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martedì 29 dicembre 2015

L'eticità dello Stato (P.Di Remigio)

(Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Paolo Di Remigio
M.B.)


Dopo la fine del pensiero politico del mondo classico si è disposti a riconoscere all'individuo almeno la possibilità di essere onesto, ma è pregiudizio comune che lo Stato sia essenzialmente un male. Per i cattolici è una costruzione soltanto umana, quindi bisognosa di guida trascendente; per i liberali è una sgradevole necessità; Marx lo concepisce come una ipocrisia; il fascismo, che pure sembrerebbe volerlo esaltare, non accetta il pluralismo, la divisione dei poteri che consente il dominio della legge e impedisce l'esercizio del potere carismatico, e ciò equivale a dire che non ne accetta l’essenza.
La sequenza di queste visioni non è solo storica, ha una base logica. Nel cristianesimo la natura dell’uomo è corrotta dalla colpevolezza originaria che soltanto lo spontaneo gesto salvifico di Dio può espiare; così l'uomo, perduto finché il suo destino è nelle sue mani, è salvo solo se si affida all'istituzione che quel gesto salvifico ha fondato; questo significa, nella sfera politica, che gli uomini sono perduti nell'ambito dello Stato, che non può andare oltre l'attuazione di un diritto punitivo, redenti soltanto nella Chiesa che li immerge nella caritas.
Come il liberalismo che ne ha raccolto l'eredità, l'illuminismo respinge il peccato originale tra gli inganni dei preti: gli uomini sarebbero naturalmente ragionevoli, dunque in grado di conoscere, senza bisogno di guida ecclesiastica, che il loro utile è raggiungibile solo tramite la mediazione sociale, che l'egoismo coincide con la generosità; sarebbero semmai la superstizione diffusa dalla Chiesa e la tirannia esercitata dallo Stato ad accecare gli individui e a impedire il dispiegamento della loro libertà e del progresso di cui essa è portatrice.
Questa convinzione illuminista forma uno dei presupposti più profondi del socialismo. Che tuttavia il socialismo non vi si possa limitare, è avvertibile in Marx. Con le nozioni di alienazione religiosa e alienazione politica Marx fa sua la critica illuminista alla religione e alla politica; ma nel contempo le considera meri sintomi di un'alienazione originaria, l'alienazione economica, superata la quale esse sarebbero dissolte a fortiori. Poiché però l'alienazione economica sorge sul terreno naturale della società civile e dell'egoismo individuale, non su quello consapevole quindi colpevole dello Stato, Marx deve oltrepassare l'illuminismo e recuperare la nozione teologica di peccato originale, deve cioè considerare l'individuo naturale stupido e colpevole. Questa separazione di Marx dall'illuminismo è evidente nella sua nozione di ideologia; essa esprime la stessa invincibile opacità degli uomini su se stessi contenuta nella rappresentazione teologica di peccato originale. Dal momento poi che il male non può essere superato né dall'individuo né dalla ragione, ma dal movimento storico, Marx recupera un secondo motivo teologico: affida a quella che chiama la classe operaia il compito messianico di interrompere il corso della storia, di ribaltare il male del mondo e di realizzare la libertà naturale dell'individuo. Così, mentre nell'illuminismo la libertà naturale è già presente, in Marx è il sogno dell'umanità che la storia, animata dallo sviluppo della forza produttiva, sta per realizzare. Nelle sue diverse varianti il socialismo ha oscillato tra illuminismo e messianismo, tra fede nell'individuo naturale e fede nell'avvento dell'individuo naturale, come si dice di solito: tra riformismo e rivoluzione. Mentre poi il riformismo ha saputo rivalutare il significato dello Stato, le ali rivoluzionarie hanno condiviso con l'illuminismo e la teologia la diffidenza verso lo Stato, anzi l'hanno acuita in disprezzo. Senza questo disprezzo sarebbe incomprensibile l'attuale disponibilità della sinistra a offrire i suoi servizi alla criminalità finanziaria mondializzata in cui l'illuminismo ha conosciuto la sua ultima degenerazione.

venerdì 18 dicembre 2015

Una sintesi chiara

Segnalo uno scritto di Claudio Gnesutta, una sintesi chiara e in larga parte condivisibile. Purtroppo le "conclusioni operative" sono assai deboli.


http://sbilanciamoci.info/europa-ce-una-politica-dopo-la-grecia/



domenica 13 dicembre 2015

Meno male

Salta, per il momento, il soggetto unitario della sinistra (ma quella buona quella giusta quella vera quella democratica non come quell'altra ecc.ecc). Almeno questa ce la siamo risparmiata.


http://ilmanifesto.info/il-vecchietto-partito-dove-lo-metto/

mercoledì 9 dicembre 2015

Questa è carina

Due youtuber olandesi leggono ai passanti brani della Bibbia dicendo che si tratta del Corano:


http://www.leggo.it/NEWS/ESTERI/leggono_versi_corano_passanti_video/notizie/1722312.shtml




La cultura veramente "altra", con la quale l'attuale Occidente non si confronta, è la propria...

martedì 1 dicembre 2015

In pensione a 75 anni?

Pare sia questo il destino degli attuali 35enni (ammesso che abbiano un lavoro, s'intende):


http://www.corriere.it/economia/15_dicembre_01/inps-chi-oggi-ha-35-anni-andra-pensione-70-anni-avra-assegno-piu-basso-25percento-27ed2072-9851-11e5-b53f-3b91fd579b33.shtml


Sono quasi divertenti le righe finali dedicate alle considerazioni dell'OCSE, che da una parte spiega che l'attuale sistema è ancora troppo generoso, ma però si preoccupa del rischio povertà per i giovani. Non so se sia l'OCSE  o il giornalista, ma mi sembra ci sia qui una lieve confusione.
Scherzi a parte, e davvero c'è poco da scherzare, questa è la direzione nella quale stiamo andando, se accettiamo l'attuale organizzazione sociale. In questo come in altri campi il declino della nostra civiltà mi sembra di una evidenza solare.
(M.B.)


Aggiornamento 2-12: il commento di Poletti alle dichiarazioni di Boeri è il vuoto pneumatico:
http://www.repubblica.it/economia/2015/12/02/news/pensioni_poletti_boeri-128635467/?ref=HREC1-5

venerdì 27 novembre 2015

Valutazioni

Riceviamo da Paolo Di Remigio, e volentieri pubblichiamo
(M.B.)




Comitato di Valutazione
(P. Di Remigio)


In questi giorni si riuniscono in ogni Istituto scolastico i Collegi dei docenti per eleggere i loro due rappresentanti al Comitato di Valutazione, cui la legge 107/2015, quella cosiddetta della “Buona scuola”, assegna il compito di stabilire i criteri per valutare non più soltanto l’anno di prova degli insegnanti neo assunti, ma anche la didattica degli insegnanti già in ruolo, così da assegnare un bonus ai più meritevoli. È evidente che nel valutare i meritevoli il Comitato determinerà anche che cosa sia il merito dei docenti, dunque indirizzerà la didattica della Scuola Pubblica.


