venerdì 5 giugno 2015

Ancora su destra e sinistra

Mi sembra che il tema della dicotomia destra/sinistra, con le tesi contrapposte della sua perdurante validità oppure del suo superamento, sia sottinteso in alcune delle discussioni a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi (per esempio quella relativa a Diego Fusaro, partita da qui e proseguita per esempio qui). Si tratta però di una tematica che resta spesso sottintesa, o magari accennata e liquidata con poche battute. Il risultato è che sul tema del superamento di destra e sinistra vi è un certo grado di confusione. Penso sia bene provare almeno a dissipare un po' di questa confusione. Un'occasione per farlo può essere questo articolo, di qualche tempo fa, di Moreno Pasquinelli, che ha il merito di affrontare esplicitamente la questione. In realtà lo scopo ultimo dell'articolo mi sembra sia quello di portare un attacco al tentativo, attribuito a Fusaro, di creare di una forza politica sovranista ma non caratterizzata in termini di destra e sinistra. Non è però di questo che intendo trattare adesso: mi interessa invece discutere la ricostruzione della genesi della tesi sul superamento di destra e sinistra (d'ora in poi, per brevità , la chiamerò ”tesi del superamento”), ricostruzione proposta da Pasquinelli all'inizio dell'articolo. Mi trovo infatti a dissentire su alcuni aspetti di tale ricostruzione, e penso che esplicitare questo dissenso possa essere un contributo a fare chiarezza su questi temi.

Pasquinelli indica due fattori causali per la nascita della “tesi del superamento”: sul piano materiale, la relativa stabilizzazione del capitalismo, avvenuta dopo i turbolenti anni Settanta del Novecento, e la conseguente “cetomedizzazione” dei ceti subalterni. Sul piano intellettuale, le critiche al marxismo sviluppate dal mondo intellettuale post-strutturalista, e in generale l'egemonia conquistata dalla “narrazione” intellettuale post-modernista. Il complesso di queste correnti intellettuali (lo “spirito del tempo”, potremmo dire) convergeva nella tesi che “le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi” “. Queste posizioni avrebbero influenzato alcuni autori di estrazione marxista, come Preve. Ma con la crisi attuale esse avrebbero dimostrato di avere il fiato corto: “L'apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalistica e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva”. La crisi, secondo Pasquinelli, porterà alla ripresa della lotta di classe e quindi alla ripresa dell'opposizione di destra e sinistra.
Fin qui l'articolo di Pasquinelli, che ho riassunto nella parte che mi interessa discutere. Credo che nel tentativo di dissipare la confusione che, come ho detto, mi sembra addensarsi in questi dibattiti, sia necessario cercare di delimitare l'oggetto della discussione. È chiaro infatti che alla “tesi del superamento” ci si può arrivare con percorsi molto diversi, ed essa può quindi avere valenze diverse. In questo articolo discuterò un ambito preciso nel quale è stata elaborata questa tesi: il gruppo intellettuale che ha pubblicato la rivista “Koiné” nella seconda metà degli anni Novanta. Farò riferimento al pensiero di Massimo Bontempelli e Costanzo Preve, che sono stati i principali "riferimenti filosofici" della rivista. Con una ulteriore precisazione: per quanto riguarda Bontempelli mi riferisco all'intero ambito della sua produzione, che conosco bene sia per letture sia per frequentazione personale. Per quanto riguarda Preve mi riferisco alla sua produzione degli anni Novanta, che conosco meglio di quella successiva. Fatte queste premesse, vediamo in che cosa la ricostruzione di Pasquinelli mi sembra poco convincente, almeno in riferimento al pensiero di Bontempelli e Preve.

