stati colpiti nella serietà della loro professione, ma meno serietà vuole anche dire meno lavoro e così il conto si pareggia.

    Il modo in cui i fannulloni gestiscono classi sempre più numerose e meno scolarizzate consiste nel lassismo e nel garantire la promozione a tutti in cambio di un minimo di problemi. Non dico che questa sia la media dell'insegnamento, come affabula la propaganda neoliberista; è una percentuale fisiologica, diciamo un 20%, meno nei licei, più nei tecnici/professionali. Dopo le immissioni di cani e porci degli anni 60-70 è anche una percentuale bassa.

    PS: io non accuso di niente nessuno in quanto non ritengo nessuno vincolato da diritti o doveri di alcun tipo, men che meno quello a svolgere seriamente la propria professione.

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    1. Non capisco perché Lorenzo prenda le distanze da Renzi, quando in effetti dice le stesse cose: gli insegnanti contro il cambiamento, didattica vecchia, scuola slegata dal mondo del lavoro. Evidentemente ne condivide la mentalità di sinistra, quella che ci lascia inermi contro l'attacco del capitale finanziario. Non capisco neanche la sua ingenerosità nei confronti delle proteste degli insegnanti: non stanno lottando contro una riduzione di stipendio, ma contro un modello di scuola che annulla lo spessore scientifico e culturale della didattica, e in questo li umilia professionalmente. Dovevano farlo prima? Certo, anche perché le riforme che ci sono già state hanno iniziato quello che la riforma di Renzi compie, hanno cioè intensificato il loro lavoro, umiliato la loro professionalità, depresso il loro trattamento economico. Ma prima non era così facile capire: gli insegnanti non hanno la visione delle essenze; i migliori leggono e si informano; ma se si pensa che il mondo accademico e quello della stampa sono ancora quasi completamente identificati con l'ideologia del cambiamento, si potrà essere più indulgenti con la loro lentezza.

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  5. A Paolo Di Remigio
    Dubbio legittimo, perché la proposta più che sensata è disperata e si riferisce proprio alla “blasfemia “ dell’offerta formativa, la quale appunto invece di andare a incidere sulla formazione culturale e sul successo didattico, produce per così dire un garantito e bugiardo successo parallelo (la partecipazione ai progetti che poi si traduce in crediti). La proposta di separare la didattica dalle altre funzioni, in un contesto normativo, quale quello del Ddl, che non mette in discussione l’assunto dogmatico dell’autonomia/anarchia, mi sembra uno dei modi, e ripeto disperati, per salvare la didattica. La situazione che io registro è quella di docenti che quando sono impegnati nei Pof non hanno poi tempo e energie per dedicarsi alla qualità della didattica; è quella di studenti che quando sono impegnati nella frequentazione dei progetti, non hanno poi tempo ed energie per dedicarsi allo studio. E tutto va in malora, sebbene ai più la didattica delle competenze appaia come la prova provata del sicuro successo formativo, dell’eccellenza della scuola, della bravura di tutti. La parvenza della scuola di oggi mi sembra molto vicina a “Il tutto è falso” di Adorno. Quindi, non c’è dubbio che l’offerta formativa dovrebbe essere finalizzata agli obiettivi di recupero, sostegno e approfondimento, ma anche in questo caso rimango convinta che un docente possa fare una cosa alla volta. I docenti devono innanzi tutto studiare, approfondire,adeguarsi ad un’idea di sapere che è continua ricerca, devono poi stabilire con i ragazzi relazioni positive, devono educarli a un metodo di studio le cui virtù sono rigore, costanza, capacità di orientarsi nel sapere, di tradurlo in virtus activa, di interiorizzarlo, rielaborarlo, criticarlo, di nutrirsene per orientarsi nel mondo. Per realizzare questi obiettivi è necessario tempo, anzi i tempi lunghi dello studio e del dialogo che la scuola dell’autonomia ci sottrae per statuto. Questo Ddl distruggerà anche la cittadella interiore della didattica così intesa nella quale i docenti, almeno quelli che lottano contro la scuola dell’autonomia e dell’iperattivismo, si sono rifugiati per salvare il salvabile. Se questo Ddl passerà, e a quanto pare passerà, il cerchio della scuola dell’alunno cliente, della scuola colonizzata dai sistemi potere e denaro, dell’anarchia feudale dei dirigenti e delle loro complici corti, si potrà dire chiuso. È una situazione che molti di noi vivono come un dramma epocale, perché la scuola e tutte le istituzioni del sapere e dell’istruzione devono per norma culturale, etica e storica sempre avanzare la società e mai ridursi a esserne ideologico specchio.