Ci sono due modi di valutare un lavoro: considerandone le procedure di attuazione e considerandone i risultati. È evidente che la valutazione del risultato è quella veramente decisiva: nessuno lavora per lavorare, tutti lavorano per ottenere qualcosa. Nel caso della scuola, alla società, alla famiglia non interessa tanto il come della didattica, quanto se gli alunni raggiungono le conoscenze e le competenze necessarie alla vita e al lavoro. La valutazione di un lavoro secondo le procedure può avere la sua utilità solo quando si voglia evitare il pericolo di sottoutilizzare i mezzi o abusarne; è però opportuno ricordare che è possibile ricorrere alle procedure più complesse e innovative, senza ottenere risultati. Proprio questo, anzi, è quanto la scuola sta sperimentando da molti anni. La legge 107/2015 rafforza questa tendenza. Il comma 129 stabilisce infatti che il lavoro degli insegnanti sia valutato in base ai risultati e in base al processo; ma trascura di apprestare gli strumenti per la valutazione dei risultati, lasciando il compito alla semplice fantasia dei Comitati di valutazione. Questi hanno quindi a disposizione solo gli strumenti già esistenti. Gli strumenti di valutazione dei risultati didattici già esistenti sono le prove INVALSI e l’indagine Eduscopio della Fondazione Agnelli. Entrambi forniscono dati del tutto insufficienti alla formulazione di criteri di valutazione della didattica dei singoli insegnanti: le prove INVALSI riguardano infatti soltanto due discipline, matematica e italiano, alla fine delle scuole medie e dopo il biennio superiore, trascurano dunque i risultati della maggior parte dei docenti; l’indagine Eduscopio dà una valutazione del risultato didattico del Consiglio di classe nel suo complesso ed è del tutto inutilizzabile per determinare la consistenza dell’apporto dei singoli insegnanti. Il Comitato di valutazione non può determinare criteri sulla base dei risultati della didattica; sarebbe dunque costretto a determinarli sulla base del processo. Così si espone però a un doppio pericolo. Non solo a quello già accennato, di indirizzare la didattica verso la procedura, trascurando il risultato, e questo porterebbe in breve alla distruzione definitiva della Scuola Pubblica; ma anche a una palese violazione della Costituzione. All’art. 33 questa stabilisce che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», ossia, purché insegni l’arte e la scienza entro le norme generali dettate dalla Repubblica, l’insegnante è libero, cioè la scelta e l’attuazione delle procedure didattiche sono sua competenza. La valutazione delle procedure didattiche è dunque, oltre che tecnicamente pericolosa, contraria alla Costituzione. L’imbarazzo e il disorientamento dei legislatori, che dopo aver imposto con una fretta inspiegabile la valutazione del merito didattico alle scuole, rinunciano a determinarne gli strumenti e scaricano sui Comitati di valutazione l’onere di farlo, è evidente nello stesso testo della legge. Il comma 130 stabilisce infatti: «Al termine del triennio 2016-2018, gli uffici scolastici regionali inviano al Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca una relazione sui criteri adottati dalle istituzioni scolastiche per il riconoscimento del merito dei docenti … Sulla base delle relazioni ricevute, un apposito Comitato tecnico scientifico nominato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca … predispone le linee guida per la valutazione del merito dei docenti a livello nazionale». Forse non è inutile osservare che per predisporre le linee guida occorre elaborarle prima che siano applicate, e non dopo, sulla base delle relazioni ricevute. Gli insegnanti valutino con attenzione tutto questo prima di procedere alle loro scelte.

giovedì 26 novembre 2015

Siamo mainstream

Dopo Goofynomics e Vocidallestero, segnaliamo anche noi questo intervento, nel quale autorevolissimi economisti elaborano una "consensus narrative" sulla crisi dell'euro, che nella sostanza ricalca le cose che andiamo ripetendo più o meno dal 2011. In sostanza, abbiamo vinto, almeno sul piano intellettuale (non su quello politico). Ovviamente altri hanno avuto una parte molto maggiore della nostra, in questa vittoria. Ma, nel nostro piccolo, abbiamo investito lavoro ed energie in questa battaglia. E ci siamo scontrati con un certo numero di muri di gomma. Il risultato di questo percorso è, per quanto mi riguarda, un radicale pessimismo sulle possibilità di costruzione di un soggetto politico antisistemico. Le aree culturali e politiche antisistemiche sono state quelle più solerti nella costruzione di muri di gomma. Tutto questo impone delle riflessioni.
(M.B.)

martedì 24 novembre 2015

Forse una poesia

Non abbiamo mai pubblicato "cose" di questo tipo. C'è sempre una prima volta. L'ho scritta perché sono stato toccato dalla sorte di Valeria Solesin.
(M.B.)


Parigi 13-11-15

Schiudi inferno la bocca ed inghiotti
nel tuo grembo l'intero creato
sull'ignoto assassino esecrato
le tue fiamme discendano o ciel.

Faceva freddo a Parigi
l'inverno del '90-'91.
Giravo la sera con altri giovani esseri umani
fra una mostra ed un concerto.
Non volevamo perderci nessuna
delle meraviglie
della Ville Lumière

O gran dio, che ne' cuori penetri
tu n'assisti, in te solo fidiamo;
da te lume, consiglio cerchiamo
a squarciar delle tenebre il vel!

Seguivo concerti di musica mongola
rassegne di film sovietici dell'Asia centrale
al museo Guimet camminavo
fra nuvole di porcellane colorate
(famille verte, famille rose)

L'ira tua formidabile e pronta
colga l'empio, o fatal punitor;
e vi stampa sul volto l'impronta
che stampasti sul primo uccisor.

Senza saperlo,
ricalcavo le orme
di infiniti giovani
venuti da tutte le province del mondo
lungo uno o due secoli
gli occhi ben aperti
il cervello teso allo spasimo
per vivere fino in fondo
il pulsare appassionato
di una civiltà.

A scuola, dopo i morti,
avete letto poesie sull'amore
e avete scritto i vostri pensieri
tu hai parlato degli sguardi degli animali
come frecce di tenerezza

Forse volevi dire
che ogni vita ci riguarda

Valeria nelle foto ha uno sguardo pulito
faceva volontariato per Emergency

Molto tempo fa, qualcuno scrisse
che senza carità
diventano mostri
fede e speranza

Alcuni di noi,
americani e britannici su tutti
hanno flirtato col jihadismo.
Spesso lo hanno armato e finanziato
per provvisori fini propri
salvo poi perdere il controllo
del mostro
che avevano contribuito a creare”

Il Signore gli rispose:
Orbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte tanto”.
Poi il Signore mise un segno su Caino affinché,
chiunque lo incontrasse, non lo uccidesse.