1. Il post-modernismo: Pasquinelli, come si è detto, vede l'origine intellettuale della “tesi del superamento” nel pensiero post-strutturalista e in generale nella temperie culturale post-moderna che è egemone nel mondo occidentale almeno a partire dagli anni Ottanta. Una tale affermazione a me sembra falsa se presa in senso stretto, e vuota se presa in senso generico. Vediamo quest'ultimo punto: proprio perché il post-moderno è il pensiero egemone da decenni, è lo “spirito del tempo” (come scrivevo sopra), è ovvio che in un modo o nell'altro ne siamo stati tutti influenzati: Bontempelli, Preve, io, Pasquinelli e così via. Ma questa ovvietà non dice chiaramente nulla sul modo specifico in cui questa influenza viene elaborata: è una vuota banalità. Se si va a vedere il contenuto specifico delle tesi fondamentali di Bontempelli e Preve, si scopre che esse si contrappongono frontalmente alle tesi fondamentali del post-modernismo, e quindi la tesi dell'influenza di quest'ultimo sui primi, se presa in senso stretto, cioè come affermazione del fatto che le tesi post-moderniste si ritrovino nel pensiero di Bontempelli e Preve, è semplicemente falsa. Infatti, qual è la tesi fondamentale del post-modernismo? Mi sembra che si possa sintetizzare nella tesi della non esistenza della Verità in senso forte, nel senso che la tradizione filosofica occidentale ha ad essa attribuito. Ma la tesi fondamentale del pensiero filosofico di Bontempelli e Preve è proprio quella del carattere veritativo della filosofia. Chi sono i pensatori di riferimento del post-modernismo? Molti e variati, naturalmente, ma credo si possa affermare che Nietzsche e Heidegger sono gli autori imprescindibili. Chi sono gli autori fondamentali per Bontempelli e Preve? Anche qui molti e vari, ma il riferimento fondamentale è ad Hegel e Marx, precisamente le due “bestie nere” del post-modernismo. Tutto questo è indice di una contrapposizione radicale fra il pensiero di Bontempelli e Preve e la temperie culturale post-moderna. Per mostrare questa contrapposizione si potrebbero portare citazioni dall'intera produzione di questi due autori, ma per brevità mi limito a una citazione per uno, prese entrambe da un libro che mette assieme un testo di Bontempelli e uno di Preve: “Nichilismo Verità Storia”, edizioni CRT 1997.
Bontempelli: “Il mondo storico umano contiene dunque in sé, come suo fondamento assoluto di verità, una articolazione universale e immodificabile di significati ontologici, che rappresentano, nella loro unità dialettica, la verità fondativa dell'essere sociale” (pagg.99-100).
Preve: “In Hegel la verità diventa correttamente l'oggetto di una scienza filosofica […]. La sua eredità non viene però raccolta […]. Invece della corretta nozione hegeliana di scienza filosofica, basata sulle reciproca connessione essenziale delle parti nell'intero che ne esprime la verità, si affermano nella modernità due concezioni separate e incomunicabili di scienza e filosofia.” (pag.127).
È immaginabile che un pensatore post-moderno possa scrivere frasi del genere? A me sembra di no.
Riassumendo: il pensiero di Bontempelli e Preve si contrappone frontalmente alle tesi fondamentali del pensiero post-moderno, quindi l'idea che la “tesi del superamento”, almeno nella forma che assume in Bontempelli e Preve, sia derivata dalla temperie culturale post-moderna, appare difficile da sostenere.

2. Capitalismo e borghesia. La “tesi del superamento” è da Pasquinelli collegata alla tesi che la società contemporanea sia una società post-borghese e post-capitalistica. Ma quest'ultima tesi non ha davvero nulla a che fare con quanto hanno teorizzato Bontempelli e Preve. Essi hanno sostenuto una cosa completamente diversa, cioè che la società attuale è una forma di capitalismo post-borghese. Naturalmente, una simile tesi ha senso solo se si comprende che per Bontempelli e Preve la nozione di “borghesia” è distinta da quella di “capitalismo”. Non è qui il luogo per approfondire questo tema (certo molto importante), quello che voglio sottolineare è che per i due autori in questione la società moderna è una società capitalistica contro le cui ingiustizie occorre lottare, e quindi è completamente fuorviante iscriverli al gruppo dei pensatori che hanno creduto alla fine “di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal capitalismo”, come scrive Pasquinelli. La cosa buffa è che questo punto, oltre a ricorrere continuamente negli scritti di Bontempelli e Preve, è anche facilmente ricavabile dal passo di Preve che lo stesso Pasquinelli cita. Infatti in esso Preve parla della classe dominante “in un primo tempo borghese-capitalistica e oggi semplicemente capitalistica (e post-borghese)”: dove si capisce chiaramente che quanto Preve sostiene è il carattere capitalistico ma non borghese dell'attuale classe dominante (e quindi, come si inferisce facilmente, degli attuali rapporti sociali). Naturalmente, la tesi della distinzione fra borghesia e capitalismo può essere discussa, criticata e rifiutata, ma non può essere stravolta. Inserire Preve (o Bontempelli) nel calderone di chi teorizza che la società contemporanea sia post-capitalistica, come sembra fare Pasquinelli, è davvero fare violenza alla verità.

