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giovedì 31 maggio 2018

Com'è umano lei!

Lupo Rattazzi compra pagine di giornali per argomentare che l'uscita dall'euro danneggerebbe i ceti medi medi e bassi. 


http://www.repubblica.it/politica/2018/05/31/news/governo_la_domanda_retorica_di_rattazzi_cari_salvini_e_di_maio_ma_avete_spiegato_l_italexit_ai_vostri_elettori_-197794497/?ref=RHPPTP-BH-I0-C12-P2-S6.3-T1




"Lupo Rattazzi, 65 anni, presidente di Neos, la compagnia aerea del gruppo Alpitour, è il quinto dei sei figli di Susanna Agnelli e Urbano Rattazzi, ed è stato a lungo uno dei protagonisti delle cronache del jet set romano. Ha studiato negli Stati Uniti e ha lavorato in Lehman e in Salomon. È stato a capo di Air Europe, la prima compagnia aerea privata italiana ed è stato membro del Consiglio di amministrazione di Exor, la finanziaria di famiglia che controlla, tra le altre società, Fca, Juventus e Ferrari". Così ci spiega l'articolista. Forse qualcuno, avvezzo a letture desuete, potrebbe vagamente ricordare una lontana frase, scritta in polverosi libri ottocenteschi, sul fatto che la storia umana è storia di lotta di classe, e sviluppare quindi qualche dubbio sull'afflato di Lupo Rattazzi verso la difesa del potere d'acquisto dei salari. La stessa persona potrebbe poi magari ricordare qualche dato sulla diminuzione, ad euro imperante, della quota nazionale dei salari e sull'aumento di quella dei profitti, e provare a chiedersi da quale delle due quote Lupo Rattazzi tragga le sue "quattro paghe per il lesso" di carducciana memoria. Ma sono pensieri cattivi, e l'articolista li spazza via con sicurezza. "Insomma, la sua biografia non lo obbligherebbe a schierarsi a difesa del potere d'acquisto dei salari. Ma, evidentemente, la passione civile sì". Che è un altro modo, meno divertente, di esprimere il celebre fantozziano "com'è umano lei!".

mercoledì 30 maggio 2018

Dicono di noi

(Nei giorni scorsi si è parlato di attacchi all'Italia sulla stampa tedesca. Molto opportunamente Paolo Di Remigio ha tradotto un articolo di Jan Fleischhauer, che pubblichiamo con un breve commento dello stesso Di Remigio. Articolo e commento sono pubblicati anche su "Appello al Popolo". M.B.)





Cosa dicono di noi gli amici tedeschi.
Il signor Fleischhauer unisce una disarmante ignoranza dei concetti economici elementari a un'invidia ingenua per un popolo che egli conosce solo in cartolina. Debito pubblico e debito estero hanno in comune di essere entrambi debito, è ovvio; mentre però il debito pubblico deve essere stabilizzato per mezzo della crescita economica, il debito estero nell'Eurozona deve essere combattuto con l'aumento delle esportazioni e la caduta delle importazioni, dunque con l'impoverimento indotto da soffocamento della crescita economica. All'interno della moneta unica europea, la diminuzione del debito estero comporta quindi l'aumento del debito pubblico – a prescindere dalle virtù e dai vizi nazionali. Nella mente del signor Fleischhauer debito pubblico e debito estero sono però debito e basta, cioè Schuld, colpa. Nulla indigna come la colpa altrui. Nulla distorce la visione sobria come l'indignazione. Così la disoccupazione disperata indotta dalla necessità di svalutare il lavoro in regime di cambio fisso per riequilibrare la bilancia dei pagamenti prende, nella mente del signor Fleischhauer, la forma del 'dolce far niente' dei milionari a Portofino. Così la richiesta di non considerare i titoli di debito pubblico già ripagati dalla BCE con l'emissione di moneta fiat diventa una bancarotta fraudolenta ai danni dei risparmiatori tedeschi. Così nella mente del signor Fleischhauer gli italiani diventano milionari bancarottieri e finiscono con il dare nuovo corpo a un archetipo disperso tra gli incubi della Seele germanica, l'archetipo del popolo parassita che succhia il sangue del popolo laborioso, a cui una ottantina di anni fa hanno dato corpo altri gruppi, prima che il problema che sembravano porre avesse una soluzione definitiva. (Paolo Di Remigio)

L'originale dell'articolo che traduciamo è al seguente indirizzo:

http://www.spiegel.de/politik/ausland/italien-die-schnorrer-von-rom-kolumne-a-1209266.html