(“Schiudi inferno la bocca ed inghiotti ecc”, assieme alle due citazioni seguenti, è il testo del coro nel finale del primo atto del “Macbeth” di Verdi. Si può notare che Macbeth e la sua donna, i due assassini, cantano assieme agli altri il loro orrore per l'omicidio del re;

famille verte, famille rose: stili di porcellana cinese;

"tu hai parlato ecc.": mia figlia;

Molto tempo fa, qualcuno scrisse ecc.": Pasolini, in un articolo del 1968;

Alcuni di noi ecc”: da un articolo di Lucio Caracciolo, su “Repubblica" del 17-11-15;

Il signore gli rispose ecc.”: Genesi, 4,15).













domenica 22 novembre 2015

Perfino il "Sole"

Riprendo dal sito "Sollevazione" la segnalazione di questo interessante articolo pubblicato sul "Sole-24ore". Se perfino sul giornale della Confindustria compaiono queste analisi, forse qualcosa sta cambiando.


http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2015-11-19/la-saudi-connection-che-frena-lotta-all-isis-073642.shtml?uuid=ACDLcDdB

sabato 21 novembre 2015

Riflessioni di Giannuli

I diversi interventi di Giannuli sui recenti fatti di terrorismo, pubblicati nel suo blog, contengono molte riflessioni interessanti. Vi segnaliamo uno di questi interventi:


http://www.aldogiannuli.it/isis-lerrore-di-partenza/

venerdì 20 novembre 2015

Lucidità di Lucio

Lucio Caracciolo è senz'altro un intellettuale mainstream, lontano dalle idee che sosteniamo in questo blog, ma sa essere molto lucido:


http://spogli.blogspot.it/2015/11/repubblica-17.html

giovedì 19 novembre 2015

Scusarsi? Con la Fallaci?

Fra i discorsi strani (per non dire altro) che si sono sentiti dopo la tragedia di Parigi, uno dei più strani è quello secondo cui bisognerebbe "scusarsi con Oriana Fallaci". Ammetto che una cosa del genere non me la aspettavo proprio. Per fortuna Alessandro Robecchi ha detto a questo proposito le cose essenziali, quindi posso limitarmi a segnalarlo:



domenica 15 novembre 2015

Effetti

I primi licenziati da Jobs Act:


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/14/jobs-act-ecco-i-primi-licenziati-a-tutele-crescenti-a-casa-dopo-otto-mesi-di-lavoro/2217571/


Il caso singolo ovviamente non ha grande significato macroeconomico. Però colpisce quanto sia facile licenziare persone che avevano un contratto "a tempo indeterminato". Ma si sa, adesso c'è lo smartphone, mica più i gettoni telefonici.
(M.B.)

sabato 14 novembre 2015

Un po' di buon senso

Sull'ennesimo orrore, questa volta a Parigi, si sprecheranno come sempre molte parole. Non vogliamo aggiungerne altre, che sarebbero inutili, ma ci limitiamo a segnalare questo intervento di Fraioli, di esemplare buon senso


http://egodellarete.blogspot.it/2015/11/la-verita-e-che-non-sappiamo-la-verita.html#comment-form



"Prima che sia troppo tardi" (2008)


Autocritica
Ripubblico un intervento scritto nel 2008 assieme a Bontempelli. In esso cercavamo di indicare quali potevano essere i punti fondamentali di una nuova forza politica in grado di lottare contro il degrado civile al quale ci sta portando l'attuale organizzazione sociale. Rileggendolo, mi sembra di poter affermare che le tesi fondamentali in esso esposte abbiano retto al passare del tempo, e che i punti che avevamo all'epoca delineato siano ancora validi. Certo, nel frattempo ho aggiunto alle mie riflessioni la tematica dell'uscita da euro/UE, ma non vedo nessuna contraddizione: quest'ultima tematica si inserisce senza problemi nello schema generale a suo tempo delineato. Sulla tenuta intellettuale, teorica, di quanto scritto da Massimo e me all'epoca, non mi pare ci sia quindi nessuna autocritica da fare. Diverso è il discorso per quanto riguarda la valutazione politica di questo documento. Nello scriverlo, infatti, assumevano implicitamente che avesse appunto senso scriverlo: cioè che vi fosse una possibilità concreta di nascita di una forza politica avente le caratteristiche delineate, forza politica alla quale le nostre riflessioni generali potevano essere utili. Rispetto a questa valutazione implicita penso adesso di poter affermare che ci eravamo sbagliati. In questi anni ho partecipato direttamente ad alcuni tentativi di costruzione di una forza politica di quel tipo, e altri ne ho seguiti indirettamente. Si è sempre trattato di tentativi generosi, portati avanti da persone oneste e serie, che non hanno in sostanza mai portato a nulla, dando luogo, nei casi migliori, a piccole realtà di nicchia del tutto ininfluenti (nei peggiori, sono esplosi fra scontri e dissapori vari). Si potrebbero fare lunghe analisi per capire i motivi di tutto ciò, e spero di poter dare qualche contributo a questo proposito in futuro. In ogni caso, la discussione su quali fossero nel 2008 le possibilità concrete di costruzione di una forza antisistemica del tipo delineato, è ormai oggi una questione del tutto accademica: infatti, qualsiasi fosse la situazione nel 2008, è chiaro che l'entrata in campo del Movimento 5 Stelle ha cambiato radicalmente i dati del problema, togliendo ogni spazio politico ad una formazione politica antisistemica. Ma allora, oggi in Italia, che fare? Se al verbo “fare” diamo un significato ampio, ci sono ovviamente moltissime cose che si possono fare, per cercare di diffondere le idee “antisistemiche”: usare la rete, parlare con gli amici e i conoscenti, organizzare incontri, gruppi di studio e di discussione, e così via: ognuno può immaginarsi le azioni di questo tipo più adatte alle proprie possibilità. Se invece per “fare” si intende, in senso più ristretto, l'azione politica, allora credo di poter concludere che l'unica cosa che si può fare, oggi in Italia, è o entrare nel Movimento 5 Stelle oppure cercare in qualche modo di influire sul suo dibattito interno. Con questo non intendo dire che si tratti di qualcosa di facile, o che ci siano molte possibilità di trasformare il M5S in un vero movimento politico anticapitalistico: dico solo che sono uguali a zero le possibilità di costruire qualcosa di sensato al di fuori del M5S. Questo, almeno nel breve e medio periodo, perché in questa fase il M5S ha occupato lo spazio politico dell'opposizione. E quello che succede nel lungo periodo, non credo ci sia bisogno di ricordarlo ai lettori di questo blog. Ho tardato a rendermi conto di questo, cioè del fatto che sono nulle le possibilità di costruzione di una forza politica antisistemica esterna al M5S, e su questo faccio la mia autocritica.
(Marino Badiale)



domenica 8 novembre 2015

Famiglia e contratto (P.Di Remigio)