Questo era quanto mi sembrava necessario dire per contrastare quella che ritengo una ricostruzione poco convincente delle origini intellettuali della “tesi del superamento”, almeno nella forma che tale tesi assume in Bontempelli e Preve.
Pasquinelli solleva però molti altri temi, indipendenti dalla discussione sul pensiero di Preve, e meritevoli di una esame approfondito, che non posso fare qui per non allungare ulteriormente questo intervento. Mi limito ad accennare brevemente a due punti importanti.
Per prima cosa, osserviamo che Pasquinelli sembra ritenere che la ripresa dello scontro di classe, inevitabile nella attuale situazione di crisi generale del capitalismo, porterà alla ripresa della contrapposizione di destra e sinistra. Questo perché egli ritiene che la dicotomia di destra e sinistra “inequivocabilmente scaturisce” dalla “opposizione tra le classi”: ma è proprio questo il punto in questione. La questione, cioè, non è se esistano il capitalismo o la lotta di classe, la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della contrapposizione di destra e sinistra. Secondo Bontempelli, e secondo l'autore di queste righe, non è così: la contrapposizione di destra e sinistra è una forma particolare dello scontro politico all'interno del capitalismo, che è stata superata dagli sviluppi recenti delle società capitalistiche. Naturalmente, per capirci, occorre mettersi d'accordo su cosa si intende per sinistra (e destra). La nozione proposta da Bontempelli e me si può trovare nei nostri scritti (in particolare qui e qui). In estrema sintesi, in questi testi sosteniamo che la sinistra è il luogo culturale e politico che nella modernità ha coniugato le istanze di emancipazione dei ceti subalterni con le istanze di sviluppo economico e tecnologico. La sinistra è stata vitale finché è stato possibile pensare di ottenere l'emancipazione attraverso lo sviluppo. Da alcuni decenni siamo entrati in una situazione nella quale lo sviluppo economico è essenzialmente de-emancipatorio, e questo toglie lo spazio vitale della sinistra.
Questa, dicevo, è la nozione di sinistra da noi utilizzata. Ovviamente, quanto appena detto rappresenta una semplice enunciazione dogmatica, non argomentata, di alcune tesi. Le argomentazioni si trovano nei testi citati. Riporto qui tale enunciazione solo per spiegare che la tesi del superamento di destra e sinistra è strettamente legata ad una precisa definizione di cosa si debba intendere per “sinistra”.
Vengo allora all'ultimo punto che volevo discutere: qual è la definizione di “sinistra” cui fa riferimento Pasquinelli? Essa non è esplicitata nell'articolo che stiamo discutendo, ma si trova, espressa con tutta la chiarezza necessaria, in un commento ad un altro post pubblicato su “Sollevazione”: “considero di sinistra chi e solo chi postula come necessario fuoriuscire dal capitalismo per una società dove la ricchezza venga equamente distribuita fra tutti e quindi i mezzi di produzione non siano più strumenti per i privilegi di una classe sociale (capitale) ma beni comuni, proprietà sociale”. Cioè per Pasquinelli “sinistra” è definita come “anticapitalismo socialista” (distinto quindi da un eventuale anticapitalismo reazionario o fascista). Questa è una definizione chiara e precisa, ma ha un difetto: è in contrasto col significato che la nozione di “sinistra” ha avuto nella storia, perché esclude la sinistra riformista (nel senso storico della parola “riformismo”, che non è ovviamente quello attuale). La sinistra è stata storicamente il luogo politico di chi lottava per l'emancipazione dei ceti subalterni, ma questa lotta non coincideva necessariamente con l'anticapitalismo. Nella sinistra si sono incontrati i rivoluzionari e i riformisti, chi voleva superare il capitalismo e chi nella sostanza lo accettava cercando di indirizzarne gli sviluppi a favore delle classi subalterne. Se questo è vero (e mi pare innegabile che lo sia), introdurre l'anticapitalismo come condizione necessaria nella definizione di “sinistra” significa in realtà rifiutare la nozione di “sinistra” come è storicamente esistita, e introdurre una nozione nuova. Questo vuol dire che Pasquinelli rifiuta anch'egli la sostanza della nozione storica di “sinistra”, ma invece di mettere da parte il nome assieme alla sostanza, preferisce tenersi la scatola con l'etichetta “sinistra” dopo averne cambiato il contenuto. Si tratta di una scelta teorica che non contribuisce, mi sembra, alla chiarezza intellettuale.
(M.B.)