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    1. Non avevo tenuto conto della natura "disperata" della proposta; di qui il mio dubbio. Mi trovo perfettamente d'accordo sulla separazione tra la didattica e le altre funzioni; il mio pensiero di restringere queste ultime ad attività di sostegno della didattica nasceva da un'impressione precisa: la prospettiva della riforma ha messo nel panico non soltanto i docenti, ma soprattutto i dirigenti, tanto che li ho uditi raccomandare che l'extra-curricolare restasse nell'alveo del curricolare. Certo, può essere un'impressione limitata al mio contesto; ma non è detto: la realtà dell'autonomia è il contrario di quello che la parola promette; i dirigenti agiscono sempre e soltanto in base a ferree direttive da parte dei sovrintendenti regionali. Non mi spingo a parlare di una crisi dell'arricchimento formativo: le direttive, per quanto ferree, sono del tutto opache e mutevoli perché determinate da un mondo politico disorientato ed esso stesso eterodiretto.

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  6. Non so perché il mio breve commento non è stato pubblicato. Dicevo telegraficamente di accuse senza fondamento. Bah...

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    1. Non saprei, questo è l'unico commento a firma "dinamiteblu" che ho trovato

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  7. Bene, speriamo che i prof la smettano di votare PD.

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  8. A Lorenzo
    La mia lettera risponde in modo estemporaneo e frettoloso ad una richiesta di dialogo e suggerimenti da parte del Presidente del Consiglio in un contesto politico fortemente viziato da pregiudizi, totale incompetenza del legislatore, proclami ideologici.
    Il mondo ella scuola e i docenti saranno pieni di difetti, però nessuno si è preoccupato di documentarli. Una seria proposta di riforma sarebbe dovuta partire da uno studio che registrasse la situazione scolastica sul tutto il territorio italiano e che approfondisse i risultati eventualmente raggiunti dalla scuola dell’autonomia. Per fare solo qualche esempio, avremmo potuto magari scoprire che alcune problematiche relative all’apprendimento o alla scarsa alfabetizzazione e scolarizzazione dipendono dai contesti socio-economici o da una pedagogia della scuola primaria che punta ad un didattica globale piuttosto che ad una didattica analitica.
    Avremmo potuto scoprire che chiedere ai genitori/alunni cosa vogliono dalla scuola ha peggiorato la formazione dei ragazzi, che la scuola è un’istituzione dello Stato e dei suoi cittadini e che quindi non il genitore ma lo Stato debba definire cosa è buono, giusto e opportuno apprendere. Cose che erano ovvie oggi non lo sono più, e mi sembra che non lo siano neanche per lei, perché noto nelle sue riflessioni più contraddizione che coerenza. Perché lei prima ci definisce “categoria letargica”, prima sembra non apprezzare il modello neoliberista a la Berlinguer e Renzi, ma poi suggerisce in maniera imperativa di eliminare lo studio del latino nei licei scientifici (ma su quali criteri culturali?), oppure sposa l’idea di una scuola “selettiva” (su quali criteri costituzionali?), oppure ancora ritiene che la vera autonomia sia scegliere il corpo insegnanti (su quali criteri normativi?).
    Nel mio liceo scientifico esiste l’indirizzo così detto delle “Scienze applicate” dove non si studia il latino, solo due ore di filosofia, due di storia, quattro di italiano e tre di inglese, tutto il resto va alla matematica, alla fisica, all’informatica e ai progetti obbligatori di alternanza scuola-lavoro contro la dispersione scolastica. Con quale risultato? Basso livello di preparazione culturale, classi piene di alunni con bisogni educativi speciali (Bes), con disturbi dell’apprendimento (Dsa), 250 ore svolte in un’azienda informatica, 5 ore al giorno per interi mesi, prevalentemente in orario pomeridiano, sospensione della didattica, ragazzi stanchi. Quanti di questi sono stati selezionati alla fine del percorso per formulare un progetto digitale? Solo tre. Che cosa ha fatto la scuola? Ha abdicato alla sua funzione culturale e formativa, invece di andare a incidere sulla formazione culturale dei ragazzi li ha dirottati sullo sviluppo di competenze lavorative per le quali non si chiede un elevato grado di istruzione. Li ha appunto selezionati a monte, ha deciso il loro futuro. Questa è l’autonomia, un gioco al ribasso. E mi fermo qui.