La famiglia tiene ormai uniti solo due tipi di scambio tra gli individui. Mentre una volta, quando l'arretratezza tecnica provocava la differenza tra lavori femminili e lavori maschili, integrava la produttività dell'uomo e quella della donna, dopo l'industrializzazione la famiglia continua a unire solo lo scambio orizzontale e quello verticale tra gli individui: il rapporto tra i sessi e il rapporto tra le generazioni. Sembra però che nello stesso modo in cui il lavoro si è separato dall'unità familiare, così debbano staccarsi l'una dall'altra anche la sessualità e la generazione; così la stessa famiglia cesserebbe di avere una funzione e finirebbe. In quanto si intestardisce a conservarsi tenendole unite, la famiglia appare un residuo del passato, superata da nuove e più moderne forme di sessualità e da nuove e più moderne forme di riproduzione.
In che consistano queste novità e modernità è subito chiaro. La separazione tra sesso e generazione ne fa beni scambiabili contrattualmente, merci; infatti il rapporto tra i sessi senza riproduzione, cioè il piacere sterile, è non solo sessualità occasionale ed eventualmente omosessuale, ma anche e soprattutto sessualità mercenaria; da parte sua la riproduzione separata dal piacere sessuale è un'operazione tecnica, così diventa un servizio scambiabile in forma contrattuale. Questo risultato è generalizzabile: quando sono attribuiti a un grado del progresso umano, «nuovo», «moderno» esprimono invariabilmente l'espansione della merce: il rinnovamento e la modernizzazione sono in realtà l'espandersi del contratto.
La tendenza degli scambi umani ad assumere la forma di contratto appare in un'aura progressiva. Il contratto implica infatti la persona, ossia l' individuo cui è riconosciuta volontà inviolabile. Poiché nell'ambito del capitalismo è persona, il lavoratore stipula un contratto col proprietario dei mezzi di produzione: in cambio di un salario cede al capitalista ciò che questi gli fa produrre nelle ore di lavoro concordate. Non sempre è stato così: il lavoratore del mondo classico poteva essere schiavo, cioè addirittura una merce, il lavoratore del mondo feudale dipendeva dal signore. La trasformazione del lavoratore in persona che è vincolata a un contratto liberamente stipulato è un immenso progresso dell'idea di libertà; l'asimmetria del rapporto tra proprietario del mezzo di produzione e nullatenente ne è in ogni caso ridotta. Più problematico appare invece il progresso della libertà quando la forma del contratto investe rapporti determinati, più che da una uguaglianza astratta, da una reciproca appartenenza tra individui che comporta per loro diritti e doveri. Le persone in senso stretto non hanno diritti e doveri tra loro, se non quello di capitale importanza, certo, ma pur sempre negativo, di non ledere la personalità altrui. I rapporti di reciproca appartenenza contengono invece per gli individui che ne sono membri l'obbligo positivo di volere l'unità, di favorirne attivamente la conservazione con la cura dei doveri. Da questi rapporti è circoscritto l'ambito dell'eticità, ossia in primo luogo lo Stato, nel quale le leggi stabiliscono i diritti e i doveri dei cittadini, in secondo luogo la famiglia, in cui l'affetto stabilisce i diritti e i doveri tra uomo e donna e tra genitori e figli. Che possa non essere riducibile a contratto, non implica che l'ambito etico debba essere privo di scambio; esiste uno scambio non contrattuale, anzi è la forma originaria dello scambio1, che è il dono. Tra dono e contratto la differenza è evidente: mentre questo tiene separati coloro che lo stringono, che restano perciò personalità indifferenti, quello stabilisce o consolida un legame, un rapporto di dipendenza reciproca tra individui.

giovedì 5 novembre 2015

La forza di Renzi


Dopo Italicum e Jobs act, Renzi ha ottenuto anche la cosiddetta riforma del Senato. Senza grosse difficoltà, in questo caso come nei precedenti. A Renzi sta riuscendo, con una certa facilità, ciò che Berlusconi ha tentato inutilmente (o quasi) di fare per vent'anni. Penso sia il caso si chiedersi le ragioni di questa forza. Per rispondere, bisognerebbe prima chiedersi le ragioni della “debolezza” di Berlusconi. Mettiamo“debolezza” tra virgolette, perché ovviamente la parola è da prendere cum grano salis. Berlusconi ha sempre avuto, ed ha tuttora, un grande potere, i cui vari aspetti diamo qui per noti. Osserviamo solo che la sua vita politica copre gli ultimi vent'anni: in questi vent'anni egli è stato al potere per circa dieci, ed è stato comunque influente anche negli altri dieci. Ma sono proprio i dati oggettivi che mostrano la reale forza di Berlusconi a porre con evidenza il problema. Come mai in vent'anni di attività politica ai massimi livelli egli non è riuscito a devastare la Costituzione, conculcare la democrazia e abbattere i diritti dei lavoratori in maniera così completa come è riuscito in pochissimo tempo a Renzi? La prima risposta che viene in mente è che Berlusconi era sì forte, ma ha anche suscitato contro di sé forti opposizioni. Il ceto politico si è sempre profondamente diviso, di fronte ai suoi tentativi di cambiamenti regressivi delle istituzioni. Ma perché? Non certo per motivi morali o ideali. L'attuale ceto politico non conosce né etica né idee. Poiché l'unica cosa che esiste, per l'attuale ceto politico, sono gretti interessi materiali, è evidente che il problema di Berlusconi stava nel fatto che egli non era in grado di soddisfare tutti questi interessi, o almeno una loro parte tanto consistente da dargli maggioranze capaci di fare ciò che ha fatto Renzi. In sintesi, non c'era trippa a sufficienza per tutti i gatti, o almeno per una loro parte consistente. E la lotta spietata per accaparrarsi le risorse dell'apparato statale rendeva impossibili accordi sufficientemente saldi da far passare grandi cambiamenti istituzionali. Ma cos'è cambiato con Renzi? È evidente che le risorse statali non sono aumentate. Perché adesso si riesce a coagulare un consenso del ceto politico?

mercoledì 4 novembre 2015

Sapevano tutto

W.Munchau, tradotto su "Vocidallestero", ci spiega che i sostenitori dell'euro, tra i quali egli stesso all'inizio, avevano ben chiaro che esso non poteva funzionare se non imponendo drastiche misure deflattive. Peccato che la cosa non sia ancora chiara a molti "anticapitalisti", in Italia e altrove.
(M.B.)


http://vocidallestero.it/2015/11/02/munchau-sul-ft-leuro-e-lespansione-ecco-i-due-grandi-errori-che-hanno-rovinato-leuropa/

lunedì 2 novembre 2015

domenica 1 novembre 2015

Un intervento di Ugo Boghetta

Segnalo un intervento di Ugo Boghetta, membro della Direzione Nazionale del PRC, che dice cose molto sensate. Era quello che speravo anni fa: sentire un politico ragionare in questo modo, dimostrando quindi di aver capito le cose essenziali. Purtroppo temo che questo sia troppo poco e troppo tardi. Troppo poco nel senso che le posizioni di Boghetta, a quel che ne so, sono tuttora minoritarie in Rifondazione. E se la maggioranza di quel partito ancora non vuole capire, dopo i recenti avvenimenti greci, significa che davvero non capirà mai. Troppo tardi perché temo che ormai le tecniche di "shock economy" applicate dai ceti dominanti abbiano largamente raggiunto i loro obiettivi. Resta qualche spazio di resistenza nella battaglia per i referendum, per la quale bisognerà fare il possibile.
(M.B.)


https://www.youtube.com/watch?v=ke9B5XJoinU





sabato 31 ottobre 2015

Complottismo e anticomplottismo

Da tempo ho in mente di scrivere qualcosa sulla nozione di "complottismo" e le polemiche ad essa legate, ma non ci sono ancora riuscito. E' quindi con piacere che segnalo questi due articoli, molto sensati, di Riccardo Paccosi, dal sito "Appello al popolo". Spero prima o poi di riuscire a dare il mio contributo.
(M.B.)


http://www.appelloalpopolo.it/?p=14605


http://www.appelloalpopolo.it/?p=14609

mercoledì 28 ottobre 2015

Le Cassandre della scuola


Pubblichiamo un intervento di Fabio Bentivoglio e Michele Maggino sulla scuola. E' apparso sulla rivista Indipendenza e su Megachip.
(M.B.)