Questo post viene pubblicato anche su "Appello al popolo": http://www.appelloalpopolo.it/?p=13687


6 commenti:

  1. MI pare che la tesi della fine della borghesia sia nello stesso tempo condivisibile, ma anche incompatibile con la visione della società principalmente come sede della lotta di classe. Se c'è il capitalismo, ma non c'è più una sua classe di riferimento, allora il capitalismo si qualifica in modo impersonale come un meccanismo automatico e i cui danni ricadono un po' su tutta la società.
    La mia tesi è proprio questa, il che ovviamente non significa che non esistano persone fisicamente definite che giudino il maccanismo capitalistico, ma che si tratta ormai di una cupola globale verso cui ha ben poco senso lottare, tanto costoro sono potenti, irragiugibili e remoti. E' il terribile meccanismo capitalistico che va bloccato ,e ciò non può che avvenire costruendo uan cultura alternativa e fornendole a capacità di impatto mediatico.che posa competere con le capacità mediatiche di chi ha il potere.
    Se invece si parla di post-borghesia, allora questa eclissi della borghesia sembra porsi più che come una sua scomparsa, come una sua rigenerazione, e su un'ipotesi come questa non mi sentirei certo di convenire.

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    1. A me sembra che la "scomparsa della borghesia" altro non sia che l'effetto della scomparsa di qualunque altra classe che non si identifichi nella borghesia.

      Mi riferisco alla "borghesizzazione" totale delle società occidentali, iniziata grosso modo a seguito della caduta del muro di Berlino, cioè a quella trasformazione antropologica e culturale di massa grazie alla quale tutti ambiscono uniformemente alle stesse mete esistenziali senza distinzione di condizione economica e sociale.

      In questo senso è corretto dire che il riferimento socio-culturale del capitalismo non è più la borghesia, dato che anche l'odierno proletario (anzi soprattutto lui) tende a vedere nel capitalista (nell'uomo ricco e potente) il proprio indiscusso modello di riferimento.

      Quindi, a mio avviso, persone come Pasquinelli sono totalmente autorefereziali, poiché pretendono di scorgere nella dimensione collettiva ciò che è e resta una loro idea personale di società (quella culturalmente e antropologicamente divisa in classi) che non esiste più da lustri.

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  2. La vostra spiegazione della crisi della "sinistra" non chiarisce la simultanea scomparsa della "destra". Dalla fine degli anni 70 a oggi il radicalismo di destra – cioè la critica al liberalismo in nome di un socialismo particolarista (tradizionalista, nazionale o razziale che sia) – è declinato quanto quello di sinistra.

    La verità è che una società in piena decadenza, votatasi al consumismo più stucchevole e quindi a un radicale atomismo, fatta di consumatori con un talk show al posto del cervello, non genera più energie ideali e quindi aggregative. Là dove non esiste più spirito di sacrificio non c'è più voglia di fare la guerra, quindi di fare politica: basti vedere Tsipras, che vuole rovesciare le imposizioni della Trojka ma senza toccare euro e UE perché qualcuno potrebbe farsi male. O si veda Pasquinelli, che difende a spada tratta i diritti civili di terza generazione senza vedere che questi sono la coscienza ("falsa" al pari di ogni altra) del superindividualismo dominante.