    Per scoprire i veri difetti della scuola italiana dovremmo partire da un’idea di scuola, e non da eventuali docenti fannulloni, e di conseguenza anche da un’idea di valutazione. Per quanto mi riguarda, ma non sono sola in questo convincimento, la valutazione del docente ha senso solo finalizzata a migliorare i processi di apprendimento e di insegnamento, senza premi e classifiche. Sotto questo aspetto mi sembra che l'offerta formativa alias autonomia non vada a migliorare né gli apprendimenti né l'insegnamento. E ripeto, al momento non esiste alcun nesso scientifico tra Pof e qualità della didattica. Una seria riforma dovrebbe partire da qui, anzi ripartire, perché il principio dell’autonomia ne uscirebbe fortemente inficiato. Una seria riforma dovrebbe procedere verso un programma di istruzione speciale nelle aree svantaggiate a partire dalla scuola primaria, con il sostegno dello Stato sociale. Una seria riforma dovrebbe preparare i docenti ad affrontare questo compito. Dovrebbe selezionare i docenti in entrata, non gli alunni.

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  9. Sulla valutazione senza premi né classifiche, il motivo è semplice. Il denaro non premia il merito ma solo una produttività che sia quantificabile. Ma l’istruzione non lo è e non lo deve diventare; l’insegnamento non è strumento di produzione di merce, l’apprendimento non è un prodotto finito. Lo stesso sistema Invalsi non è in grado di dirci se eventuali risultati negativi dipendano dall’inefficacia dei docenti. Non esistono indicatori capaci di misurare questo dato. È la solita soluzione semplice e pigra ad un problema complesso.
    Con questo Ddl si andrà a premiare chi farà di più, chi migliorerà l’offerta formativa della scuola, chi saprà certificare di più le proprie competenze, chi saprà formare gli alunni più bravi. Dunque meri dati quantitativi che falseranno la qualità. Il criterio dirimente sarà infatti misurato nell’immediato sui voti, sulla percentuale degli ammessi e dei non ammessi; capirà che anche il docente più onesto, in questa situazione, rischia di essere indotto per coazione inconsapevole a misurarsi sulla base dei voti e quindi ad alterarli. Il merito legato al denaro finirà per alterare i criteri del merito. E trascuro di discutere le risorse irrisorie che sono state stanziate per la “premialità”. Una vergogna.
    Per tutto il resto, io non mi riconosco nel profilo letargico nel quale lei vorrebbe includere parte dei docenti; non comprendo l’ipocrisia che ascrive al mio dire. Per i docenti che non fanno niente o fanno male, che certo sono una minoranza che non incide sul sistema, non ho soluzioni per l’immediato, esistono le norme che qualsiasi dirigente può decidere di applicare.
    Forse quello che avverto, ma è una mia percezione che non potrei mai e poi mia trasformare in un enunciato descrittivo, è la carenza di una coscienza politica e una certa assuefazione, che tradurrei con colonizzazione, alla logica dell’autonomia nella quale alcuni docenti hanno intravisto un’alternativa alla didattica del quotidiano o la possibilità di accedere a risorse finanziarie.
    Mi conceda almeno di esprimere un giudizio provvisorio sul mondo della scuola più cauto, forse è un mondo diviso tra chi resiste alla colonizzazione della logica del mercato e chi invece ne è colonizzato, in maniera consapevole o inconsapevole. E lei saprà che nella logica della colonizzazione l’obiettivo principale è l’interiorizzazione del modello dominante. La sfida della scuola rimane quella di evitare che questa coazione a ripetere penetri nelle coscienze dei nostri alunni.