Una Cassandra dal passato

(con due domande agli insegnanti di oggi e una morale finale)



Martedì 9 marzo 1999. Sono in riunione: oggi c'è il Collegio dei Docenti. Ieri è stato pubblicato il D.P.R. n. 275 (il regolamento sull'autonomia scolastica). L'insieme delle riforme fatte approvare da Berlinguer e Bassanini sull'autonomia scolastica hanno suscitato un grande fermento nel mondo scolastico: si respira aria nuova, di rinnovamento, di vera riforma “all’altezza dei tempi” ecc...

Ma, eccomi qua: mi chiamano Cassandra e sono qui per avvertire i miei colleghi, profetizzando sicure (per me) catastrofi per la scuola pubblica statale italiana: competitività, linguaggi aziendali, addestramento alla flessibilità, test, subalternità ai comandi della tecnica e ai locali poteri territoriali, profilo professionale docente analogo a quello dell’animatore sociale ecc… . Cerco di convincerli che lo spettacolo delle scuole che si fanno concorrenza a colpi di spot è [sarà] umiliante e faccio notare che l’autonomia “ha messo in moto nelle scuole una sorta di accattonaggio di massa, cui troppi insegnanti partecipano con colpevole superficialità”. Subisco quasi un linciaggio.



Flash dal futuro.

Ottobre 2015: Le due domande cruciali, nel 2015, sono le seguenti.

Prima domanda: La “Buona scuola di Renzi” è una “novità” o, al contrario, è l’approdo coerente di questa storia?

Seconda domanda: Opporsi alla cosiddetta “Buona scuola” significa contrastare gli specifici provvedimenti di tale “riforma” o, anche, contrastare, nelle scuole, la logica aziendalistica che si è radicata nella prassi scolastica ben prima dell’attuale riforma? Ad esempio: partecipare all’accattonaggio di massa per reperire fondi (da parte di docenti, famiglie e studenti) o legittimare la prassi dei cosiddetti “contributi volontari”, è o non è votare contro la Costituzione e a favore della “Buona scuola”?

Proviamo a metterla sul semiserio e torniamo al 1999!!



Resisto al linciaggio morale e insisto:

- Vedrete, entreranno le imprese nella gestione della scuola!

- Buuhh, nessuno ti può credere, dici solo un mucchio di sciocchezze….

Link dal futuro:




Non demordo.

- Vedrete, il dettato costituzionale (La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi) sarà sostituito dal dettato del marketing della grande distribuzione.

- Stai delirando, taci, non ti rendi conto delle follie che ci stai dicendo?!

Link dal futuro:


- Lo so, lo vedo: di questo passo gli insegnanti saranno valutati e scelti dagli studenti!

- Ma smettila. Stupidaggini allo stato puro! Parole in libertà!!

Link dal futuro:


Sono implacabile, nonostante l'evidente enorme contrarietà dell'uditorio dei miei colleghi; devo insistere, devo avvertirli di ciò verso cui stiamo andando incontro.

- Io vi dico che continuando su questa linea gli insegnanti si trasformeranno in gestori passivi delle procedure imposte dalla tecnica.

- Fatelo tacere: questo è un delirio da fantascienza!!

Link dal futuro:



Ormai nessuno mi ferma.

- Le scuole saranno considerate come aziende, le riforme saranno dettate dal mondo degli industriali.

- Vai via! Il tuo è solo estremismo distruttivo!!

Link dal futuro:



Nessuno mi ascolta, ovviamente; se no, non mi chiamerebbero Cassandra.

Sempre dal futuro segnaliamo:



Per sorridere un po' si veda:


- Ne sono convinto. Abbiamo iniziato un processo inarrestabile di privatizzazione. Ma vedrete, non disperate: ci sarà ancora qualcuno non all’altezza dei tempi. Ma non qui in Italia, ma in Finlandia, sì, in Finlandia di cui oggi nessuno parla; lì la scuola sarà rigorosamente statale e per diventare insegnanti bisognerà studiare tanti anni, senza selezioni con i test. Pazzesco vero!?!

Link dal futuro:


Un ricco archivio di un'altra Cassandra, a memoria futura:




Morale della favola: le battaglie si possono vincere se si individuano i fronti strategici su cui combatterle.



Michele Maggino

Fabio Bentivoglio

domenica 25 ottobre 2015

Un video e una discussione

Fiorenzo Fraioli ha pubblicato sul suo blog un video in cui propone alcune considerazioni un po' pessimiste. Poiché mi sento anch'io piuttosto pessimista in questo periodo, mi sono sentito in consonanza con lui. Il video è questo:


http://egodellarete.blogspot.it/2015/10/considerazioni-bombastiche.html


Io e Fiorenzo abbiamo avuto un breve scambio email, che, col suo permesso, pubblico qui.




MB:
ciao Fiorenzo,
avevi lasciato un commento su mainstream, ma avevamo deciso di non pubblicare più commenti lì, quindi l'ho pubblicato su badiale&tringali.
Ho visto il tuo video sul fatto che "si è perso un treno". Sono d'accordo con te, penso che segnalerò il tuo video con brevissimo commento. Secondo me i litigi fra sovranisti sono stati secondari, il vero problema è che il successo del M5S ha tolto per il breve/medio periodo ogni spazio ad altre forze di opposizione.
Ciao


FF
Ciao Marino, ti rispondo con un po' di ritardo anche perché in questo periodo l'esistenza mi è diventata un po' complicata. La vita è come il tempo, ogni tanto il cielo si riempie di nuvole. Ma sembra che stia per tornare il sole.
Non sono d'accordo con te sul fatto che il problema sia il successo del m5s. Infatti quando noi sovranisti abbiamo cominciato (diciamo nel 2011?) il m5s esisteva già. Dunque non dobbiamo misurarci con la crescita di un movimento in quel momento lanciatissimo, ma con la nostra mancata crescita. Dare la colpa al m5s significa, a mio parere, non assumersi la responsabilità di riconoscere i nostri limiti. Tolti, per ovvie ragioni, i problemi conseguenti alla mancanza di mezzi e all'incapacità di muoverci sul piano della comunicazione politica con l'abilità di consumati professionisti, il nostro vero limite è stato quello di non essere riusciti a costruire un universo che fosse almeno dialogante al suo interno. 
Ma questo l'ho già detto nel video. Mi piacerebbe conoscere meglio il tuo punto di vista, anche se dovessi insistere con la tesi che è stato il m5s a tagliarci l'erba sotto i piedi.
Un saluto, Fiorenzo


