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martedì 25 ottobre 2016

Il tranello americano

Mi capita spesso di trovarmi d'accordo con le analisi di "Militant", come in questo caso:


http://www.militant-blog.org/?p=13697


Poi loro sperano nella "sinistra di classe", e questo ovviamente ristabilisce un certo distacco.

lunedì 24 ottobre 2016

domenica 23 ottobre 2016

martedì 18 ottobre 2016

Conflitti interni ai ceti dominanti

Monti vota NO al referendum. Si possono leggere le considerazioni di Mazzei:


http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/se-anche-monti-vota-no-di-piemme.html




Non c'è bisogno di dire che fra Renzi e Monti riesce difficile scegliere il peggiore.



sabato 15 ottobre 2016

Il bavaglio

Segnaliamo un comunicato del Fronte Sovranista Italiano che tocca un argomento importante


http://appelloalpopolo.it/?p=23893

venerdì 14 ottobre 2016

Una farsa istruttiva

Largamente condivisibile l'intervento di Leonardo Mazzei:


http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/la-direzione-del-pd-una-farsa-molto.html




Mi permetto di sottolineare in particolare due passaggi:
"Quel che Renzi sta cercando di condurre in porto è l'affermazione del PD (...) come l'architrave imprescindibile di un regime sempre più autoritario".
"Il referendum del 4 dicembre segnerà in ogni caso uno spartiacque nella storia nazionale".

venerdì 7 ottobre 2016

Riflessioni su Foucault (P.Di Remigio)

Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri questo articolo su Foucault di Paolo Di Remigio. (M.B.)




Foucault e il liberalismo.

La sinistra è stata colta di sorpresa dal neoliberalismo; anziché riconoscerlo come un programma criticabile, lo ha scambiato per una svolta storica già accaduta, a cui rassegnarsi, a cui anzi i suoi capi hanno prestato i propri servizi in modo da averne la piccola ricompensa. Il grande merito delle lezioni del 1978-79 di Michel Foucault al Collège de France1 è di avere colto la natura di programma del neoliberalismo, rintracciandone la doppia radice nell'ordo-liberalismo tedesco della scuola di Friburgo degli anni ’20 e nel successivo anarco-liberalismo americano della scuola di Chicago, e narrandone con grande accuratezza la storia. Chi leggesse il libro potrebbe riconoscere nelle vecchie idee ordo-liberali non solo i principi ispiratori dell'Unione Europea, ma la sua stessa retorica; l'espressione «economia sociale di mercato», infine scivolata nel trattato di Lisbona, è stata coniata là, in polemica con l'economia keynesiana; l'adorazione ordo-liberale della concorrenza si è insinuata nel trattato di Lisbona come definizione della natura fortemente competitiva dell’Unione Europea2; la stessa idea di reddito di cittadinanza che trasforma la disoccupazione in occupabilità dei lavoratori ha la sua genesi nella scuola di Friburgo. Dall'anarco-capitalismo americano è invece influenzato, più che il moralismo europeista della competitività, il capitalismo post-keynesiano in generale, che pretende di fare dell'individuo, qualunque sia la sua condizione, un imprenditore, e della sua attività, qualunque essa sia, un'impresa3.

Non è il caso di riassumere il lavoro di Foucault: meglio leggerlo, anzi studiarlo, per trarne il quadro dell'ideologia neoliberale nella sua ossessiva pervasività; è invece il caso di chiedersi perché mai il libro non sia diventato né un segnale d'allarme né un'arma di lotta politica. La risposta può essere anticipata subito: Foucault condivide con il neoliberalismo e con il marxismo il suo presupposto più interno: l'identità di libertà e natura, ossia la concezione che la libertà sia una proprietà originaria dell'individuo fuori dal contesto politico, determinato cioè come naturale. Perché la sua indagine avesse risonanza politica, Foucault avrebbe dovuto esporre il neoliberalismo confrontandosi a fondo con la natura dello Stato, mettendo in questione non solo il liberalismo, ma lo stesso Marx, risalendo quindi a Hegel.

L'identità di libertà e natura detta a Marx un'utopia della società civile. Se nella «Questione ebraica» egli l'ha concepita come realtà ultima del mondo etico, come struttura scissa, dilaniata dalla lotta tra le classi che pone in contrasto individuo e società, la scelta decisiva del suo materialismo storico è aver concepito il superamento di questo contrasto, la conciliazione reale come risultato del movimento interno della società civile: sviluppando il sistema dei bisogni essa è già arrivata a un livello di produttività che rende virtualmente superfluo lo sfruttamento e la lotta di classe; il socialismo, coscienza di questa superfluità, è anche la fine della lotta di classe, è la società civile conciliata, l'individuo che ha nell'altro non più il suo limite, ma la certezza di se stesso.