    Dietro al tracollo delle ideologie e alla nascita del pensiero unico, pardon di regime, sta il disfacimento antropologico dell'umanità occidentale, impestata da 70 anni di pace e di benessere. Questo poi si risolve in un livellamento promiscuo in una massa indistinta di individui che pensano solo a fregarsi l’un l’altro: si perdono, assieme alle identità razziali, nazionali e culturali, anche quelle di classe. Di qui la scomparsa della vecchia borghesia notata da Cucinotta, ma anche del vecchio proletariato, e l’apparire di un meccanismo apparentemente onnicomprensivo ma intimamente putrefatto, dietro al quale si intravedono nuovi barbari (ad es. le orde islamiste) pronti a lasciare la propria impronta insanguinata sui percorsi della storia universale.

    Scrivete: "la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della contrapposizione di destra e sinistra". Si può andare più a fondo e chiedersi se le lotte che dividono l'umano genere siano integralmente (o anche solo prevalentemente) intelligibili in termini di scontro fra classi sociali. Ulteriormente, se il confronto fra classi debba configurarsi obbligatoriamente nei termini di scontro fra capitale e lavoro salariato. Potrebbe darsi che questi siano gli unici conflitti santificati dalla dottrina perché sono quelli che piacciono ai suoi fautori. Una lotta di classe della popolazione italiana residente contro le orde migratorie attratte dal capitale per moltiplicare l’esercito industriale di riserva si capovolge, nel vostro credo, in oscurantistica abiezione: la lotta di classe vi sta bene finché i nemici li decidete voi.

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  3. Ma qual è l’oggetto della discussione? La borghesia esiste ancora o non esiste più? Per rispondere a questa domanda occorre per prima cosa dare una definizione di borghesia. Senza questa definizione, la discussione gira a vuoto.
    Si dice che la sinistra è funzionale al sistema capitalistico. Anche qui, senza definizioni è difficile capirsi. Anche il sindacato, si può dire, è funzionale al sistema. Perché il capitale tende ad affamare i lavoratori ma, nello stesso tempo ha bisogno di manodopera in salute, pronta per essere sfruttata. E ha bisogno anche di manodopera istruita se sale il livello tecnologico. Quindi, in questo senso, il sindacato assolve una funzione fondamentale nel sistema, come il rene nel corpo umano, si potrebbe dire.
    E allora?
    Post-modernismo, post-capitalismo, post-borghesia, post-destra/sinistra. Ma siamo proprio sicuri ? A me sembra distillato di ideologia, come « La fine della storia ». Post-storia! Un tentativo di dimostrare che “ there is not alternative”.
    Non ci sono più le fabbriche? Non mi pare, dando uno sguardo al capitalismo globalizzato. Non ci sono più i lavoratori salariati? Nel mondo ce ne sono più di prima, più della “golden age”.
    Se vogliamo parlare di aspetti concreti, possiamo parlare di finanza. I fondi pensione ad esempio, linfa vitale per i “Mercati”. Si può parlare dei risparmi giocati in borsa. E del debito privato. In questo caso potremmo definire il ruolo che anche i lavoratori salariati hanno assunto all’interno del sistema. Un mostro che mangia sé stesso.

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    1. L'oggetto della discussione sono alcune tesi di Moreno Pasquinelli, espresse nel testo citato. In particolare discuto la ricostruzione che Pasquinelli fa della genesi intellettuale della “tesi del superamento”, almeno per come essa appare in Preve (e Bontempelli). Inoltre discuto (rapidamente) l'argomento di Pasquinelli a favore della persistenza dell'opposizione di destra e sinistra, argomento basato sulla persistenza della lotta di classe e su una definizione di sinistra in termini di anticapitalismo.
      Sono d'accordo sul fatto che in queste discussioni è fondamentale dare delle definizioni il più possibile precise dei termini usati. È appunto quello che ho fatto in riferimento al termine “sinistra”.

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  4. Grande è la confusione (ma non sotto il cielo e la situazione non è propizia).
    Vedo che si è tenuto in conto la definizione da me riferita in altro post.
    Neanche questa volta sarò avaro.
    Il Tao inizia con la definizione che segue. Che potrebbe essere giovevole nella ricerca di una definizione di sinistra che contenga ragionevolezza sufficiente.

    "I Termini veramente Termini (come è sinistra nde) non sono termini costanti "

    ps non dovrebbero servire aiutini. Tuttavia si ricorda che non è possibile descrivere correttamente l'orbita di Mercurio senza considerare gli effetti relativistici

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