MB
Caro Fiorenzo,
la tua obiezione che il problema non è il m5s perché quando i sovranisti hanno cominciato esso c'era già, penso ci permetta di capire il punto del nostro dissenso. Infatti, mi sembra che essa indichi che il tuo ragionamento implicito sia come segue: il movimento sovranista aveva un'occasione storica e l'ha persa. C'è stato quindi un cambiamento nella situazione, e la responsabilità di questo cambiamento non può essere del m5s perché esso era già presente fin dall'inizio, cioè esso in questa vicenda è una grandezza costante e ciò che è costante non può essere la causa di ciò che cambia. Se questa ricostruzione del tuo ragionamento è corretta, è facile indicare il punto del nostro dissenso: io mi sono convinto che il movimento sovranista non ha mai avuto nessuna possibilità. Non ha quindi perso nessuna occasione. La presenza del m5s gli ha tolto, fin dall'inizio, ogni reale possibilità. L'unica cosa sensata che si poteva realmente pensare di fare era influenzare il m5s. Questo per me è un cambiamento di opinione, perché fino a poco tempo fa la pensavo diversamente.
Domani metterò una segnalazione del tuo video, potrei anche riportare questo nostro scambio email, se a te va bene.
Ciao


FF
Certo che a me va bene.
Ti faccio però osservare un particolare: quando parlo di occasione perduta non mi riferisco al fatto che il movimento sovranista potesse diventare una forza politica in grado di influire sugli equilibri elettorali, bensì alla possibilità di riuscire a trasmettere una narrazione dei fatti tale da essere un lievito. Una narrazione, rivolta alla sinistra "diffusa e orfana" ancora presente nel corpo sociale, che non fosse inquinata da polemiche e divisioni che hanno origine, prima ancora che da contrapposizioni ideologiche reali (quindi serie), da uno spirito settario che ricorda "sinistramente" le divisioni degli anni settanta. L'unità di misura di questa capacità non poteva che essere, a mio avviso, la nascita di un partito sovranista, sia pur destinato a percentuali minoritarie. Questo è il lievito che avevo in mente, e il lascito per le generazioni che ci seguiranno. Nell'azione politica, io credo, la cosa più importante è commisurare gli obiettivi alle forze disponibili, e questo obiettivo era a portata di mano. Era...



mercoledì 21 ottobre 2015

Spostamenti

Segnaliamo questa intervista a Luciano Gallino, che ha progressivamente assunto posizioni sempre più critiche nei confronti dell'euro. Fa piacere vedere che la forza della ragione non è solo una metafora.
(M.B.)


http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/24/luciano-gallino-fine-della-democrazia-inizio-con-thatcher-e-continua-con-renzi/2037773/

domenica 18 ottobre 2015

Uno sguardo all'indietro/2

Seconda parte di un articolo del 2003, scritto da me, Massimo Bontempelli e Federico Dinucci. La prima parte è stata pubblicata ieri.
(M.B.)




Totalità dialettica. Passiamo adesso a questioni apparentemente meno "concrete", ma a nostro giudizio di grande importanza. Si tratta di tematiche che potremmo definire "filosofiche" e che hanno a che fare con quel bisogno di una nuova cultura al quale accennavamo poco fa. È a questo livello che le nostre posizioni divergono maggiormente rispetto al marxismo. Fino a questo momento le nostre posizioni possono apparire quelle di una delle tante forme di marxismo critico ed eterodosso, ma a partire da questa voce crediamo risulterà chiara una presa di distanza dal marxismo e dal materialismo, comunque vengano declinati.
Decenni di cultura storicistica e marxista ci hanno condotto a identificare la totalità dialettica con la storia. La storia appariva, entro questa cultura, come la realtà ultima e definitiva oltre la quale non è possibile nessuna istanza conoscitiva o morale. Ma poiché la storia è il regno del mutamento, la conoscenza e la morale, il vero e il bene apparivano essi stessi cangianti e mobili, e all’essere umano veniva negato ogni fondamento metafisico al quale ancorare la propria vita. Giudichiamo questa impostazione culturale un errore che sfocia in un sostanziale nichilismo (per il quale si veda la prossima voce).
Per “totalità dialettica” intendiamo quell’orizzonte metafisico che alla storia fa da contesto, pur rimanendone distinto. La totalità dialettica è la struttura trascendentale della storia: possiamo vederla all’opera nella storia, ma non è essa stessa storica. Detto in una battuta: se la storia è il regno del divenire, la totalità dialettica (oggetto del sapere filosofico) è invece il regno dell’immutabile. Se ogni cosa mutasse e nulla (nemmeno l’orizzonte) rimanesse fermo allora neppure il mutamento sarebbe percepibile. La stessa coscienza del nostro “stare nella storia” presuppone l’esistenza di un orizzonte immutabile rispetto al quale ciò che si muove possa stagliarsi1.
Da tali considerazioni discendono alcune conseguenze palesemente in contrasto con ogni forma di storicismo. Primo, accanto (e per certi versi al di sopra) dei saperi transeunti (scientifici, tecnici e pratici) esiste un sapere assoluto. Ovviamente il fatto che esista un sapere assoluto non significa automaticamente che tale sapere sia completamente attingibile e dominabile, e neppure che esso sia un contenuto dato una volta per tutte, una formula magica il cui possesso garantisca dall’errore. Il sapere assoluto si costruisce, in ogni momento storico, nel dialogo e nella critica reciproca (si veda alla voce Ragione e Scienza). Il punto fondamentale per noi è che dialogo e critica hanno senso solo se si mantengono fissi l’orizzonte trascendentale e la tensione al sapere assoluto; tolti questi, dialogo e critica degenerano nella chiacchiera insulsa e vuota tipica del mondo intellettuale contemporaneo.
Secondo, se esiste un sapere assoluto esiste anche la verità assoluta (o almeno la sua possibilità).
Terzo, nessun sapere transeunte potrà mai acquisire piena coscienza del proprio carattere storico (esorcizzando così l’angoscia del divenire) se non in stretto dialogo con il sapere assoluto.
Queste nostre posizioni teoriche ci collocano fuori dalla tradizione marxista e dentro quella tradizione idealistico-dialettica che vede i suoi principali (anche se non unici) punti di riferimento in Eraclito, Platone, Plotino ed Hegel. È in questa tradizione che crediamo vada cercato un antidoto al nichilismo delle moderne società capitalistiche.

sabato 17 ottobre 2015

Uno sguardo all'indietro/1

Tempo fa avevo preannunciato la ripubblicazione, su questo blog, di due vecchi articoli scritti da me assieme a Massimo Bontempelli e Federico Dinucci, e pubblicati su "Diorama Letterario", la rivista di Marco Tarchi. In realtà ho finora pubblicato solo il primo, "Invito all'esodo", diviso in due parti, che trovate qui e qui. Mantengo fede al mio impegno e pubblico il secondo articolo, dal titolo "Uno sguardo all'indietro", anch'esso diviso in due parti. La seconda parte la trovate qui.  Si tratta di un testo del 2003. Per l'inquadramento generale del dibattito, si vedano i due link sopra citati. In questo testo, stimolati dagli interventi di alcuni collaboratori di "Diorama", in risposta al nostro primo articolo, avevamo provato a ridiscutere alcune delle "parole" fondamentali della nostra tradizione marxista. Al di là delle singole tesi, credo che questo tipo di discussione sia ancora necessaria. Non ripubblico alcune righe di introduzione, che erano direttamente rivolte a Tarchi e ai suoi collaboratori.
(M.B.)