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    1. Gentile signora Fabrizio, i modelli educativi sono tanti e la scelta dipende dalle prospettive di fondo e dalla base valoriale di ciascuno di noi. Dal rifiuto dello sfacelo neoliberista si può inferire - per fare un esempio - tanto una scuola di tipo gentiliano quanto una socialista. Non vedo contraddizione nell'opporsi all'intrusione della logica di mercato in funzione di un modello scolastico diverso dal Suo.

      Gli insegnanti sono una categoria letargica perché a forza di parole, concetti generalissimi e scatti automatici di anzianità ci si allontana dalla vita reale. Questa è la mia esperienza per il fatto di essere cresciuto in una famiglia di insegnanti. E' indispensabile premiare il merito e premiarlo in denaro perché la grande maggioranza dei lavoratori guarda al quattrino e del "perfezionamento del patrimonio culturale" non sa che farsene. Riconosco che la valutazione della qualità dell'insegnamento è un nodo problematico, ma non insolubile. Ad es. accennavo alla possibilità di organizzare commissioni nazionali di valutazione del livello di preparazione dei ragazzi.

      La selettività è la base di qualsiasi sistema sociale funzionante e dev'essere ripristinata se si vuol fare della scuola qualcosa di serio. E' l'unico modo per motivare i giovani, sia che se ne voglia fare managers o soldati o letterati o altro. L'alternativa è l'attuale sbracatura fatta di bonus e crediti formativi. Leggevo qualche settimana fa che ormai le scuole elementari migliori del mondo sono quelle di alcuni stati asiatici, proprio per la ferrea selezione e disciplina imposte ai bambini. Ho l'impressione che Lei postuli una sorta di equazione fra selettività e aziendalismo. Io non la condivido. Il liceo classico gentiliano non era certo aziendalistico ma era estremamente selettivo e per questo in grado di impartire un'istruzione di altissima qualità. Lei mi chiede su quali basi costituzionali. La costituzione è un pezzo di carta imposto dal conquistatore anglosassone (quello stesso che va imponendoci il suo modello plutocratico e aziendalista). In ogni caso, se essa è serenamente convissuta colla scuola seria e selettiva esistita in Italia fino alla sbracatura sessantottina, può tornare a conviverci.

      Per quanto riguarda l'insegnamento umanistico, non so come vadano le cose nella Sua scuola. Ho un paio di parenti che insegnano nelle professionali e non fanno altro che dirmi della noia e della demotivazione (traducentisi in indisciplina) di ragazzi che vogliono imparare il mestiere e sono costretti a passare il 70% del loro tempo su storia, matematica e letterature incrociate.

      Guardo ovviamente con simpatia alla Sua battaglia contro l'aziendalizzazione. Solo un appunto: "l’interiorizzazione del modello dominante" è il presupposto di qualsiasi aggregazione sociale, non solo di una logica "colonizzatrice". Lei sta lottando per far interiorizzare agli alunni un modello diverso da quello che il regime vuole imporre. Le auguro ogni fortuna in questa Sua battaglia.

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