Italia paese dei debiti. Gli scrocconi di Roma

Che nome dare a una nazione che prima apre la mano per farsi finanziare da altri la sua bella vita – e poi minaccia i suoi creditori se questi invocano la restituzione dei debiti?
Un editoriale di Jan Fleischhauer
24.05.2018
Editoriale
In un’intervista che il favoloso Sven Michaelsen ha ottenuto di recente da Rem Koolhaas, l’architetto ha parlato dei disastri combinati sulle montagne svizzere. Spuntano ovunque gli chalet dei ricchi designer milanesi. Non si riesce più a vedere qualcosa di originario. Non c’è più neanche puzza di letame perché non ci sono più vacche.
Questa frase mi ha fatto pensare alla ricchezza italiana mentre lunedì veniva presentato a Roma il futuro primo ministro. Il nuovo governo promette agli italiani il paradiso in terra: poche tasse, pensione anticipata e un reddito di base per tutti. Secondo le prime stime le spese per le beneficenze assommerebbero dai 100 ai 125 miliardi di euro l’anno.
Un paese tutt’altro che povero
Poiché non poteva mettersi d’accordo su dove risparmiare, la coalizione ha deciso di passare il conto ai vicini. I partner europei devono annullare 250 miliardi di euro di debiti all’Italia - così è scritto sul testo originale del contratto di coalizione negoziato dai vertici di Lega e Cinque Stelle.
Nel frattempo l’annullamento del debito è migrato nella parte invisibile del contratto. Il presidente della repubblica italiano, che deve ancora benedire il tutto, pare non sia un amico degli accordi a danno di terzi. Ma non per questo, ovviamente, l’idea è fuori discussione. Basta attendere che l’inchiostro sui documenti di nomina sia asciutto e tornerà alla luce.
L’Italia non è un paese povero. Il nord del paese è tra le regioni più ricche del mondo. Uno sguardo alla distribuzione del patrimonio mostra che gli italiani sono decisamente più ricchi perfino dei tedeschi. Secondo la London School of Economics una famiglia media italiana possiede 275.205 euro – che fanno 80.035 euro in più di una famiglia media tedesca. Oggettivamente l’Italia potrebbe ripagare i suoi debiti con le proprie forze, se il governo decidesse di coinvolgere seriamente i cittadini nel risanamento del bilancio statale. Si sarebbe già fatto un grande passo se gli italiani riuscissero a rinunciare al lassismo della loro morale fiscale.
L’accattone dice almeno grazie
Che nome dare all’atteggiamento di una nazione che prima apre la mano per farsi finanziare dagli altri il suo proverbiale dolce far niente – e poi minaccia di bastonare i creditori se questi insistono sulla restituzione del debito? Accattonaggio sarebbe un concetto sbagliato. L’accattone dice almeno grazie se gli si riempie il sacco. Scroccone violento coglie meglio il bersaglio.
Si va di fatto all’estorsione. O date soddisfazione alle nostre esigenze o mandiamo tutto a monte: questa è la minaccia inespressa dietro la decisione di annunciare la fine di tutte le regole sul debito per l’Italia. Rispetto all’Italia la Grecia era una bazzeccola. L’Italia è la terza economia dell’Eurozona, quasi un quarto dell’indebitamento complessivo dei paesi europei è sul conto dell’Italia. Se gli italiani decidono di non rispettare più i loro obblighi di pagamento, l’euro è finito e i tedeschi hanno perso tutto il denaro che hanno impegnato per salvarlo.
L’esperimento di una politica post-nazionale
Si sarebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro, aveva promesso Draghi al culmine dell'euro-crisi: “Whatever it takes”. A Roma si sono ricordati della promessa. Il valore dei titoli di Stato italiani che attraverso le vie intricate del sistema monetario hanno trovato accesso alla cantina della Banca Centrale Europea ammonta a circa 390 miliardi. Ora alla BCE non resta altro che proseguire la sua politica, perché ogni aumento degli interessi spingerebbe lo Stato italiano nell’insolvenza.
Non ho nulla in contrario se la gente vive sopra le sue possibilità. Da parte mia in Italia possono continuare a praticare evasione fiscale come sport nazionale. Trovo però indecente che si carichino i costi delle decisioni politiche sugli stranieri che hanno tutt’altra idea della politica e, dove possono scegliere, votano anche in modo corrispondente. Non riesco ad accordarlo con la mia concezione di democrazia.
Ma forse bisogna intendere l’avventura italiana come un esperimento di politica post-nazionale. Nessuna nazione con un po’ di dignità chiede aiuto alle altre se può fare da sé. Chi vuole passare da scroccone? A quanto pare gli italiani hanno superato questa forma di orgoglio nazionale.

martedì 29 maggio 2018

Tutto è chiaro

Come abbiamo rilevato più volte, le cose sono da tempo chiare. "I mercati insegneranno agli italiani a votare nella maniera giusta", dice il Commissario europeo al Bilancio Oettinger.