Uno sguardo all'indietro
M.Badiale, M.Bontempelli, F.Dinucci


Modo di produzione, Storia. Nella tradizione marxista la nozione di “modo di produzione” presuppone e giustifica un atteggiamento che potremmo qualificare come “riduzionismo economico”: la storia e la società umane vengono in sostanza ridotte a variabili dipendenti rispetto alla sfera della produzione materiale, a effetti dei quali tale sfera è la causa, e il modo di produzione è inteso appunto come la forma organizzativa della produzione materiale. La sfera della produzione materiale, secondo le note metafore, è la “struttura”, la solida base sulla quale si eleva la “sovrastruttura” politica, giuridica e culturale. La storia è storia del succedersi dei diversi modi di produzione, e il motore ultimo di questa evoluzione (la lotta di classe, il potenziamento delle forze produttive, etc.), è sempre collocato entro il modo di produzione. Sono le contraddizioni interne alla logica di uno specifico modo di produzione a indurre la sua crisi e la sua sostituzione con un altro modo di produzione, cosicché ciascun modo di produzione appare destinato a trasmutarsi in quello successivo e la storia appare retta da un meccanismo deterministico che garantisce un progresso ineluttabile e la vittoria finale del proletariato.
Questa tradizione, con i suoi limiti ed i suoi errori, ci ha insegnato alcune cose importanti. Attraverso di essa abbiamo imparato a pensare la storia come la forma intelligibile del divenire: quell’ordine razionale che è necessario presupporre per dare un senso all’altrimenti caotico susseguirsi degli eventi. Se è vero che per ogni sequenza di eventi vi sono innumerevoli ordinamenti possibili, l’ordinamento che abbiamo imparato a preferire è quello che interpreta la storia come una successione “inclusiva” di strutture ed eventi. Un evento acquista senso solo entro la struttura che gli fa da contesto; tale struttura può essere a sua volta vista come evento di una struttura più ampia, e così via, fino ad un livello di profondità sufficiente, un livello costituito da strutture molto vaste e pervasive: i modi di produzione della tradizione marxista sono appunto strutture di questo tipo.
Sono però evidenti i gravi limiti della vulgata marxista, che la rendono insostenibile come concezione generale dell’uomo e della storia. Proprio tali limiti hanno giustificato una serie di critiche e di contrapposizioni che sarebbe giunto il momento di superare. Un esempio di tali contrapposizioni è quella fra vetero-marxismo (che riduce immediatamente strutture e istituzioni sociali al modo di produzione) e sociologismo post-moderno (che si rifiuta di collegare l’infinita ricchezza dei fenomeni sociali ad un qualsiasi ordine concettuale complessivo). Un altro esempio è quello della contrapposizione fra ”materialisti” (sostenitori della riduzione di tutti gli aspetti della realtà sociale all’economia) e “spiritualisti” (sostenitori della tesi secondo la quale il fattore causale ultimo della storia è dato dall’evoluzione delle idee o delle mentalità). E’ facile rispondere a questi ultimi, come hanno sempre fatto i marxisti, che gli uomini devono mangiare e coprirsi prima di potersi dedicare alle idee, ed è altrettanto facile replicare ai primi che fra i bisogni umani fondamentali che devono essere soddisfatti da una società vi è anche quello, specifico dell’essere umano, del dare un senso alla propria vita. Tali dibattiti appaiono sterili, immobilizzati nella contrapposizione di due mezze verità, ed è nostra convinzione che solo un profondo rinnovamento culturale possa aiutare a scioglierne le aporie.
Un piccolo contributo a questo rinnovamento culturale, e al dibattito ad esso necessario, può venire dalle seguenti osservazioni, che rappresentano in sostanza una fra le possibili “ipotesi di lavoro” nell’elaborazione di una concezione generale della storia umana che superi i limiti del marxismo conservandone le valenze conoscitive.
Per prima cosa osserviamo che già in Marx e nella tradizione marxista esistono strumenti teorici che permettono di limitare il determinismo economicistico. Uno di questi strumenti è rappresentato dalla nozione di “formazione sociale”. Mentre il modo di produzione e la sua logica si collocano d un livello profondo e astratto, rappresentando un meccanismo logico “semplice” che si suppone governare la società, e si contrappongono quindi all’infinita ricchezza, molteplicità e casualità della realtà sociale, con il termine “formazione sociale” intendiamo la sintesi di quest’infinita molteplicità e complessità del tessuto sociale unificata alla luce della struttura “semplice” del modo di produzione. In questo modo i multiformi aspetti della realtà sociale non sono “dedotti” dalla logica del modo di produzione, ed è possibile pensare la dinamica storica non come risultato delle contraddizioni del modo di produzione, ma come esito aleatorio della specifica interazione, entro la formazione sociale, tra modo di produzione e tessuto sociale.
Per illustrare questa dinamica, ci serviremo di un paragone. Una formazione sociale può essere vista come il sistema formato da un frullino e dalla panna sulla quale il frullino agisce. La panna (il tessuto sociale innervato dalla logica riproduttiva del modo di produzione) si trova inizialmente in forma liquida, in un secondo momento monta, infine si solidifica. Il frullino (modo di produzione) svolge la stessa identica attività durante questi tre stadi: si limita a ruotare (sempre alla stessa velocità, sempre nello stesso senso). Chi volesse trovare nel movimento del frullino le ragioni delle varie “transizioni di stato” della panna rimarrebbe deluso. Dal movimento rotatorio (in sé logicamente infinito) non è possibile dedurre meccanicamente o dialetticamente alcunché. Allo stesso modo, dalla logica autoriproduttiva di un modo di produzione non è possibile dedurre gli stadi di sviluppo attraverso cui passa la formazione sociale, né tantomeno la logica del modo di produzione successivo. Le motivazioni di questi passaggi epocali vanno cercate non tanto nella logica riproduttiva del modo di produzione, quanto nell’interazione specifica (e per certi versi aleatoria) tra questa logica e le caratteristiche del tessuto umano e sociale da essa innervato; non vanno cercate insomma nel movimento rotatorio del frullino, ma nell’interazione tra questo movimento, in sé logicamente semplice e ripetitivo, e le caratteristiche della panna.
Entro questo tipo di concettualizzazione, la logica di un modo di produzione non implica in nessun modo la necessità del suo superamento. Nessuna scienza del modo di produzione può dunque garantire un certo decorso degli eventi (con l’annessa inevitabile vittoria futura dei “buoni”). Le cause delle “transizioni intermodali” (le transizioni da un modo di produzione all’altro, secondo una felice espressione di Costanzo Preve) vanno individuate entro le formazioni sociali, in tutta la loro complessità.

giovedì 15 ottobre 2015

Portogallo: pochi fatti veloci

Si è parlato molto poco, mi sembra, delle recenti elezioni in Portogallo. Segnalo questo articolo di Riccardo Achilli


http://www.linterferenza.info/contributi/portogallo-pochi-fatti-veloci-veloci/

lunedì 12 ottobre 2015

Ancora sull'economia dell'inganno

Sabato scorso abbiamo segnalato un articolo nel quale fra l'altro si parla di un recente libro di Akerlof e Shiller. Lo stesso libro è recensito da Marco Onado nell'inserto del Sole24ore di ieri. Mi sembra una recensione interessante. La trovate qui.

domenica 11 ottobre 2015

Paolo Di Remigio: il valore della sovranità


Un excursus hegeliano.