Con tutto questo Marx non solo accetta una contraddizione: la conciliazione reale è una conciliazione sperata, cioè irreale; ma nel contempo rompe con Hegel, per il quale la società civile è l'eticità essenzialmente estraniata da se stessa, cioè preda di una conflittualità che nessun moto interno può comporre, la cui negazione comporta perciò la negazione della società civile stessa, ossia lo Stato. In questo pensiero Marx e con lui l'interno Novecento filosofico hanno visto soltanto una mistificazione. A questa loro valutazione sfugge però ciò che Hegel effettivamente intende, ossia che la composizione della società civile è reale soltanto sulla base dall'ostilità esterna: il conflitto della società civile è realmente domato dallo Stato non per un suo arcano potere magico, ma perché deve fronteggiare il rapporto potenzialmente ostile con altri Stati4. In una parola: è l'eventualità della guerra che smussa il conflitto di classe e trasforma in Stato la società civile realizzandovi la conciliazione che in essa è eternamente potenziale; è l'esigenza di sovranità verso l'esterno che fonda la sovranità verso l'interno, che cioè impedisce il radicalizzarsi della differenza tra le classi, tra gli individui; ed è questa intima connessione tra sovranità interna e sovranità esterna – non certo un cedimento a impulsi crudeli5 –, che induce Hegel a riconoscere l'eticità della guerra.

Marx, come del resto tutto il pensiero che potremmo definire ‘progressivo’, nel quale rientrano il liberalismo e lo stesso Foucault, non ha sensibilità per la guerra: la considera un epifenomeno del conflitto di classe, destinato a volatilizzarsi con il socialismo, non un'implicazione necessaria dell'essere individuale, che nel suo stesso concetto è respingere l'altro, sua soppressione6 – su questo punto egli è lontanissimo dal realismo politico iniziato da Machiavelli. Il pensiero ‘progressivo’ che dichiara la nullità dell'universale a vantaggio dell'essere individuale, si imprigiona nel contempo in un concetto edulcorato dell'individualità: l'individualità non individuale, ma universale, non respingente ma comunicativa, per cui i molti individui sono una naturale attrazione reciproca e l'umanità è essenzialmente pacifica. Di fronte all'immagine di questa individualità già pacifica per sua natura, lo Stato, la cui prima funzione è fare della moltitudine internamente repulsiva degli individui un individuo, pacificarla, per metterla in grado di fronteggiare altre società altrettanto individualizzate, appare l'origine unica della violenza, che scomparirebbe con la sua scomparsa. In altri termini, il pensiero ‘progressista’ sottrae all'individuo la sua repulsività accollandola allo Stato e, con una coerenza che sfida il senso della realtà, intravede nella fine dello Stato il trionfo della pace.

mercoledì 5 ottobre 2016

Paolo Di Remigio sulla riforma costituzionale


(Un breve intervento dell'amico Di Remigio sulla riforma. M.B.)

Nessuno parla peggio della riforma costituzione di chi le è a favore. Per elogiarla dice che accelererà i processi decisionali. Le decisioni si prendono però dopo 'matura' riflessione e, a meno che non si sia sul campo di battaglia, la decisione rapida è sempre quella sbagliata. Il bicameralismo aveva questo fine, rallentare il processo decisionale affinché il suo risultato fosse ben ponderato: la lentezza è la virtù di chi sa decidere. Sostenere poi che i problemi attuali dell'Italia siano un effetto del 'ping-pong' tra le due Camere è quanto meno avventato. Più probabile il contrario: i nostri problemi vengono dall'irresponsabilità con cui un intero ceto dirigente ha deliberato senza ben capire cosa stesse facendo e senza riflettere sulle conseguenze, in fiduciosa obbedienza alle direttive della grande finanza bancarottiera. Così hanno firmato il trattato di Maastricht senza riflettere che il cambio fisso avrebbe cancellato la nostra competitività e che i suoi parametri ci avrebbero condannato all'austerità, hanno introdotto il pareggio del bilancio pubblico senza pensare che esso vanificava l'impegno della Repubblica per la piena occupazione; hanno votato la 'Buona scuola' senza indagare sui danni già provocati dall'autonomia e il Jobs Act trascurando che avrebbe depresso la domanda in un contesto di domanda già depressa. La rapidità è la virtù di chi deve soltanto eseguire ordini.