https://www.corriere.it/cronache/18_maggio_29/commissario-ue-oettiger-mercati-insegneranno-all-italia-votare-giusto-d589c27a-6334-11e8-9464-44779318d83c.shtml



giovedì 24 maggio 2018

Una lettera di Paolo Savona

In queste ore si discute della candidatura di Paolo Savona a Ministro dell'Economia. Mi sembra interessante rileggere questa sua lettera aperta, di qualche anno fa, che il sito "Sollevazione" ha opportunamente ripubblicato.

http://sollevazione.blogspot.it/2015/08/non-cediamo-alla-ue-la-nostra-sovranita.html

domenica 13 maggio 2018

Un'inchiesta sulle classi popolari

Un'interessante iniziativa di ricerca sociale:

http://sbilanciamoci.info/lavoro-politica-uninchiesta-sulle-classi-popolari/

Dalla ricerca risulta che i temi che stanno più a cuore alle persone intervistate sono il lavoro, la sanità, la casa, e che "la richiesta è quella di più Stato e più servizi pubblici".

sabato 12 maggio 2018

Consolazioni

Sono convinto che la nostra civiltà sia destinata a sparire, in tempi non lunghissimi. In genere è un pensiero che mi rattrista. Poi mi capita di ascoltare l'intervista che trovate nel link seguente, e allora mi consolo. Se tutto quello che la nostra civiltà riesce a produrre sono tizi come questo "Capo Plaza", forse è davvero il tempo di sparire

http://www.ilsecoloxix.it/p/eventi/2018/05/09/ACEV4jeD-feltrinelli_vogliamo_annoiarci.shtml

martedì 1 maggio 2018

Sul concetto di verità (P.Di Remigio)


(Riceviamo da Paolo Di Remigio, e volentieri pubblichiamo, questo articolo, già apparso in "Appello al popolo". M.B.)




Sul concetto di verità

Paolo Di Remigio

Da almeno due secoli, anziché offrire la forma definitiva della conoscenza, la filosofia rassicura che la verità sia inopportuna, e in parte escogita labirinti di pensiero alternativi al percorso logico, in parte la diffama pretendendo di scorgervi il proposito di un atteggiamento totalitario – da una parte una scuola europea legata a una filosofia della storia sempre più esangue rifiuta la verità come superficiale, dall’altra una filosofia nord-atlantica legata a una concezione sempre più oscurantista della scienza la ritiene incompatibile con la democrazia-liberale, che si attiene alla diversità delle opinioni come dato ultimo legittimo.
La verità è il linguaggio umano che si trova in accordo con la realtà – adaequatio rei et intellectus è la splendida definizione scolastica: non soltanto res ma accordo tra la res e l’intellectus. La sua immagine mitica sono i nomi che Adamo assegna alle creature. Il rifiuto della verità è dunque il rifiuto dell’accordo tra soggetto e oggetto: il soggetto può preferire la sua insufficienza e tenersi estraneo l’oggetto. Il soggetto può scegliere il falso.
L’essere una scelta pone la falsità nella sfera dell’etica; le sue forme possono essere ricavate da questa. Tre sono le forme giuridiche dell’illecito: quella per cui si vuole il diritto in generale, ma ci si attribuisce un diritto particolare altrui, l’inganno con cui si lede la sostanza del diritto altrui rispettandone l’apparenza, il delitto che annulla l’essenza e l’apparenza del diritto. A queste tre forme giuridiche corrispondono solo due forme morali – volere il diritto in generale è infatti l’essenza della morale : l’ipocrisia e la coscienza assoluta che trasforma in legge il suo arbitrio[1]. Poiché la verità non dipende soltanto dall’intenzione del soggetto, la falsità ha di nuovo tre forme: l’errore, se senza intenzione si è fuorviati da un’apparenza; la menzogna, se si svia con intenzione, cioè se ci si riserva una verità e si comunica agli altri un’apparenza; l’idealismo soggettivo, quando si squalifica la realtà necessaria rispetto al possibile. Mentre gli errori non chiedono di meglio che di essere corretti e sono anzi un momento della stessa esposizione della verità, la menzogna è il mezzo usuale della strategia manipolativa; molto del disprezzo attuale che si mostra alla verità, l’abitudine a considerarla impotente, è generato dalla rassegnazione o dalla condiscendenza alla menzogna universale che soffoca la modernità: emancipandosi dalla religione medievale disprezzata come impostura dei preti, l’illuminismo ha creato il giornalismo, ossia la comunicazione come merce, che mente programmaticamente per timore di perdere il committente o il cliente. Il vertice estremo del falso, l’idealismo soggettivo, è la sovranità del soggetto che si tiene alla sua idea per evitare la fatica dell’imparare, che dice di preferire il suo percorso di ricerca alla meta della scoperta, che sostituisce il godimento dell’accordo con l’oggetto con il sentimento di onnipotenza suscitato dal cosciente discordare da sé. Il suo principio è il disprezzo della logica.