Nelle rappresentazioni comuni la libertà appare come arbitrio degli individui, lo Stato come il limite delle libertà individuali. Più è largo questo limite e lo Stato si ritrae dalla vita degli individui, più gli individui sono liberi – questa la visione liberale; più la gestione dello Stato è espressione della volontà degli individui, più questi sono liberi – questa la visione democratica e socialista. Si è concordi nel supporre che gli individui siano il positivo, il bene, lo Stato il negativo, il male. Ciò contrasta però con l'estensione logica dei termini; l'individuo è infatti il particolare, rispetto a lui lo Stato è l'universale; poiché il particolare (ossia l'equivalente al quantificatore «qualche») è ciò che implica opposizione ad altro e l'universale (l'equivalente al quantificatore «tutti») ciò in cui i differenti sono uguagliati, il particolare è il conflittuale, dovrebbe perciò corrispondere alla rappresentazione del negativo e del male, l'universale è il pacificato, corrisponderebbe dunque al positivo e al bene. In verità la visione liberale e quella democratica traggono la loro plausibilità da un presupposto non tematizzato e per nulla ovvio: esse si riferiscono a un individuo che è non soltanto particolare, ma anche universale. Rispetto a questo individuo che sa coniugare il suo interesse con la cosa pubblica, lo Stato deve essere liberale e ritrarsi quanto è possibile, così come lo Stato deve essere democratico ed affidarsi alla volontà degli individui in quanto questi sono consapevoli della mediazione tra il loro interesse e l'interesse universale.

La filosofia ha identificato la volontà chiusa nel suo particolare con l'arbitrio, la volontà consapevole della mediazione tra la sua particolarità e l'universale con la libertà. L'arbitrio è la volontà irriflessa, trascinata dalla tempesta degli impulsi naturali fino all'autolesionismo e incapace di pensare e realizzare il bene comune; la libertà è l'esistenza di diritti e doveri e la loro corrispondenza. Tra arbitrio e libertà non c'è alternativa reale, piuttosto: l'arbitrio è la forma iniziale della volontà che l'educazione spinge a diventare libera. Rappresentare questa educazione è l'obiettivo esplicito di ogni esposizione etica hegeliana, non solo di quella della Fenomenologia, anche di quella dei Lineamenti della filosofia del diritto; la prima si riferisce all'individuo che dalla cupidità arriva alla ragione, la seconda all'individuo socializzato che dalla proprietà privata arriva al patriottismo. Percorreremo la prima di queste due vie per abbozzare un'introduzione alla seconda.

giovedì 8 ottobre 2015

Per fermare il regime

Leonardo Mazzei sottolinea, con l'abituale lucidità, l'importanza del referendum confermativo sulle attuali riforme costituzionali. Concordo con lui che sarà davvero l'ultima occasione per fermare la costituzione di un regime.


http://sollevazione.blogspot.it/2015/10/2016-prepariamoci-vincere-il-referendum.html

domenica 4 ottobre 2015

sabato 3 ottobre 2015

Continua a piovere

Si parlava del tempo. Alluvione a Olbia, come due anni fa, e occorre abbattere un ponte appena costruito. Nel frattempo prosegue di gran carriera la creazione di un regime, come ci ricorda Calderoli perché gli altri si dimenticano di farlo. I due ordini di fenomeni mi sembrano collegati, il ceto politico più spettacolarmente cialtrone e incapace dell'intera storia dell'Italia unita sta cercando di garantirsi un futuro.
(M.B.)

mercoledì 30 settembre 2015

Il mistero Ingrao

Mi è sempre apparsa misteriosa la popolarità di Ingrao nella sinistra. Sono convinto che la stima e il rispetto, nell'ambito del movimento storico di emancipazione, debbano andare agli uomini di pensiero o d'azione, a chi ha dato importanti contributi al pensiero critico o ha segnato in senso emancipativo la storia. Marx, Lenin, Gramsci, Togliatti, Lukács, Rosa Luxemburg sono alcuni dei nomi che possono venire in mente. Grandi uomini e grandi donne distintisi per il pensiero, o per l'azione, o per entrambe le cose.

Ma cosa ha fatto Pietro Ingrao? Ha dato grandi contributi teorici? Ovviamente no. Ha agito concretamente nella storia? Ovviamente sì, visto che è stato un importante dirigente del PCI del secondo dopoguerra: ma la sua concreta azione politica non si è distinta in nulla da quella di tanti altri dirigenti, quindi il giudizio storico da dare su di lui non dovrebbe essere nella sostanza diverso da quello da dare sui suoi compagni di partito. Qual è allora il motivo di questa particolare distinzione, del fatto che egli venga percepito come diverso e “migliore”, in qualche modo, rispetto al dirigente medio del PCI? Un motivo è certamente la sua onestà personale. Ma questa era un aspetto comune ai comunisti italiani della sua generazione. L'aspetto veramente importante mi sembra sia il fatto che egli ha rappresentato il comunista “critico” ed “eretico”, che lasciava capire il suo dissenso, rispetto alle scelte del gruppo dirigente, senza per questo abbandonare il partito. È probabile che molte persone a sinistra si siano riconosciute in questo atteggiamento, e che egli sia così diventato l'emblema di questo particolare modo di essere “comunisti” e “di sinistra”, quello cioè di chi è sempre fortemente critico verso “il partito” e “la sinistra” ma non può pensare di abbandonare quelle identità, di chi fa le stesse cose degli altri ma ha bisogno di raccontarsi di essere diverso e migliore.

Bene, ammesso che le cose stiano così, occorre dire con chiarezza che quel modo di essere “comunisti” e “di sinistra” è una delle peggiori eredità che ci portiamo dietro, è uno dei fattori che hanno permesso alla sinistra di questo paese di diventare un orribile nemico della nostra civiltà sociale. Se Pietro Ingrao ha simboleggiato tutto questo, se egli, con la sua nobile figura morale, ha aiutato tante persone di sinistra a sentirsi con la coscienza a posto mentre sostenevano una parte politica che ha devastato il paese (e continua a farlo), allora occorre dire con chiarezza che il suo ruolo storico è stato profondamente negativo, e che simboli come questo vanno dimenticati al più presto. 
(M.B.)